• L’umano ai tempi del colera – Anaffettività: i sintomi del contagio …

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    Invasion-

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     di Jeanne Pucelli

    «Mai come ora, in tutta la storia umana, il mondo è stato pieno di dolore e di angoscia. Eppure ogni tanto incontriamo individui intatti, senza macchia, come preservati dalla lebbra comune. E non si tratta di individui privi di sensibilità, anzi! Sono esseri emancipati. Per loro il mondo non è quello che appare a noi. Loro lo vedono con altri occhi.» Henry Miller [1][1]

    Erano giorni che giravo intorno a un pensiero che stava divenendo ossessivo: la “peste sociale”, intesa come disumanizzazione del vivere civile. Avevo pensato a La peste di Albert Camus ma anche a Cecità di José Saramago che se vogliamo ne è il “remake”. Nel romanzo di Camus i primi sintomi visibili della peste – che rappresenta il nazifascismo ma non solo – che deflagrerà in tutta la città sono i topi che escono dalle fogne per morire nelle vie di Orano. Nella nostra società i sintomi della peste sociale sono molteplici e quasi invisibili perché si celano nel pensiero verbale degli individui e nella “banalità della ragione”.

    Certo potremmo immaginare, come fece Boccaccio nel Decameron, di salvarci dalla peste che ammala il pensiero, ritirandoci in buona compagnia in un luogo ameno del pensiero; potremmo decidere di non frequentare luoghi fisici e mediatici dove la stupida violenza e le intenzionalità inconsce non si nascondono e si realizzano, come direbbe l’inventore del pensiero nazista Heidegger, nell’autenticità dell’essere per la morte … dell’altro, naturalmente.

    Potremmo, ma sarebbe l’ennesimo codardo Aventino della nostra realtà umana che affonda le sue  radici proprio nel rifiuto del disumano. Rifiuto che ogni giorno va alimentato.

    bla bla

    Come dicevo erano giorni che giravo intorno a questo pensiero, quando mi sono imbattuta nell’articolo di Flore Murard-Yovanovitch[1][2]  Borsegggio e Barbarie pubblicato l’8 giugno 2014 su ComUnità. L’articolo di Murard-Yovanovitch narrava della morte di un “moldavo”[2][3] di 55 anni che, a quanto scrivono i giornali, era un borseggiatore recidivo. Il decesso potrebbe essere succeduto ad un linciaggio. I fatti e le cause della morte devono essere ancora vagliati dagli inquirenti tramite l’autopsia, le testimonianze e visionando il contenuto dei filmati delle telecamere di sorveglianza.

    L’autrice dell’articolo scriveva evidenziando le cause culturali di episodi di feroce razzismo come questo: «Colpisce invece il silenzio totale dei commentatori e del sindaco. Come se fosse  accettato come “normale” che si possa dare la caccia o uccidere per un portafoglio.(…) Un’aggressione razziale in pieno centro della capitale. Silenzio, mentre dovrebbe essere l’ennesimo campanello d’allarme per aprire un’urgente riflessione pubblica sulla violenza razzista e le sue radici culturali, sul tipo di società che stiamo diventando.»

    Fin qui tutto bene, una denuncia intelligente che non si ferma ai fatti tragici ma va oltre facendo suonare nel silenzio istituzionale e mediatico il campanello d’allarme per una società sempre più violenta e xenofoba. Ciò che però mi ha sorpreso e disgustato sono stati i commenti al suo articolo. Commenti che, visto che sono stati scritti su un giornale come L’Unità, si presume vergati da chi crede, come tutti i renziani, di essere di sinistra. I commenti erano derisori, sarcastici e chiaramente avevano l’intento, tipicamente schizoide, di distruggere le certezze della giornalista. Prendo alcune frasi esemplari di questi “galantuomini” e di una “gentile signora”:

    « L’unica cosa certa di un’assai incerta vicenda è che la sig.ra Murard-Yovanovitch non ha trovato un gran pretesto per lanciarsi nella tiritera, un po’ stucchevole, sull’innato razzismo italico.» Sergio C.

    «esiste un limite a tutto superato quello può succedere di tutto – questo porta a farsi giustizia da soli se non esiste una giusta punizione parametrata ai vari tipi di reati ed in Italia questo purtroppo non esiste – io da uomo di sinistra sono per la pena di morte e non trovo controsenso al mio pensare!» Roberto P.

    «questo articolo e di un buonismo stucchevole ed ipocrita come pochi… Rassisti» Giampasquale M. (“Rassisti” probabilmente è una licenza poetica N.d.R.)

    «se fossi abbastanza forte anch’io mi farei giustizia da sola» Fernanda S.

