Muhammad Riyad, il 17enne che sul treno ha ferito
cinque passeggeri con un’ascia e un coltello
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di Gian Carlo Zanon
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«(…) rifiutai il termine regressione che era il Minotauro nato dalle orrende parole freudiane che definivano l’istinto di morte: tendenza al ritorno allo stato precedente.(…) Non c’era più il termine distruzione che era modificazione della forma di una realtà materiale. Il termine violenza andò ad abbracciare le parole: esistenza e non esistenza perché il termine “istinto di morte” non era più istinto di morte. Era pulsione di annullamento»
Massimo Fagioli – Sentii nel sogno, il dolore della donna negata
Rubrica: Trasformazione – Left n. 29 2016 – pag. 64
In questi giorni sembra che gli abitanti del pianeta terra siano stati invasi da uno di quei virus invisibili di cui si parla in molti film di fantascienza come L’invasione degli ultra-corpi. Da Dhaka, Londra, Dallas, Nizza, da Baton Rouge in Louisiana e dal treno in Baviera giungono gli echi dell’orrore generato da menti malate che trovano nella cultura razzista – e nella religione monoteista che la genera – un senso da dare ai loro deliri nichilisti.(1)
Non vorrei essere troppo cinico ma mi sembra che pochi vogliano capire fino in fondo ciò che sta accadendo e che quindi l’unica reazione rilevante sia quella sindrome, iniziata con la “strage di Charlie Hebdo”, che porta compulsivamente a scrivere “je suis …”.
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ﷲالل أَكْبَر ولكن منمجنون
Allah is great … but is crazy
Allah est grand … mais il est fou
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Molti commentatori – tra cui Marco Travaglio – in questi giorni parlando del mostro della Promenade des Anglais di Nizza, Mohamed Lahouaiej Bouhlel, hanno scritto inquadrando gli autori delle stragi nella malattia mentale: «era uno jihadista inquadrato, – scrive Travaglio – era un pessimo musulmano, beveva come una spugna, andava a donne, non rispettava il Ramadan, nessuno l’ha mai visto in moschea. Era semplicemente un pazzo solitario, ma tutt’altro che scemo, (…)».
Aveva iniziato un grande giornale francese come Le Monde il 16 luglio ad indicare la pazzia come matrice dell’”attentato” di Nizza strillando in prima pagina «C’est l’acte d’un fou». Poi molti hanno assunto questa impostazione d’oltralpe.
Sul Corriere del 17 luglio un’inchiesta di Alessandra Coppola e Guido Olimpio intitolata Jihadismo e follia affermava il che 10% dei foreign fighter è schizofrenico. Il 10% mi sembra un po’ poco, ma è già un passo avanti: sfido chiunque a mostrarmi un ragazzo normale che parte per fare il foreign fighter e/o che per mostrare la sua sottomissione ad Allah uccida in modo macabro un “infedele”.
L’inchiesta dei due giornalisti del Corriere delinea bene l’identikit dello psicotico la cui «diagnosi si associa spesso a quella degli assassini di massa americani, (…) Si tratta di individui isolati sul piano psicologico, «perdenti» nel contesto sociale, con una vita familiare spesso turbolenta o precaria, segnata da fratture profonde (un divorzio doloroso, un licenziamento inatteso, il rifiuto di un prestito o ancora una questione burocratica inceppata). La valvola di sfogo può essere l’Islam radicale. (…) Chi non riesce a partire per il Medio Oriente può essere facilmente «riciclato»: sono i «lupi solitari» incoraggiati all’azione nei Paesi in cui si trovano. Non sono in grado di raggiungere il Medio Oriente, ma sono capaci di aprire il fuoco in una discoteca o di salire su un camion per fare una carneficina. Gli attentatori — vale per Bouhlel a Nizza o per Omar Mateen che ha fatto strage a Orlando, per esempio — si considerano «vittime di ingiustizie», vere, presunte o inesistenti.»
