• L’origine del mondo: dove finisce il mito inizia la religione

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    di Gian Carlo Zanon

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    Basta leggere poche pagine del volume I miti ebraici di Robert Graves/Raphael Patai per rendersi conto che non esiste nessun vero confine tra narrazione mitica e narrazione religiosa. Ed è ben difficile individuare il momento del cambio di testimone tra il cantore del mito che ammalia con la sua arte e il profeta invasato che opprime con la sua arrogante sicumera. Una mutazione sicuramente avvenne ma dev’essere pensata come un evento protrattosi nel tempo.

    L’unica cesura avvenne quando un Re, un Imperatore, un Signore della guerra, un Capo popolo, decise per ragioni “politiche” di scegliere alcuni miti presenti nella cultura e di elevarli al rango di realtà. Il Credo (o Simbolo) niceno-costantinopolitano, redatto in greco con l’attenta supervisione di Costantino I nel 325 d.C. – poi riaggiustato nel 381 d. C. – è di fatto una narrazione mitica che però viene presentata come certezza di fatti storici avvenuti: il dio unico (ἕνα Θεόν) a cui ci si riferisce, è il creatore di οὐρανοῦ καὶ γῆς, (urano e gea) del cielo e della terra. Il figlio, che è ὁμοούσιον τῷ Πατρί, (fatto della stessa sostanza del padre), per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel grembo della Vergine Maria e si è fatto uomo (σαρκωθέντα ἐκ Πνεύματος Ἁγίου καὶ Μαρίας τῆς Παρθένου καὶ ἐνανθρωπήσαντα.).

    Il mito di Dióniso, narrato da Euripide nella tragedia Baccanti, e quindi reso pubblico circa settecento anni prima che si mettesse in scena il Credo niceno, narra una storia simile : Dióniso che è figlio del padre degli dei del panteon greco e di una mortale, nel prologo racconta la propria nascita dicendo (sostanzialmente): “Io sono Dïòniso, generato da Giove, e da Semèle figlia di Cadmo che per levatrice ebbe la folgore (di Zeus che la incenerì). Sono tornato a Tebe la terra che mi vide nascere ( nascere la prima volta visto che fu da Zeus estratto anzitempo dalla madre morta che se lo cucì in una coscia per portare a termine la gravidanza) lasciando le pianure di Lidia e di Frigia, ricche d’oro, le plaghe assolate della Persia, ecc. ecc. e mi sono spinto sin qui per rivelarmi ai mortali.” In realtà il prologo è molto più ricco di dettagli (leggi qui), ma l’ho semplificato per evidenziare le similitudini tra questa narrazione, che possiamo definire mitica, e la narrazione nel Credo niceno, che possiamo definire “religiosa”. Dove stanno le differenze tra il testo redatto da Costantino I e il testo scritto da Euripide? In realtà non c’è nessuna sostanziale differenza: abbiamo due divinità con un potere assoluto Zeus e Yahweh – che nel testo niceno è rappresentata dal fonema Πατέρα Παντοκράτορα (padre che ha il potere su tutto) – ; abbiamo due figli entrambi dei: Dïòniso e Gesù;  abbiamo due madri mortali: Semele e Maria. Dettagli, come quello dello Spirito Santo e della verginità della madonna aggiunti in un secondo tempo, non alterano certamente lo scenario della narrazione.

    Ciò che differenzia completamente i due racconti è il credere che il primo sia storia e il secondo una favola, quando in realtà entrambi appartengono alla mitografia occidentale.

    «Il mito – scrive Umberto Albini nella presentazione de I Miti Greci di Robert Gravesè bisogno di spiegare la realtà, di superare e risolvere una contraddizione della natura (come nasca il primo uomo, per esempio) (…) il mito è struttura delle credenze di un gruppo, di un etnos (la condanna dell’incesto) ecc. ecc.. Ma come dice la parola, il mito è innanzitutto un racconto».

    Il mito quindi è una narrazione, un racconto. Un racconto che però nasce, ha vita propria e si sviluppa seguendo la storia reale degli individui con cui viene a contatto e che lo fanno vivere. Poi da alcuni esseri umani viene usato per definire il dominio su un territorio,  per accreditare a una dinastia un potere su cose ed esseri umani, e, a volte, viene codificato in canoni religiosi che lo “trasformano definitivamente in storia reale”. Può sembrare assurdo, e lo è, ma storie narrate da comare a compare e da compare a comare per secoli a un certo punto, come per grazia ricevuta, assurgono al ruolo di realtà storica e guai a metterle in dubbio, guai!

    Quando poi si tratta di cercare di dare una spiegazione alla causa di un fenomeno che sfugge alla percezione, come in passato un microbo mortale o, nel presente, la causa della malattia mentale per esempio, ci si inventa di tutto: si va dal malocchio al gene della depressione, dal male indotto dal maligno alla possessione demoniaca. A pensarci bene tuttora non esiste nella cultura neppure un vero spartiacque conoscitivo tra la favola mitica e il saper scientifico quando quest’ultimo è inficiato dal pensiero magico/religioso.

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    Esistono splendidi racconti sulla creazione dell’esistente che sono stati, nei secoli e tuttora, considerati dalle religioni monoteiste pericolose eresie. Ed esistono narrazioni  sulla genesi del “creato”, a cui attingono le religioni monoteiste, che in virtù della loro brutale arroganza, che vuole impedire il pensiero e convertirci alla credenza, considero immondizia dottrinaria.

    Comparando i miti pagani e i miti ebraici che narrano la genesi dell’esistente, ho notato una sostanziale differenza: mentre nel mito ebraico della genesi – quello uscito vincente tra molti e che poi si trasformerà in canone biblico – si afferma che l’esistente nasce dal nulla, nella mitologia pagana di dice che irrompe dalla materia.

