• Lettera di M.me Sidonie Nádherny de Borutin a Adriano Meis

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    Johann Heinrich Füssli – L’incubo abbandona il giaciglio di due fanciulle dormienti

     

    Gentilissimo Adriano Meis,

     

    leggendo l’editoriale a sua firma, non ho potuto fare a meno di pensare alla storia di un settimanale – “I discorsi dei pittori” – pubblicato a Zurigo tra il 1721 e il 1723. Si trattava di uno dei primi “settimanali morali” tedeschi, vale a dire di quelle pubblicazioni periodiche che, sull’esempio del Tatler, del Guardian e soprattutto dello Spectator inglesi 1), oltralpe fecero da levatrice a molte cose: dettero l’impulso alla nascita della lingua e della letteratura tedesca moderna, del giornalismo, della storiografia, della riscoperta della letteratura medievale e – entre-autres – anche alla nascita dell’estetica tedesca. E’ infatti soprattutto in ambito estetico che si ricordano gli autori dei “Discorsi dei pittori”, Johann Jakob Bodmer e Johann Jakob Breitinger, detti “gli svizzeri”, che in questo campo la pensarono diversa dai “tedeschi”, uno per tutti Johann Christoph Gottsched, con il quale la scaramuccia attraversò il Reno si protrasse per decenni.

     

     Johann Jakob Bodmer e Johann Jakob Breitinger

     

    Voler parlare di svizzeri dopo la celebre battuta ne “Il terzo uomo” di Orson Wells, che li vuole unicamente inventori degli orologi a cucù, mette in difficoltà. Ma nel caso di Bodmer e Breitinger, mi sia concessa di rammentare quanto la cultura tedesca a loro deve, dalle prime edizioni stampate dei Nibelunghi e del Parzival alle prime traduzioni in tedesco di Dante, Milton 2), Cervantes, Omero, dei classici greci e alla diffusione dell’opera di Shakespeare. Tutte le loro riflessioni, scoperte e opere, presero le mosse proprio da quei “Discorsi dei pittori”, consistenti in 94 “fogli” settimanali che pubblicarono appena ventenni. E sulla scia di questi nacquero poi in Germania una miriade di periodici simili e infine rinacque – dopo la catastrofe della Guerra dei Trent’anni che aveva completamente annichilito ogni espressione letteraria in lingua tedesca per oltre un secolo – anche la letteratura tedesca moderna. E se mi permetto di scrivere proprio a lei, caro Meis, un po’ di quei due svizzeri e dei loro discorsi da pittori, ciò non è casuale.

     

    Per comprendere l’importanza dei settimanali morali per la futura letteratura tedesca, bisogna prendere coscienza della loro natura singolare: è un genere letterario a se stante 3), a partire dalle caratteristiche generali, che sono la pubblicazione periodica senza termine stabilito, l’accesso per un pubblico vasto e la varietà del contenuto – che è di “trattato morale”, ma laico. E bisogna tenere a mente anche il contesto di pubblicazione, prettamente protestante-calvinista. Nel caso dei Discorsi dei pittori, questo era anzi zwigliano-calvinista, che si distingue da quello cattolico, come da quello luterano. La natura laica dei Discorsi in specie, si evidenzia dando un’occhiata a ciò che veniva pubblicato all’inizio del Settecento nella città di Zurigo, città che allora impersonava il modello governativo basato sui dogmi protestante-calvinisti unificati 4), non solo per le comunità elvetiche, ma per adesione dei non-luterani esteri, anche per quelle tedesche, olandesi, inglesi e quindi statunitensi. Gli ecclesiali zurighesi erano inoltre ferocissimi oppositori del pensiero razionale cartesiano, alla cui diffusione si opposero con ogni mezzo e metodo. Ebbene, in questa roccaforte dell’ortodossia, si potevano pubblicare (e quindi leggere) praticamente soltanto: la bibbia (tradotta da Zwingli), prediche, libri di preghiere, salmi, catechismo e libri scolastici benedetti dalla censura cittadina-religiosa. E avevano il permesso di pubblicare tali libri soltanto pochi tipografi (gli editori di allora), “fidati” e strettamente imparentati con l’oligarchia.