Vi è quindi un delirio di persecuzione, tipico della schizofrenia, a monte degli atti efferati. Per lo schizofrenico non conta il dato della realtà: «Ciò che conta è la loro percezione. – conta il “nesso strano” – Si sentono minacciati, in guerra con il prossimo, per cui pensano che il gesto estremo possa gratificarli. E anche redimerli. Se fossero laici, si toglierebbero la vita. Cresciuti da islamici, invece, benché spesso ignoranti della propria religione, attratti dalle promesse di «gloria» dei predicatori radicali (in carne e ossa o più spesso sul web) cercano un’uscita di scena da «martire» e imitano — il punto è questo — gli attentatori suicidi. In questo modo, il proprio nome non sarà associato a un solitario atto di follia, destinato a essere presto dimenticato, bensì all’attacco di un’organizzazione famosa come lo Stato Islamico o Al Qaeda. In questo modo, inoltre, la vita precedente di peccati e fallimenti viene «purificata» e riabilitata.»
Bouhlel – “colpito sulla via di Damasco” da quello che molti ormai definiscono “unexpected Jihad” o “instant Jihad”, vale a dire una folgorante e inaspettata adesione alla guerra santa – solo dopo il massacro di Nizza è diventato «un soldato del Califfato». Fino a un mese prima, era un “signor nessuno”, con grossi problemi psichiatrici e comportamentali: visitatore assiduo di siti pornografici, bisessualità, allontanato dalla moglie perché violento, visto di malocchio dai vicini: «Il suo percorso ricorda di nuovo quello dei «mass shooter» statunitensi che per lungo tempo macerano nei propri tormenti, simulano una vita anonima e innocua. Poi all’improvviso una scintilla, una situazione contingente che accende la miccia e li trasforma in bombe. C’è un’evidente sovrapposizione tra le due realtà: la prima appartiene al privato, la seconda arriva quando scoprono l’impegno politico. In questa ultima veloce fase, il killer sceglie il movente che preferisce per giustificare la sua follia.»
Mi sembra un’analisi condivisibile e in linea con la nostra ricerca. In un articolo del 16 giugno 2016 eravamo arrivati alle identiche conclusioni. (Leggi qui)
Ormai tutti i commentatori seri inseriscono individui come Anders Behring Breivik il boia norvegese, Andreas Lubitz, il co-pilota che si è schiantato volontariamente sulle Alpi francesi con l’Airbus della GermanWings, causando la morte delle 150 persone a bordo “, i mass shooters americani, e Mohamed Lahouaiej Bouhlel l’uomo della strage di Nizza, nella stessa sfera della malattia mentale. Se ne parlava, in termini di psicopatologia, anche questa mattina a Tutta la città ne parla su Rai3. Era ora.
Questi carnefici assassini e suicidi che trascinano con sé nella morte vittime innocenti, cercano e trovano un movente che dia senso e gloria imperitura al loro delirio nichilista. Tanti Sansoni psichicamente castrati, che cercano di equilibrare la loro nullità identitaria in un gesto clamoroso che sarà applaudito da uno stuolo di fanatici che fanno la “ola jihadista” mentre aspettano il loro turno per il sacrificio che li purificherà dal senso di colpa dovuta alla loro “occidentalizzazione”. Chissà come saranno contenti questi stupidi quando sapranno che il loro compagno d’armi era bisessuale e pazzo per tutte le ruote come pare fosse anche il mass shooter di Orlando!
Lo scrive anche Massimo Ammanniti su Repubblica del 17 luglio inn un articolo titolato Nella mente del killer, Un soggetto ai margini per cui la fede è un pretesto. Ammanniti però non può fare a meno di citare il solito Freud e i suoi edificanti paradigmi parlando di : «regressione a meccanismi di funzionamento primitivi, per cui viene meno la responsabilità individuale e la coscienza morale». È un antico ritornello, “sempre quello”.
