Carlos DeLuna
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Nel 1946 la collaborazione di Camus a Combat è rappresentata solo da questi otto articoli della serie Né vittime né carnefici che da oggi pubblicheremo sul nostro Diario polifonico.
Questi articoli vennero scritti dallo scrittore francese per rispondere a due problemi che lo premevano. La prima risposta, di ordine pratico, fu quella di dare una mano al giornale Combat che stava rischiando la chiusura; la seconda, nobile, fu per lanciare un grido di allarme e di protesta contro il dominio del terrore che si stava instaurando nel mondo e contro la legittimazione dell’omicidio che lo sottendeva. Né vittime né carnefici disegna le urgenze etiche di Albert Camus in quel periodo storico in cui le speranze di pace e di un rinnovamento radicale della società dell’immediato dopoguerra si andavano via via appannando.
Questa serie di articoli, oltre ad essere assolutamente attuali, rivelano la fonte della crisi sistemica che stiamo vivendo.
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(2) Salvare i corpi
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Dopo che ho detto, una volta , di non riuscire più ad ammettere, dopo l’esperienza di questi ultimi due anni, alcuna verità che potesse costringermi, direttamente o indirettamente, a far condannare a morte un uomo, alcune persone che stimavo mi hanno talvolta fatto notare che coltivavo un’utopia, che non c’era verità politica tale da non poterci condurre un giorno a quegli estremi, e che occorreva dunque o correre il rischio di simili estremi o accettare il mondo così com’era.
L’argomento veniva adotto con forza. Ma credo innanzitutto che ci mettessero così tanta forza unicamente perché non riuscivano a immaginare la morte degli altri. È una stranezza del nostro secolo. Così come ci si ama per telefono e si lavora non più sulla materia, ma sulla macchina, oggi si uccide e si è uccisi per procura. Ci guadagna la pulizia, ma la conoscenza ci perde.
Tuttavia questo argomento ha un’altra forza, per quanto indiretta: esso pone il problema dell’utopia. Insomma, le persone come me non vorrebbero un mondo nel quale non ci si uccide più, (non siamo così pazzi!), ma un mondo un cui non sia legittimato l’omicidio. E qui di fatto, siamo mesi di fronte tanto all’utopia che alla contraddizione. Poiché viviamo, per l’appunto, in un mondo in cui l’omicidio è legittimato, e dobbiamo cambiarlo se non vogliamo più omicidi. Sembra però che non lo si possa cambiare senza esporsi all’eventualità dell’omicidio. L’omicidio ci rimanda dunque all’omicidio e continueremo così a vivere nel terrore, sia che si accetti la cosa con rassegnazione, sia che la si voglia annullare con mezzi che la sostituiranno con un altro terrore.
Tutti, a mio avviso, dovrebbero riflettere su questo. Ciò che più colpisce in mezzo alle polemiche, alle minacce e agli scatti di violenza, è infatti la buona volontà di tutti. Tutti, con l’eccezione di alcuni imbroglioni, dalla destra alla sinistra, sono convinti che la loro verità sia fatta apposta per dar luogo all’umana felicità. Ciononostante, la confluenza della buona volontà di tutti ha come risultato questo mondo infernale nel quale degli uomini sono ancora uccisi, minacciati, deportati, in cui si prepara la guerra, e dove basta dire una parola per essere insultato o traditi all’istante.
Che cosa concluderne? Che se persone come noi vivono nella contraddizione, essi non sono i soli a farlo, e che chi che li accusa di utopia vive a sua volta coltivando un’utopia, senza dubbio differente, ma in definitiva non meno dispendiosa.
Occorre dunque ammettere che il rifiuto di legittimare l’omicidio ci obbliga a riconsiderare la nostra nozione dell’utopia. A tale riguardo pare si possa dire quanto segue : l’utopia è ciò che è in contraddizione con la realtà. Da questo punto di vista, sarebbe del tutto utopico voler che nessuno ammazzi nessuno. Sarebbe l’utopia assoluta. Tuttavia esiste un’utopia di secondo livello, meno forte; chiedere che l’omicidio non sia più legittimato. D’altronde, sia l’ideologia marxista sia l’ideologia capitalista, basate entrambi sull’idea di progresso, convinte entrambe che l’applicazione dei loro principi debba garantire fatalmente l’equilibrio della società, sono utopie di un livello molto più forte. E per di più, stanno per costarci un prezzo altissimo.
Possiamo concluderne che, in pratica, la lotta che s’ingaggerà negli anni a venire non sarà tra le forze dell’utopia e quelle della realtà, ma tra utopie differenti che cercano un’assimilazione con la realtà , utopie tra le quali si tratterà solo di scegliere le meno costose. E sono convinto che non possiamo più nutrire la ragionevole speranza di salvare tutto, ma che possiamo proporci perlomeno di salvare i corpi, in modo che il futuro resti un futuro possibile.
Dunque il fatto di rifiutare la legittimazione dell’omicidio non è evidentemente più utopico degli atteggiamenti realistici di oggi. Tutto sta a sapere se essi costano un prezzo più o meno alto. È comunque un problema che dobbiamo risolvere. E scusate se penso di poter essere utile definendo, in rapporto all’utopia, le condizioni necessarie per placare gli uomini e le nazioni.
Il mio ragionamento, a condizione che la si faccia senza paura e senza presunzione, può contribuire a creare le condizioni di un pensiero giusto e di un accordo provvisorio fra chi non vuole essere né vittima, né carnefice.
Beninteso, non si tratterà, negli articoli che seguiranno, di definire una posizione assoluta, ma soltanto di correggere alcune nozioni oggi travisate e provare a porre il problema dell’utopia nel modo più corretto possibile. Si tratterà, insomma, di definire le condizioni di un pensiero politico modesto, ossia depurato da ogni messianismo e spogliato della nostalgia del paradiso terrestre.
Albert Camus