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Poesia parigina
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vorrei, madamoiselle, che i cattivi li si potesse vedere
con un lampo di sguardo: vedergli addosso scritto, “cattivo”.
Vorrei avessero davvero giacche nere e capelli tirati indietro,
sguardi torvi sopra nasi d’aquila e baffi corvini. Vorrei poter
gridare all’untore, madamoiselle, e di colpo farlo sparire – come un brutto sogno
che apri gli occhi e va via. Ho conosciuto notti dove il sonno era
la fatica di accoglierlo. Dove tutta la vita ti domanda: < perché dormi?>.
E i sogni sfuggono come ninfe dentro un bosco.
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Vorrei, madamoiselle, saperti prendere come d’improvviso
infuriasse una polka, da qualche parte, in qualche dieci dell’ottocento –
Chopin che cazzeggia sui chiodi di questa strana notte parigina –
vorrei, madamoiselle, farti girare, sollevarti come un buquet e mostrarti
al soffitto di stelle, correnti e satelliti, alla grande volta nuvolosa,
come si fa coi pesci catturati, girando e girando, come qualche acrobata russo,
e poi solido sul polpaccio, cingerti, come una gonna di seta.
Vorrei dire ti amo.
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Rassicurare il pubblico, che la rete è ben salda, anche se non si vede.
Vorrei camminare all’indietro, raggiungere qualche baracca di un secolo glorioso.
Dire, a quei volti neri come il silenzio, “perdonate madamoiselle che non sa cosa fa”,
cancellare con un soffio tutto il colonialismo, lo schiavismo, l’imperialismo –
la razza e il culto, le buone maniere, le marce, gli eserciti: per imparare a piangere
i tuoi innocenti.
Non trovare canzoni per le tue macerie.
E accompagnarti a casa, fino al portone.
Guardarti salire le scale.
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L’ho seguita oltre il fiume biondo della sua testa.
Mi ha mandato un bacio dietro il ferro del cancello.
Gli occhi che chiedono scusa, diamanti lancinanti lavorati dal mare.
Ho dato un nome alla sua tristezza. Poi, ho solo spiato, tra le foglie, la mia vita
bagnarsi nella fonte, dissetare il cavallo.
L’ho vista salire sul dorso della bestia e farsi strada tra le querce.
Ho seguito le sue tracce fino al nero dei tuoi baci,
fino alla cecità ho respirato il tuo profumo – premendo il naso
contro il tuo collo.
Ho spento le luci, tutte le luci del teatro.
Mentre accendevo le tue labbra.
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Madamoiselle, le tue aquile hanno bucato il cielo.
E tu facevi carezze di metallo.
Sei inconsolabile su questa strada.
Lascia che io ti offra un caffè, lascia che io cada come i pagliacci
per strapparti un sorriso.
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E poi
facciamo pace.
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14 Novembre 2015