In una lettera del 1932 a Albert Einstein, Sigmund Freud (leggi qui) espresse palesemente il suo pensiero delirante sulla realtà umana: secondo lui essere umano e animale si equivalgono. Ciò che succede nella società umana, scrive Freud a proposito della violenza degli esseri umani «avviene in tutto il regno animale, di cui l’uomo fa inequivocabilmente parte». Per il viennese «Il piacere di aggredire e distruggere» fa certamente parte di una realtà umana. «Questi impulsi distruttivi (…) mescolati con altri impulsi, erotici e ideali, facilita naturalmente il loro soddisfacimento». SIC
Mi allontano da Freud e dal suo epigono e cerco parole e espressioni verbali che possano fare luce su questi drammi che si ripetono ormai quasi quotidianamente: trovo “nichilismo”, “istinto di morte”, “pulsione di morte”, ma anche “pulsione di annullamento”.
La prima ricerca su queste parole, mio malgrado, mi riporta di nuovo nel salotto intriso di puzza di sigaro. Faccio una doverosa premessa: ben poco di ciò che viene attribuito al viennese, compresa la cosiddetta “scoperta dell’inconscio”, gli appartiene. Potremmo definirlo un antesignano del “copia e incolla”, vezzo di un noto intellettuale nostrano.
La vulgata freudiana viene da tempo annichilita da molte ricerche, come ad esempio dal testo “La scoperta dell’inconscio” di H.F. Hellenberger, (2) nel quale si narrano tutti i passi della ricerca psicologica e psichiatrica, dal 4000 a. C., all’era contemporanea. Oltre a suoi centinaia di articoli pubblicati da dieci anni settimanalmente su Left, esiste, dal 1972, il volume cardine della teoria psichiatrica di Massimo Fagioli, Istinto di morte e conoscenza che toglie al “pensiero” freudiano ogni parvenza di scientificità. E ne esistono altri molto più recenti: Assalto alla verità di Jeffrey Manson; le Livre noir de la psychanalyse stilato da 40 autori internazionali tra psicoterapeuti di vario orientamento, ex psicoanalisti, neuroscienziati e filosofi della scienza e Crépuscule d’une idole di Michel Onfray che pochi anni fa mandò nel panico tutta la koinè culturale francese di stampo freudiano.
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«L’ala nera della morte vola dall’Occidente al Bangladesh e Tokio. È, forse, credenza nello spirito che distrugge Sodoma e Gomorra. È, forse, “istinto di morte” che vuole inesistente la specie umana o, soltanto, stupida pazzia»
Massimo Fagioli, Warum non è paura della morte. – Left n.33 2016 – (nota inserita il 13 agosto 2016)
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Torno alle parole e trovo “istinto di morte”: l’istinto, è la tendenza innata di un organismo animale ad eseguire o mettere in atto un particolare comportamento. L’istinto è quindi una peculiarità innata dell’animale, inscritta nel suo patrimonio genetico, che viene compiuta nell’identico modo da esseri viventi della stessa specie e che ha per fine la sopravvivenza della specie di appartenenza.
Dire “istinto di morte” è quindi una contraddizione in termini, è un ossimoro assurdo.
Nel regno animale l’uccisione deliberata di un individuo della stessa specie è rarissimo e non esiste il suicidio. L’istinto persegue solamente la sopravvivenza della specie. Non c’è in nessun animale – a meno che non si creda freudianamente che l’essere umano sia un animale – una «tendenza al ritorno allo stato precedente» perché l’istinto serve solo e unicamente per la sopravvivenza della specie.
Purtroppo la cultura occidentale, di cui Freud è un alfiere, ha affibbiato alla specie umana qualcosa che non gli appartiene: l’istinto animale, facendo così quadrare il cerchio dei sistemi filosofici e religiosi imperanti. Nella lettera a Einstein, già citata, Freud assume questo delirio che assegna arbitrariamente l’istinto alla specie umana. Per il viennese l’uomo è un animale, ne «fa inequivocabilmente parte» e conseguentemente crede che l’uomo possa essere dominato da istinti animali «Noi crediamo all’esistenza di tale istinto e negli ultimi anni abbiamo appunto tentato di studiare le sue manifestazioni. (…) Noi presumiamo che le pulsioni dell’uomo siano soltanto di due specie, quelle che tendono a conservare e a unire (…) e quelle che tendono a distruggere e a uccidere; queste ultime le comprendiamo tutte nella denominazione di pulsione aggressiva o distruttiva. (…) Ho qualche scrupolo ad abusare del Suo interesse, che si rivolge alla prevenzione della guerra e non alle nostre teorie. Tuttavia vorrei intrattenermi ancora un attimo sulla nostra pulsione distruttiva, meno nota di quanto richiederebbe la sua importanza. Con un po’ di speculazione ci siamo convinti che essa opera in ogni essere vivente e che la sua aspirazione è di portarlo alla rovina, di ricondurre la vita allo stato della materia inanimata. La guerra sembra conforme alla natura, pienamente giustificata biologicamente, in pratica assai poco evitabile.»