     

    A denunciare al consiglio cittadino l’esclusività del mercato editoriale, furono nel 1714 due tipografi – uno di nome Lindinner – lamentando che soltanto tre tipografie avevano diritto di stampare “ciò che si vendeva”, la letteratura religiosa appunto. Non avendo gli altri tipografi accesso a questo core business, dovettero cercarsi altro da pubblicare; ma che cosa, visto che tutto ciò che era letteratura laica – dalla poesia ai romanzi agli scritti filosofici non classici – era considerata opera del diavolo e quindi soggetto alla  rigidissima censura? Aggirarla era infatti possibile quasi soltanto alleandosi con editori tedeschi, stampando città estere come luoghi di edizioni sui frontespizi. 

    Successe che negli stessi anni dell’appello del tipografo Lindinner per liberalizzare il mercato editoriale, a Zurigo stava raggiungendo l’adolescenza Johann Jakob Bodmer, figlio del pastore della vicina località di Greifensee che raggiunta la maturità, aveva più o meno due prospettive: diventare pastore o entrare nella manifatture di seta degli Orelli – famiglia della madre, discendente di valdesi italiani rifugiati a Zurigo alla fine del Cinquecento 5). Il giovane Bodmer era un entusiasta divoratore di qualunque pagina di letteratura gli capitasse sotto gli occhi. Rifiutò gli studi teologici e fu allora mandato a Milano presso imprenditori imparentati per un apprendistato commerciale. Ma tornò in patria con sotto il braccio una edizione della Gerusalemme Liberata del Tasso, una edizione francese (incompleta) dello Spectator e il chiodo fisso di voler fare lui stesso uno Spectator, in lingua tedesca e a Zurigo!

     

    Confinato in campagna dal padre, il giovane per mesi studiò a fondo gli scritti di Addison e Steele, scrisse agli amici del liceo per coinvolgerli nel suo progetto e cercò un editore per questa pubblicazione innovativa che aveva come proposito quello di far “ragionare il pubblico” sulle proprie male abitudini e cattivi gusti, elevandolo a comportamenti “giusti”. Non a caso l’editore sarebbe stato proprio il Lindinner di cui sopra. E in seguito all’avventura dei Discorsi, compreso che la libertà di espressione dipende strettamente dalla possibilità di stampare, Bodmer stesso pensò bene di fondare da sé una casa editrice-tipografia, una delle più importanti per la storia dell’editoria tedesca.

     

     

    Oltre alle caratteristiche di un periodico laico-illuminista  indirizzato ad un vasto pubblico, ciò che fece dei settimanali morali tedeschi un genere letterario a se stante, fu però la singolare qualità letteraria, derivante dal modello dello Spectator al quale tutti si ispirarono: tutto ciò che si leggeva in questi settimanali, era “in realtà” detto all’interno di una cornice fittizia, di una cerchia di amici, di un club dove si discute o scritto da un autore anonimo che racconta con nom de plume (società immaginarie, lettere e diari immaginari, io lirico). Nel caso di Zurigo, fu proprio questo spessore letterario a dare del filo da torcere ai giovani autori, perché nel contesto iconoclasta radicale, anche sul piano letterario – e contrariamente a Lutero per il quale le “favole” avevano un valore edificante utile per il popolo – parlare di storie immaginate o immaginarne da sé era molto difficile. E ci fu poi quest’altro tratto letterario  – detto “carattere” – che contraddistingueva le pubblicazioni inglesi: esse procedevano nella denuncia dei malcostumi, impersonandoli in figure -personaggi che rendevano il lato negativo – il pedante, il falso erudito, il goloso, ecc. – ridicolizzandoli volentieri anche per la delizia del pubblico. Veniamo così a trovarci nel campo della satira, espressione che a Zurigo allora neanche si conosceva, tanto era tabù.