    Mi sembra che ce ne sia abbastanza per confermare tutto ciò che Murard-Yovanovitch ha scritto nel suo articolo. Qui c’è gente che se fosse presente ad un evento drammatico come quello accaduto a Roma, avrebbe probabilmente partecipato al linciaggio del borseggiatore o quantomeno avrebbe girato la faccia dall’altra parte senza muovere un dito. E questo, lo posso testimoniare quale frequentatrice accanita dei mezzi pubblici, è il sentimento generale.

    Pochi, come direbbe Henry Miller, si salvano da queste lebbra comune che ha le sue radici nella pulsione di annullamento[3][4] àgita da individui intossicati psichicamente da un alto tasso di anaffettività. La parola “buonismo”, come la parola “complottismo”, viene utilizzata per storpiare e svilire l’intenzionalità di chi, essendo un portatore sano di umanità, non può che vedere i sintomi della malattia sociale e quindi denunciare l’inumanità che attraversa il suo sguardo non opacizzato da carenze affettive.

    Queste carenze d’umanità che purtroppo hanno invaso, come la peste raccontata da Tucidide, da Lucrezio, da Manzoni e infine da Camus, le nostre strade e autostrade, le nostre bacheche di face book, l’informazione mediatica, la politica, e ogni angolo della nostro vivere quotidiano, trovano il loro primo movente nelle dimore private di una grande strato di popolazione. A vari livelli patologici, naturalmente.

     Pochi giorni fa un “giornalista” renziano, di cui preferisco non fare il nome, che nella sua grave scissione non si rende conto di confermare e di negare l’esistenza della sinistra nei suoi inginocchiati articoli e commenti pro-Renzi, di fronte ad un mio articolo molto critico sulla governance renziana, invece di instaurare una dialettica civile, e nonostante non mi conosca personalmente, non ha trovato di meglio che tacciarmi di, nell’ordine: essere fuori dalla realtà e quindi paranoica; di essere perdente, spocchiosa, disimpegnata, salottiera; di essere amica intima di Fausto Bertinotti – forse mi ha scambiato per Valeria Marini -; di appartenere alla vecchia guardia di una sinistra tramontata, ecc. ecc. Concludeva i suoi commenti salutando renzianamente: “state sereni”.

    Certamente mi andata meglio che a Flore Murard-Yovanovitch, ma anche queste risposte sono un sintomo di quella anaffettività che rende ciechi e violenti.

    Ciechi perché si perde il contatto con la realtà e si dà del “complottista” anche a chi traduce i suoi vissuti in pensiero: come fa il tal politico a parlare di fine della crisi economica se i negozi intorno a casa mia continuano a chiudere e se quando vado al ristorante è sempre libero?

    Come fa il telegiornale a parlare di “uscita dal tunnel”, se le persone attorno a me raccontano di disoccupazione e precarietà e se leggo sul giornali che la natalità si è dimezzata soprattutto per motivi economici?

    Allora non posso non pensare e denunciare che il tal politico mente e che gli informatori  mediatici che sostengono le sue menzogne sono complici di un delitto contro la comunità in cui io vivo.

    È chiaro che c’è l’intenzionalità di accecare anche da parte di quei killer mediatici che, anziché fare il loro lavoro di denuncia, occultano la realtà nascondendola, come fanno le serve pigre, sotto il tappeto. Con questi metodi oscurantisti gli scandali vaticani dei preti pedofili[4][5], il dramma dell’insegnamento di cui – sulla carta stampata – parla sempre e solo Left, si spazzano via dalle pagine dei giornali.

    Due giorni fa Guido Rossi, su ilsole24ore, giornale “di chiara fama comunista” nel suo articolo Perché l’ideologia dei numeri non può sostituire la civiltà dei diritti, denunciava l’assunzione dei numeri utilizzati in economia come paradigma assoluto  nonostante la loro «realtà virtuale»: «L’era contemporanea, – scriveva Rossi – sortita dalle ceneri delle vecchie ideologie, pare averle ora sostituite con una nuova realtà virtuale, costituita dai numeri e dalle loro aggregazioni, che condizionano nel loro complesso le attività degli individui, delle organizzazioni e degli Stati. Ciò induce a ritenere che quella che Norberto Bobbio aveva chiamato “l’età dei diritti” sia stata sostituita da “l’età dei numeri”.»