Per Freud i termini “nichilismo”- inteso come «ricondurre la vita allo stato della materia inanimata.» – “istinto di morte” e “pulsione di morte”, si equivalgono e sono sovrapponibili.
L’idea di un istinto che spinga alla distruzione degli altri e di sé, il delirio di tornare al nulla, la credenza di poter eliminare fisicamente la propria nascita: tutto questo e molto altro ancora non è farina del suo sacco. Non sono pensieri di Freud sono pensieri antichi e percorrono tutte le culture. È presente, in particolar modo, in quei sistemi filosofici metafisici e in quei sistemi religiosi che amalgamandosi daranno vita al monoteismo. Lo testimonia F. Nietzsche, nel testo che lo rese celebre Nascita della tragedia. Il filosofo svela, attraverso il mito del Sileno, l’inquietante angoscia che corrode dall’interno la “composta” armonia del mondo greco: «L’antica leggenda narra che il re Mida inseguì a lungo nella foresta il saggio Sileno, seguace di Dioniso, senza prenderlo. Quando quello gli cadde infine fra le mani, il re domandò quale fosse la cosa migliore e più desiderabile per l’uomo. Rigido e immobile, il demone tace; finché, costretto dal re, esce da ultimo tra stridule risa in queste parole: “Stirpe miserabile ed effimera, figlio del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è – morire presto”». E non dimentichiamo che per i cristiani la vita inizia con la morte. Lo sapeva bene Teresa di Calcutta che a settembre sarà santa. (Leggi qui)
I concetti di “nichilismo – nichilista- nichilistico” che sintetizzano questa volontà di «essere niente» li troviamo, così dicono le cronache, per la prima volta in una lettera che negli ultimi anni del 1979 il filosofo tedesco F.H. Jacobi, scrisse a Fichte definendo “nichilistico” il trascendentalismo kantiano. Il termine nichilismo è poi divenuto popolare con il romanzo Padri e figli del drammaturgo russo Ivan Sergeevič Turgenev pubblicato nel 1862 in Russia.
Il concetto di “nichilismo” venne, verso la fine dell’Ottocento, assimilato alla “pulsione di morte/istinto di morte” da due scienziati russi. Ne scrive H.F. Hellenberger nella sua opera La scoperta dell’inconscio, «La storia politica della Russia del diciannovesimo secolo è dominata dall’attività di gruppi rivoluzionari più o meno influenzati dalle tendenze nichiliste, e il nichilismo fu una preoccupazione generale di pensatori e scrittori. È legittimo pensare che non fosse solo per caso che il concetto di pulsione di morte venisse espresso da due scienziati russi verso la fine del diciannovesimo secolo: lo psichiatra Tokarskij e il fisiologo Mecnikov.» (3)
Nella metà del diciassettesimo la setta dei raskolniki – da qui Fëdor Dostoevskij attinge il nome (Raskolnikov) del protagonista del suo romanzo Delitto e Castigo – si diedero la morte con il fuoco pur di non accettare talune modificazioni dei loro libri sacri. Episodio che ricorda ciò che accadde nel 1978 nella Guyana occidentale, quando tutti quasi tutti gli appartenenti al movimento People’s Temple Agricultural Project – fondato dal pastore Jim Jones – si suicidarono. Le vittime furono 909. Anche se genericamente venne considerato un “suicidio rivoluzionario” di massa, alcune testimonianze accusano Jones e i suoi collaboratori di aver consumato un omicidio di massa per poi suicidarsi. Possiamo pensare che il pensiero di Jones e dei suoi bravi fosse alterato più o meno allo stesso modo di quello dei terroristi mussulmani che l’11 settembre 2001 si scagliarono con gli aerei contro le Torri Gemelle e il Pentagono? Io penso di sì!