    Tenendo a mente l’aridissimo contesto culturale zurighese, in cui né  si poteva né si sapeva inventare, il fatto che i giovani Bodmer e Breitinger fossero riusciti a pubblicare per ben più di un anno il loro settimanale morale “Discorsi dei pittori”, firmandosi di volta in volta “Angel”, “Carrache”, “Dürer”, “Holbein”, “Rubeen”, “von Urbin”, ecc., ha dell’incredibile. Che riuscissero nell’impresa di sdoganare la letteratura, l’invenzione letteraria e addirittura la satira, si deve anzitutto alla loro capacità di argomentare con e contro la censura, trasponendo lo scontro con essa 6) a livello pubblico – all’interno del loro settimanale e mantenendo la cornice letteraria – facendo della difesa del loro scrivere, l’oggetto stesso della pubblicazione. Ragione per la quale troviamo dei numeri intitolati: “Immaginazione”, “Arte poetica, pittura e scultura” o anche, “La sola morale non basta, esempi: satira” oppure ancora “Cosa vogliono i pittori”.  E proprio da questi numeri prenderà spunto l’Estetica tedesca con la maiuscola, campo della riflessione teorico -astratta sulla natura della “poetica”. Gli svizzeri con il loro ossimoro di pittori che parlano, si rifacevano più semplicemente al principio “ut pictura poesis”, idea vecchissima, ma che allora a Zurigo andava a incarnare un incandescente progetto letterario ad alto tasso di pratica, esercitata all’interno di quel sottile ma significativo spessore dell’invenzione letteraria che poi avrebbe caratterizzato la letteratura tedesca moderna: una distanza più o meno impercettibile tra autore e personaggio (Werther è Goethe?).

     

    I “pittori” non erano dei rivoluzionari, erano patrioti amanti della letteratura. Erano moralisti, oggi una bestemmia, ma allora un gran progresso. Perché dal predicatore dei peccati ad un popolo di fedeli tenuti nell’ignoranza con la censura, al diffusore di conoscenze e educatore al proprio ragionare e buon gusto presso “il pubblico”, corre un salto di qualità di laicità che oggi difficilmente riusciamo ad afferrare. Per questo l’impresa dei Discorsi richiese molto coraggio e tanta fiducia nelle proprie certezze, che furono di natura letteraria anzitutto, raramente smentite da Bodmer e Breitinger lungo tutte le loro vite.

     

    Coraggio e certezza, gentile Meis, che mi riecheggiano leggendo il suo primo editoriale de “I giorni e le notti”, forse proprio per la faccenda degli pseudonimi, che potrebbe rilanciare ben oltre il “feuilleton”.

     

    Con i miei migliori auguri di buona riuscita, le mando i miei più cordiali saluti

     

    Sidonie Nádherny de Borutin

     

    Qui la riposta alla lettera

     


     

     

    1) Joseph Addison: “The Tatler, or Lucubrations of Isaac Kicherstaff”. London. 1709-1711; Joseph Addison: “The Guardian”. Londono. 1713. Joseph Addison, Richard Steele: “The Spectator. London. 1711-12/1714.

    2) Bodmer lavorò per trent’anni alla traduzione di Paradise lost (non sapendo l’inglese, iniziò con un dizionario, inglese-latino) e vinse infine la battaglia con la censura per poterlo pubblicare.

    3) L’evidenziazione della natura specifica dei settimanali morali si deve a Wolfgang Martens: “Die Botschaft der Tugend. Die Auflärung im Spiegel der deutschen Moralischen Wochenschriften“. Stuttgart 1968/71.

    4) In base alla “Confessio Helvetica posterior” del 1566, ai “Canones di Doderecht” del 1617/18 e alla “Formula Ecclesiarum Helveticarum Refomatorum” del 1679.

    5) Gli Orelli (poi anche Orell) ottennero la cittadinanza zurighese nel 1679, ma soltanto dopo aver minacciato di ritirare le loro industrie dal territorio, privando le casse cittadine del 12 % degli introiti di tasse.

    6) La censura si scatenò sin dal primo numero, chiedendo all’editore di svelare l’identità degli autori.

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