• Piazza, agorà, teatro …

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    di Gian Carlo Zanon

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    Piazza,lat. plǎtea(m) , nom. Pletǎtea dal greco platêia da plǎ, largo, ampio, vasto]

     

    Piazza: un luogo dove libertà e eguaglianza intrecciano i loro canti …

     

    Apparentemente, per la cultura occidentale, la piazza è solo un componente urbano. Viene liquidato dai dizionari in modo quasi metafisico, astratto: “…un elemento della città originato dall’allargamento di una via, con funzione di snodo nella rete stradale”.

    In effetti la parola piazza racchiude in sé un’immagine e un concetto spaziale. Solo nel momento in cui essa viene abitata, popolata, dal genere umano, l’immagine della parola muta ed il suono si trasforma in agorà. Cioè luogo di incontro e dialettica politica.

     

    Il fonema agorà rappresenta l’idea dell’adunanza, dell’assemblea di popolo. Dal V secolo a.C. diventa un contraltare della boulé (βουλή) cioè  l’assemblea dei rappresentanti dei demi (quartieri) e delle tribù-famiglie. Apparentemente anche la parola ecclesia (dalla quale deriva chiesa) descrive l’assemblea del popolo, ma, in questo caso l’immagine etimologica è sempre quella in cui un oratore religioso parla alla folla chiamata: eccaléō, io chiamo.

     

    Anche il verbo greco ágeíro, dal sanscrito gramah, ha tra i suoi significati, raduno, raccolgo, convoco, ma un conto è convocare un conto è chiamare. Chiamare, essere chiamati, ha un valore semantico teologico-religioso: solitamente chi chiama a raccolta è un veggente, o comunque qualcuno che si sente investito, o invasato, da qualche divinità e vuole trasmettere il verbo divino.

     

    Mussolini ed Hitler si sentivano investiti dal ‘destino della patria’, vale  a dire da un ente metafisico plasmato all’occorrenza, e funzionale, come ogni tipo di divinità creata dalla mente degli esseri umani, al potere; sia che questo sia nelle mani di uno sciamano, di uno stregone, di un papa o di un dittatore.

     

    Invece la parola agorà nasce per rappresentare il luogo d’incontro, dove, probabilmente, in prima istanza, il popolo delle nascenti polis si radunava per scopi diversi e in modo eterogeneo nella sua valenza letteraria stretta, cioè tra esseri umani che non appartengono alla stessa gènea, famiglia, stirpe, tribù. Anche il sostantivo agorà, che proviene dal verbo ágeíro, a come prefisso l’alfa che priva la sillaba ‘gé’ dell’immagine del gruppo familiare e che da il senso dell’eterogeneità al luogo dell’adunanza.

     

     

    I templi delle religioni monoteiste e politeiste si possono definire come beni non comuni, per il semplice fatto che, in primo luogo non appartengono alla comunità ma sono la ‘dimora’ della divinità, tenuta in ordine e organizzata da solerti guardiani, sue braccia terrene, e in secondo luogo secondo perché la chiesa non è un luogo di incontro tra esseri umani ma quel territorio metafisico della preghiera in cui si alienano ad un dio invisibile le proprie paure, angosce, decisioni, annullando la propria identità umana e buona parte della propria responsabilità etica.

    Quindi i templi non si possono definire  beni comuni perché in questi spazi definiti e creduti sacri dai credenti, avviene ciò che è esattamente l’opposto di ciò che si intende per rapporto umano profondo con l’altro da sé: l’alienazione religiosa.

     

    Altro discorso invece è per la piazza che da luogo spaziale, si trasforma in agorà, luogo del adunanza civile. Solo in seguito l’architettura si fa carico di definire lo spazio comune atto ad accogliere non solo gli incontri politici, ma anche gli scambi culturali, i tribunali, gli incontri pubblici per gli affari, i mercati.

    A fare corona all’agorà si costruiranno poi spazi per la vendita delle merci in muratura ed attorno ad essi di svilupperà quella parte della città che, con le sue vie di comunicazione, legheranno assieme le abitazioni delle varie tribù/famiglie fino ad allora separate. Anche in questo caso l’idea di un fare umano sociale diviene stimolo architettonico.

     

    Con l’avvento del cristianesimo, che nel 378 d.C. si converte in religione di stato, la piazza lentamente cambia aspetto fisico. Nel medioevo nelle piazze dei comuni e delle città  il potere, secolare e metafisico, costruisce i simboli della propria potenza ai lati opposti dello spazio comune. Qualcuno ha scritto che Tempio cristiano e Palazzo Comunale si fronteggiano, e, in qualche raro caso, è pur vero, ma la verità vera ci dice che  tra i due poteri c’è stato da sempre – da Costantino in poi sicuramente – una volontà surrettizia di alleanza per il controllo e lo sfruttamento del popolo minuto.

     

    Nell’undicesimo secolo Adalberone vescovo di Laon codifica la, già di fatto esistente, divisione delle caste sociali: i bellatores, i guerrieri, coloro che combattono e detengono il potere temporale; gli oratores , coloro che pregano e detengono il controllo delle anime; infine i laboratores, che con la loro fatica mantengono gli uni e gli altri. La chiesa lascia al potere temporale il compito di amministrare la giustizia divina; il potere temporale dà alla chiesa il compito di asservire le menti.

     

     

    E la piazza non è più agorà , lo spazio intangibile dei rapporti e della dialettica tra esseri umani uguali per nascita, ma diventa “spazio sacro”, una tenaglia dove la dignità umana viene stritolata. Per chi si ribella, per gli eretici – dal greco haireticós , colui che ha scelto –  c’è la piazza con il rogo: alla chiesa il compito di salvare l’anima, al potere temporale quella di distruggere il corpo corruttore dell’anima. E così le piazze si trasformeranno, per secoli, nei luoghi sinistri degli autodafè e dei roghi per chi non accettava i dogmi alla credenza religiosa, vale a dire il sistema filosofico cristiano. Con la sapienza conferitegli da autoritas come quella di S. Paolo, che legittimava la schiavitù dicendo che era volontà di dio, la Chiesa Cattolica Romana delinea quel patto che sarà sempre, ancora oggi, ben presente e sottoscritto tra le due istituzioni.  – Vedi gli Concordati della Chiesa cattolica con il fascismo (1929), il nazismo (1933) e il nazi-franchismo (1953).-

     

    Auto da fé

     

    Ma in fondo piazza è solo un luogo fisico e materiale; è fatta di pietre, cemento… e pur essendo testimone silenziosa di fatti e misfatti è incolpevole. La piazza può prendere vita per la presenza di esseri umani che la abitano vestendola di umano o di disumano … e può essere trasfigurata in una nuova immagine dalla fantasia inconscia di qualche artista o poeta che la trasforma in ciò che non è.

     

    Spesso si identifica la piazza e l’agorà come teatro. Se è vero che le piazze pubbliche, spesso sono diventate spazi scenici e che fisicamente si prestano a scopi rappresentativi è anche vero che il teatro non ha concettualmente nulla a che fare con loro. Il motivo di questa sostanziale diversità è, se non altro, che la piazza e l’agorà sono luoghi della veglia della ragione, il teatro è legato alla rappresentazione che poco ha a che fare con l’ordine e con il razionale.

    29 luglio 2012

     

    Continua … http://www.igiornielenotti.it/?p=3913

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