    «Quando Dio si dispose a creare il cielo e la terra, nulla trovò intorno a sé. Nulla trovò se non Tohu e Bohu, ossia il caos e il vuoto» Bibbia Genesi I –II 3

    Questa scelta dottrinaria, scrivono gli autori de I Miti Ebraici, «(…) fu ideata in sede monoteistica, la cosmogenesi, nella prima e nella seconda genesi non poteva assegnare se non a Dio la parte di creatore e quindi omise ogni preesistente elemento o ente che potesse considerarsi divino. Astrazioni come caos/vuoto (tohu wa-bohu), tenebre (hoshekh) e abisso (tehom) non avrebbero tentato nessun idolatra e così presero il posto delle antiche deità matriarcali.»

    Nel mito pelasgico della creazione, presente ne I miti greci di Robert Graves, troviamo scritto: «All’inizio Eurinome, Dea di Tutte le Cose, emerse nuda dal Caos e non trovò nulla di solido per posarvi i piedi: divise allora il mare dal cielo e intrecciò una danza sulle onde. (…)  Si voltò all’improvviso, afferrò codesto Vento del Nord, e lo soffregò tra le mani: ed ecco apparire il gran serpente Ofione. Eurinome danzava per scaldarsi , danzava con ritmo sempore più selvaggio finché Ofione, acceso dal desiderio, avvolse nelle sue spire le membra della dea e a lei si accoppiò. (…) E così Eurinome rimase incinta»

    Tutt’altro clima narrativo direi! No? Qui nonostante la presenza del Caos – che però qui va inteso non come ente astratto ma come “disordine” – di astrazione ce n’è ben poca. Non c’è neppure quella furia di dimostrare che prima che Dio creasse l’esistente c’era il vuoto e il nulla. All’inizio c’è il mare, il cielo, il vento. Non si sa da dove nasca la dea di Tutte le Cose, ma Ofione nasce dalla materia. C’è il desiderio, l’accoppiamento, la gestazione poi il parto «dell’Uovo Universale da cui scaturiscono tutte le cose esistenti, figlie di Eurinome».

    Ancor più “materici” sono sia il mito della creazione della terra che la leggenda degli eroi culturali degli Aranda australiani, che donano agli esseri umani strumenti come il fuoco e rudimenti conoscitivi necessari alla sopravvivenza.

    C’è chi, come Luciana Percovich – che scrive una splendida introduzione al saggio Theodor G. H. Strehlow, I sentieri dei sogni –  trova con gli Aranda «insospettabili sintonie. Innanzitutto con quello che riguarda la pratica e la concettualizzazione del “divino” come “generato dalla terra” e non da essa staccato e ad essa contrapposto.»

    «In quest’area scrive nel suo saggio Strehlowsi credeva che la terra, come il cielo, esistesse da sempre, e che la terra come il cielo fosse stata dimora di esseri soprannaturali. All’inizio dei tempi la terra appariva come una pianura desolata e informe. (…) Soltanto al di sotto della superficie terrestre la vita pulsava nella sua pienezza, sotto forma di esseri sovrannaturali increati, che esistevano da sempre; ma stavano ancora dormendo il loro sonno eterno. » Poi questi esseri emersero dal loro torpore. «Entrambi i sessi erano rappresentati, tra loro, poiché le antenate femminili costituivano già a pieno titolo un “secondo sesso” , e non erano semplicemente versioni inferiori ed imperfette degli antenati di sesso maschile» Dopo essere emersi dai loro giacigli le antenate e gli antenati totemici degli Aranda «iniziarono a girovagare sulla superficie terrestre. Le loro azioni e i loro vagabondaggi diedero vita a tutte le caratteristiche fisiche del paesaggio dell’Australia centrale.»

    Questi miti degli Aranda australiani dimostrano che più ci allontaniamo dall’animismo e ci avviciniamo al monoteismo, più il pensiero sulla genesi dell’universo, del mondo e degli esseri umani diviene astratto ed evanescente. Il pensiero occidentale che nasce e si sviluppa nel Vicino Oriente finisce nella mani dei sacerdoti e teofilosofi che creano un’ideologia religiosa secondo la quale l’essere umano è governato dal disegno divino del dio monoteista. Deve solo accettare il ruolo a lui affidato e aspettare la morte.

    La narrazione biblica, e poi quella cristiana e poi quella mussulmana tentano, riuscendoci, di far credere che la storia dell’umanità sia, sin dal suo inizio, tutta inscritta in un disegno divino imperscrutabile. I protagonisti da Adamo a Mosè, da Caino a Giuseppe, da Gesù a Maometto, sono solo ingranaggi della macchinazione divina o se volete attori principali di quel teatro mundi messo in scena da un regista onnipotente e tirannico che ha scritto il suo copione quando ancora l’esistente non esisteva. «Il vecchio testamento (…) incomincia con la notte dei tempi e vuol terminare con l’adempimento della promessa con cui il mondo deve aver fine. Tutto il resto che accade nel mondo può venir rappresentato come parte di questo ciclo; tutto quello che è conosciuto o in qualche modo incide nella storia ebraica deve venir inserito in esso, come parte del piano divino;» Erich Auerbach – Mimesis. Il realismo nella letteratura

     

    Nel sistema filosofico cristiano infine ogni conflitto viene risolto in mente dei con l’ “ἐγὼ τὸ Α καὶ τὸ Ω”, (Io sono L’Alfa e L’Omega) il principio e la fine dell’Apocalissi giovannea. In mezzo all’A e all’Ω  rimane solo l’inutilità dell’essere del genere umano. Il non essere in vita in cambio dell’essere dopo la morte.

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