• Yoani Sánchez: Che faremo con la speranza? Il futuro di Cuba tutta chiesa e capitalismo

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    A Cuba «Non parlare né di politica né di religione» è la regola primaria

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    di Giulia De Baudi

    « “Ogni delusione è figlia di un eccesso di aspettative eccessive” con queste parole condivisi la mia preoccupazione con i congressisti statunitensi che visitarono Cuba lo scorso gennaio. La frase era destinata a far loro notare il flusso di illusioni che si sviluppato nella popolazione a partire dal 17 dicembre. L’annuncio del ripristino delle relazioni tra Cuba e gli Stati Uniti ha provocato il risorgere in questo paese di sentimento perduto da decenni: la speranza.»

    Come fa notare la bloguera cubana Yoani Sánchez in quest’altro articolo, ¿Qué haremos con la esperanza?, da quando il presidente Usa Obama ha sollevato il telefono per chiamare Raul Castro, a Cuba un “insensato” vento di speranza sta soffiando sull’isola. La poetica di Y.S., che unisce buon senso popolare ed estetica individuale, le dà la possibilità di interpretare a fondo la realtà sociale e politica cubana.

    Lo stesso giorno della telefonata “fatidica” Y.S. postò sul suo blog, Generación y, un articolo dal titolo eloquente, ¿Llegó el día D?, nel quale diceva chiaramente che non era il caso di brindare gridando “viva Cuba libre”, perché la realtà politica era molto diversa da quella che si poteva sperare, e che il giorno delle libertà politiche e dei diritti civili avrebbe tardato ancora molto ad arrivare. Quindi non era il caso di “batir una banderita en plena calle”, (sventolare bandierine in mezzo alla strada).
    «Senza dubbio, – scrive Y. Sánchez – le aspettative che si sono create sono così elevate e difficili da realizzare che, a breve termine, molti potrebbero sentirsi ingannati.»

    I cubani, dice la giornalista cubana, accecati da sogni ad occhi aperti, per il momento irrealizzabili, nutrono improbabili speranze in cui alienano le proprie istanze di realizzazione.
    C’è il vecchio conducente di locomotrici orgoglioso del suo lavoro «che ha visto disarmare gli impianti ferroviari» che ora dice «vedrete … avremo anche noi un treno proiettile». E, prosegue l’articolo «Se gli si chiede da dove ha tratto tali convinzioni, risponde “quando cominceranno ad arrivare los yumas (i turisti tonti)» si dovranno migliorare i mezzi di trasporto su rotaia e si dovranno acquistare vagoni di ultima generazione. «I suoi sogni – scrive Y.S. – hanno la forma di un serpente di ferro brillante e veloce che attraversa l’isola.»

     

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    «La grande ossessione nazionale, che è il cibo, – scrive Y.S. – ha avuto anch’esso uno spazio all’interno dei sogni delle ultime settimane. Una casalinga che si autodefinisce come una persona “stanca di dover cucinare la stessa cosa, perché non c’è nient’altro”, ha proiettato le sue illusioni su un fantomatico arrivo di merci da nord. “Torneranno alcuni oggetti scomparsi e i negozi non staranno con congelatori vuoti come ora. “Le sue prospettive per l’immediato futuro sono dirette e chiare e hanno il sapore della carne manzo, la consistenza dell’olio d’oliva e l’odore di una cipolla che si sta rosolando in una padella.»
    Ma queste “speranze” non sono sostanziate da nessuna realtà”

    Anche «Molti, tra i dissidenti politici e tra la società civile, già si preparano a legalizzare i loro gruppi o partiti. Essi sono, tra gli speranzosi, il più cauti perché sanno che il rubinetto di libertà politiche sarà l’ultimo ad aprire … se si apre.»
    Però cosa accadrà, si chiede alla fine Y.S. «Quando la bolla creata da questi sogni esploderà e l’eccesso di aspettative porterà ad una delusione collettiva»? E finisce dicendo che chissà, forse la delusione diffusa provocherà crisi dalla quale emergerà « l’energia necessaria per spingere il cambiamento.» Me lo auguro anch’io.