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Cambiano le date storiche, le armi e le tecnologie e soprattutto il senso da dare all’orrore, ma non cambia la volontà di poche persone profondamente malate di dare e di darsi la morte legittimando la loro pazzia con la religione e/o con un impianto ideologico che propaganda l’odio per il diverso da sé: è chiara l’intenzionalità dei fondamentalisti islamici contro l’identità occidentale che, tra molti altri aspetti tra qui la libertà individuale, dà alle donne la possibilità di realizzare la propria libertà e identità umana censurate in gran parte del mondo, compresa la Turchia, in cui vigono norme, usanze e leggi legate in vario modo alla Shariʿah islamica.
Gli autori degli eccidi vengono reclutati, anche solo attraverso la propaganda esistente sul web, tra quei poveri dementi che cercano un bersaglio dove indirizzare la loro castrazione, di cui incolpano “il mondo occidentale” o “occidentalizzato”, che produce rabbia e odio. D’altro canto l’occidente fa poco o niente per capire e curare questo malessere perché prigioniero a sua volta di un’ideologia teo-filosofica delirante che crede che nell’uomo sia presente una innata e “istintuale” forza distruttiva codificata in vario modo: peccato originale, mancanza originaria, nulla e caos originario, male radicale, istinto di morte.
L’istinto di morte/pulsione di morte è – per coloro che seguono le coordinate filosofiche che fanno capo sia a Freud che al pensiero religioso/esistenzialista – fonte di energia istintiva distruttiva, innato bisogno di distruggere, di uccidere, volontà di dare e di darsi la morte. L’istinto di morte/pulsione di morte, così intesi, si rivolgono verso l’essere umano reale, fisico, materiale. Inoltre, sempre secondo la cultura dominante,”essendo innata”, questa distruttività radicata nel genere umano non è considerata malattia perché la malattia presuppone uno stato precedente di sanità, un agente patogeno, una eziopatogenesi e una possibilità di cura.
Nulla a che vedere ovviamente con l’espressione scientifica “pulsione di annullamento” – coniata dallo psichiatra Massimo Fagioli – generatrice, per cause di rapporto interumano patogeno, di malattia mentale. (4)
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20 luglio 2016
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Appendice del 6 agosto 2016
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«Li chiamano terroristi e soltanto raramente assassini, come se volessero soltanto spaventare, come se volessero soltanto uccidere. Ed io non riesco a credere né all’una né all’altra definizione. La lettura dei fatti accaduti mi dice che sembrano uguali ma, in verità, ogni episodio è diverso. Sembra che la violenza sia senza motivo, comune è vedere che l’intenzione è uccidere molti, insieme. Non c’è odio, non c’è violenza sul singolo.(…)
Lo chiamarono istinto di morte e Dostoevskij scrisse: I demoni alludendo al Male nascosto in ogni essere umano che “ama” uccidere. (…)
Cerco di vedere il movimento che mi portò a definire l’istinto di morte che non è istinto né distruzione e morte e vedo la distanza infinita del pensiero razionale dalla possibilità di nominare la parola pulsione nella sua verità. (…)
Nessuno può aver dato al termine pulsione la sua identità perché nessuno ha mai pensato che la nascita umana non è uguale a quella dei mammiferi. Se la nascita umana è come quella animale, l’essere umano nasce con l’istinto. (…)
Terrorismo. Ora le alte sfere politiche e culturali parlano di malati di mente ed io penso che da decenni era ormai proibito parlare di pazzia perché si rischiava l’emarginazione culturale e sociale. Anche coloro che si macchiavano di delitti efferati venivano detti “affetti” da opinioni politiche o da disturbo bipolare.» Massimo Fagioli – Left n.32 2016 – Rubrica Trasformazione: L’ombra scura che dice distruzione e morte
Note
(1) «Fino al “paradosso schizofrenico» del monoteismo, per cui il dio è unico, però ognuno ha il suo, diverso per ebrei, cristiani, musulmani… per cui arrivano a costruire identità religiose, che esistono soltanto per l’annullamento, per eliminazione dell’altro. E certo il razzismo è figlio di tutto questo.»