    Il giornalista denunciava, come fece ormai tre anni fa Andrea Ventura nel suo libro[5][6], “logicamente complottista”, il modo in cui gli individui che siedono nelle alte sfere della finanza, un po’ per fede religiosa e un po’ per delinquenza, invece che interagire con la realtà che si accampa ogni giorno davanti ai loro occhi in forma di crisi economica, credano fideisticamente al dio numero:

    «La base fideistica – scrive Guido Rossi – dalla quale dipendono le realtà economiche e politiche nei vari Paesi è costituita infatti dagli indicatori numerici del benessere, dello sviluppo, ma altresì delle sempre più intollerabili diseguaglianze, della disoccupazione, dell’inflazione, dei deficit e dei debiti pubblici. Le stesse teorie di politica economica hanno ancora come base fondamentale di riferimento il prodotto interno lordo (Pil).

    Se tuttavia quei numeri economici, chiamati a definire il nuovo mondo, fossero anche parzialmente delle mere astrazioni e non rappresentassero affatto la situazione reale che pretendono di descrivere, indurrebbero a scelte sbagliate, come la cosiddetta politica di austerity ha clamorosamente dimostrato.»

    Eppure fino a ieri quando Mario Monti disse: «la linea di Matteo Renzi è la linea del mio governo» pochi hanno avuto il coraggio di fare due più due fa quattro e denunciare che se è così Renzi non è altro che un altro killer dell’economia al soldo della grande finanza. Lo ha detto anche quel simpaticone di Herman Van Rompuy, quando il 29 maggio 2014 si lasciò sfuggire «È urgente e essenziale che l’Unione europea sia anche protettiva, non solo degli affaristi, ma anche degli impiegati e dei lavoratori, non solo quelli con i diplomi e che sanno le lingue, ma di tutti i cittadini». Non credo siano necessarie didascalie o note esplicative per comprendere queste frasi … nel caso leggete la denuncia contenuta in questo articolo.

     Ecco cosa frullava da giorni nella mente a una come me a cui, vivendo continuamente  a contatto con la peste dell’anaffettività, capita a volte di sentir vacillare le proprie “difese immunitarie” che finora gli hanno permesso di vivere senza ammalarsi di quella “malattia invisibile” di cui parla Camus e di quella cecità di cui ha narrato Saramago e prima di lui H.G Wells[1][7].

    La cecità endemica narrata da Saramago, la peste del romanzo di Camus, il colera evocato da García Márquez, la lebbra di cui parla Henry Miller, rappresentano il diffondersi di una contaminazione che si trasmette attraverso i rapporti umani degradati. Un contagio pericolosissimo che inaridisce la mente desertificando la sfera affettiva degli esseri umani.

    E , ripeto, non credo che potremmo trovare un luogo, se non nella nostra mente, per sfuggire al contagio dell’anaffettività. Non rimane che fare come Bernard Rieux, il medico protagonista de La peste di Camus,  che lotta strenuamente per salvare dalla peste quei pochi esseri umani che hanno conservato una vitalità sufficiente a salvarli dalla morte, denunciando come ha fatto, Flore Murard-Yovanovitch il contagio del razzismo e cercando di comprendere  le sue radici culturali, perché se non si fa un’esatta  diagnosi di questa malattia non si potrà mai avere un vaccino culturale in grado di immunizzare larghi strati di popolazione.

    Reux finito il contagio, nel suo rapporto alle autorità, afferma la necessità di una prevenzione contro un eventuale futuro ritorno della peste, i cui bacilli possono restare inerti per anni prima di colpire ancora. Se osservate con attenzione la realtà sociale e i suoi epifenomeni vedrete che i bacilli del contagio che rende disumani, in questi ultimi tempi sono quanto mai virulenti.

    10 giugno 2014

    [2][1] Henry Miller – Il sorriso ai piedi della scala  – Feltrinelli – Luglio 1980 – pag. 77

    [3][2] Flore Murard-Yovanovich è autrice del libro DerivePiccolo mosaico del disumano – Leggi qui una recensione

    [4][3] Scrivo “moldavo” perché finora non si conosce il nome della persona morta per maltrattamenti nella metro di Roma

    [5][4] Faccio riferimento alla “teoria della nascita” di Massimo Fagioli. Leggi qui un articolo che parla del suo primo libro

    [6][5] Faccio riferimento al libro di Federico Tulli Chiesa e Pedofilia. Leggi qui un’intervista all’autore

    [7][6] Andrea Ventura – La trappola – Radici storiche e culturali della crisi economica  – Leggi qui una recensione

    [1][7] H.G. WellsIl paese dei ciechi Leggi qui il racconto

    • Analisi estremamente precisa di ciò che viviamo oggi, nel 2021. Penso che l’abbandono dei legami con la Madre Terra, sostituiti da quelli con manufatti, considerati più preziosi di un seme, una fonte, o una farfalla, abbiano reso la specie umana anaffettiva, e pertanto a concreto rischio di estinzione, non solo da conflitti sociali, ma anche dalla perdita dell’immunità biologica.

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