• Parola e senso: i passi perduti, i passi ritrovati

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     “… le parole sono aria del mattino. Divengono sogni. Se uno non li pesa e non li comprende, cadono come errore nel cuore e uccidono”.

    Friedrich Hölderlin

    di Gian Carlo Zanon

     

    Penso che in questi giorni stia avvenendo un’ennesima lacerazione tra le parole pubbliche e il senso che dovrebbe dar loro sostanza e quindi verità.

    Molti individui appartenenti alla casta dominante sono alla  ricerca spasmodica di parole e frasi in grado di alterare la realtà dei fatti. Da tutto ciò nasce un impoverimento semantico: alle parole viene negata la dignità dovutagli e il loro indissolubile legame con le cose da esse rappresentate. Lo sporco lavoro a cui si stanno dedicando queste persone depaupera e appiattisce la verità che è, e dovrebbe essere, il contenuto racchiuso nelle parole. Il suono delle espressioni verbali degli uomini pubblici si trasforma in un tragico stridio prodotto dai continui strappi che scindono le parole dalla loro essenza semantica: mutare la parola “delinquente” in “eroe perseguitato” significa stuprare la realtà e toglierle senso.

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    Eccone un alto esempio: «O la politica è capace di trovare delle soluzioni capaci di ripristinare un normale equilibrio fra i poteri dello Stato e nello stesso tempo rendere possibile l’agibilità politica del leader del maggior partito italiano oppure l’Italia rischia davvero una forma di guerra civile dagli esiti imprevedibili per tutti». Questo è ciò che ha affermato Sandro Bondi, riferendosi alla condanna definitiva di Silvio Berlusconi per il delitto di frode fiscale che la Cassazione ha confermato.

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    La distruzione che l’agiografo berlusconiano Bondi opera sulle parole è surrettiziamente sottile e perciò pericolosissima. Egli parla di «ripristinare un equilibrio fra poteri dello stato», ma questo equilibrio che lui ha nella mente appartiene solo a ciò che lui crede, o vuole far credere, che sia. «(…) I grandi sono così, – dice il bimbo protagonista del romanzo di Andrea Molesini La primavera del Lupo – credono a quello che sperano, non sono come noi bambini che ci serve stare attenti a quello che succede per davvero». Bellissima questa frase che rivela quella malattia invisibile che spinge gli individui malati di “pseudologia fantastica” ad annullare pulsionalmente la realtà e a credere alle costruzioni della propria mente.

    Come dice il bambino del libro di Molesini, le parole dovrebbero aiutare a svelare la realtà inscrivendola nel pensiero verbale, e non ad annullarne il senso astraendosi da essa.

    Anche Cicchitto utilizza le parole storpiandone il senso  «Serve un atto di pacificazione da parte di Napolitano», chiede al Presidente della Repubblica, tramutando la parola “annullamento” in “pacificazione”. E si perché, dato che chiede di annullare la sentenza della Cassazione la frase reale dovrebbe essere questa «Serve un atto di annullamento da parte di Napolitano».

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    Mi è rimasta nella mente anche una frase di un esponente del Pd che per definire in termini verbali i modi distinti in cui viene percepito l’affaire Berlusconi dagli individui del suo partito, che dovrebbe essere di sinistra, e da quelli che appartengono all’azienda/partito berlusconiano, ha parlato di “opposte tifoserie”. Come se un delitto di frode fosse un partita di calcio e ci si potesse schierare tifando o per i giudici o per i delinquenti. Questo è un altro caso di manomissione della realtà attraverso parole scelte appositamente per alterarne il senso.

    Le parole agglutinate in modo da farne un’insalata schizofrenica, dove il contenuto della realtà viene allegramente eluso, vengono ampiamente utilizzate pro domus sua dai client  berlusconiani che vedono nella caduta del loro idolo la loro morte civile. Una condanna per frode fiscale viene tradotta come un atto di persecuzione e Cicchitto parla di  «pacificazione» come se si trattasse di una lite tra ragazzini da far mitigare dal padre buono.

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    Utilizzo la saggezza antica inscritta nel XIX canto dell’Odissea Omero in cui si parla di sogni, per cercare il giusto suono che racconti di come l’intenzionalità cosciente o inconscia  contenuta nelle parole possa o “avvolgere d’inganni la mente”, oppure “venire incoronata dalla verità … se un mortale la sa “udire”. E, se un mortale lo sa “udire”, il suono dell’eco del linguaggio articolato, scritto o espresso attraverso la voce,  rivela il pensiero verbale nascosto.

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    Il linguaggio articolato, dovrebbe – il condizionale a questo punto è d’obbligo – dare un nome a quelle realtà invisibili senza le quali le cose percepite perderebbero senso e non potrebbero venire giudicate attraverso un inconscio processo di individuazione della verità che in continuo divenire si accampa davanti alla nostra mente.

     E anche se qualche disonesto può credere e affermare che le uniche realtà esistenti sono quelle percepibili dai cinque sensi, in realtà, come dice il bimbo protagonista del libro citato, le cose non stanno così «(…) le cose che non si vedono sono molte di più, (del dato sensibile N.d.R) e più importanti».

    Le parole male utilizzate distorcono la comprensione: ad esempio si usa il verbo “sentire” al posto di “udire” impoverendo il primo del suo profondo eco semantico legato a quel qualcosa di non percepibile che va ben al di là dei cinque sensi. Questo non succede nel castigliano in cui  il verbo “sentir” non viene utilizzato in luogo di “oír”, udire, ma solo per esprimere un sentimento interiore.

    Gli individui intelligenti sono infaticabili cacciatori di senso e cercano i contenuti della realtà invisibile con l’unico strumento che hanno a diposizione: il pensiero verbale. Senza quel pensiero, che a volte si traduce in scrittura, l’essere umano è esposto alla balia di una realtà esterna fluttuante che potrebbe travolgerlo e portarlo alla perdita del senso profondo della propria esistenza. Senza la salvaguardia continua ed ostinata del proprio pensiero verbale – che ha la propria matrice nel pensiero per immagini scaturito dall’incontro, alla nascita, tra natura organica e energia*  – l’essere umano si deve accontentare di una cultura egemone ed uniformarsi acriticamente al pensiero comune introdotto dall’esterno come cibo per maiali.

    Senza un’identità capace di identificarsi dal pensiero dominante non potremmo resistere alle spinte, ai condizionamenti culturali e religiosi, e saremmo costretti a credere che il pensiero egemone udito e letto, sia l’unico strumento in grado di decifrare il reale. La parola accettata o utilizzata senza essere pesata, compresa, “sentita”, come scrisse Hölderlin, è in grado ferire la propria realtà interna alterando la decifrazione del reale. E mille e mille ferite non avvertite, e non curate, portano alla morte dell’identità umana, all’impossibilità di conoscenza e a perdere i propri passi nei labirinti del senso.

    4 agosto 2013

    * Qui mi rifaccio alla “Teoria della nascita” dello psichiatra Massimo Fagioli

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