Massimo Fagioli, Non ci sono razze per gli esseri umani. L’uguaglianza è assoluta – Left n. 29 2016 pag. 15 – (Testo raccolto da I.B.)
(2) Uno dei primi lavori ben documentati, che hanno definitivamente reso impraticabile la vulgata secondo la quale Freud avrebbe scoperto l’inconscio, è senza dubbio La scoperta dell’inconscio di Henri F. Ellemberger dato alle stampe nel 1970. Lo si può trovare editato nella collana Universale scientifica Boringhieri.
(3) «Le lontane origini del nichilismo possono venire rintracciate nei genocidi perpetrati dai mongoli che dal tredicesimo al quindicesimo secolo spazzarono metà dell’Asia e della Russia centrale, massacrando vari milioni di esseri umani, riducendo interi Paesi a deserto, e distruggendo fiorenti città fino all’ultimo abitante. In Russia le uccisioni in massa erano divenute a loro volta un metodo politico in mano a Ivan il Terribile. Una mentalità apocalittica si era diffusa tra la popolazione, dando luogo a casi di autodistruzione in massa. Così, nella metà del diciassettesimo secolo i raskolniki (“vecchi credenti”) distrussero le proprie case e si diedero la morte con il fuoco pur di non accettare talune modificazioni dei libri sacri. I raskolniki ispirarono numerose sette in cui le tendenze all’autodistruzione erano particolarmente evidenti (come gli skopcij o “mutilatori”, e i khlistij o “flagellanti”). Fu tra le comunità raskolniki che ebbe origine il nichilismo politico, in particolare con la figura del noto Necaev, il cui Catechismo rivoluzionario è un vero e proprio libro di testo nella scienza della distruzione della società con mezzi violenti.»
Henri F. Ellemberger : La scoperta dell’inconscio – Ed. Universale scientifica Boringhieri –pagg. 305 e 306.
(4) «Quella pulsione che alla nascita si era fisiologicamente rivolta verso il mondo inanimato come difesa da esso ora si rivolgerà verso l’adulto deludente. La pulsione d’annullamento però si comparta come un boomerang così si rivolgerà verso la stessa umanità del bambino verso la sua capacità di amare e di avere fiducia nel mondo umano, Si crea in questo modo il substrato mentale non cosciente da cui poi potrà generarsi nell’adulto un quadro di malattia mentale. (…) L’elemento scatenante del malessere personale è sempre esogeno, ovvero risiede nella carenza di affettività e/o nell’attività pulsionale degli adulti significativi. La causa della malattia cioè la patogenesi di essa è però sempre endogena: è la propria pulsione di annullamento che crea un vuoto di immagini come se l’altro e il rapporto con lui non esistessero e non fossero mai esistiti.»
La psicoterapia. Cura e guarigione della malattia mentale – Giorgia Bilardi, Silvia Solaroni, Luana Testa. Testo citato da Giovanni Del Missier il 15 luglio 2016 durante la presentazione del libro alla libreria Feltrinelli Appia/Roma – Per approfondimenti leggi Massimo Fagioli : Istinto di morte e conoscenza – Editore L’Asino d’Oro
Claudio Ricciardi
20 Luglio 2016 @ 16:40
Articolo molto bello. Come sempre leggo con molto piacere i tuoi articoli che mi chiariscono molte cose e mi fanno pensare al fatto che tu hai veramente fatto tua la teoria di Fagioli per come la sai far diventare parte del tuo pensiero. Un abbraccio.
Dalla Redazione
20 Luglio 2016 @ 16:53
Grazie Claudio , grazie veramente
un abbraccio
Gian Carlo