    Y.S., giustamente, spera sempre che l’umano possa prevalere sui più violenti che dominano i meno violenti. Lo spero anch’io.
    Ma la storia recente dell’ex Unione sovietica e della Cina ci ha insegnato che dal comunismo totalitario si passa di colpo ad un capitalismo ancor più totalitario, in cui i diritti umani sono i primi ad essere cancellati dall’agenda di chi governa.

     

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    La giornalista cubana in un articolo del 9 febbraio, Los independientes de los independientes, ci avverte che a Cuba «No hablar de política ni de religión» è la regola primaria per chi naviga sulla rete web: «accettare tali linee guida non scritte, è una questione di sopravvivenza.»

    I segnali della restaurazione dei modelli egemonici del capitalismo che posso riassumere in tre parole – religione, totalitarismo politico, denaro – sono già ben presenti nell’Isola, e presumo che, come è successo in Cina e in Russia, gli oligarchi sotto le verdi divise da rivoluzionari già indossano l’intimo dei capitalisti e dei sacerdoti cattolici da sempre loro complici. Come Woytjla ha guidato la transizione politica dei paesi dell’est Europa, Bergoglio guiderà la transizione cubana. Nulla avviene per caso: Pacelli grande sostenitore del nazionalsocialismo, divenne papa pochi anni dopo aver firmato di suo pugno il Concordato tra Vaticano e Terzo Reich. Nulla avviene casualmente.

    E non dimentichiamo che dal 2009 è iniziata da parte dei castristi al potere la riconsegna alla Chiesa  cubana di Chiese, case parrocchiali, terreni e altri edifici espropriati dal Governo dopo la Revolución. Naturalmente finora tutto si è svolto in silenzio ed è il prezzo che Cuba per la mediazione di Francesco tra Obama e Castro.
    «È un gesto molto positivo da parte delle Autorità – ha commentato Padre José Félix Pérez, Segretario Aggiunto della Conferenza di Vescovi Cattolici di Cuba – in qualche modo restituire ciò che appartiene alla Chiesa genera un clima di fiducia».

    Le conferme a quanto sto scrivendo vengono non da deliri politici ma da fatti di cronaca a cui non viene data sufficiente attenzione o peggio non vengono decifrati nel modo giusto.

    « Il figlio di Fidel apre a Coca Cola e McDonald’s» strillava un titolo di Repubblica il 31 gennaio scorso. Lo ha detto Alex Castro, figlio secondogenito di Fidel, in un’intervista a AmericateVè, assicurando però il popolo cubano : «Siamo vicini, potremmo produrre Coca Cola a Cuba. Stiamo facendo fare una pausa al nostro socialismo, ma non vi rinunceremo mai». Se lo dice “il figlio” possiamo stare tranquilli!!!

     

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    Papà Fidel gli fa eco completando il modello classico capitalistico che vede potere finanziario e religione andare a braccetto. Infatti, come scrive  Enrique Lopez Oliva, su Il Manifesto dell’11 febbraio scorso «(…) non stupisce che Fidel dichiari, come ha fatto nei primi giorni di febbraio incontrando il presi¬dente della Federazione studenti universitari dell’Avana, la sua “profonda ammirazione” per il pontefice e riconosca il peso del Vaticano e della Chiesa cattolica nell’attuale fase di abbattimento dell’ultimo muro della guerra fredda, quello tra Usa e Cuba..». Come volevasi dimostrare!!!!
    D’altronde le matrici culturali e identitarie dei due confratelli sono identiche: Fidel Castro, scrive Oliva, è orgoglioso di essersi formato «nel collegio Belen dei gesuiti dell’Avana, il migliore di tutta Cuba». E tra gesuiti ci si intende sempre.

    E la cosa mi indigna perché Fidel Castro non può non sapere il ruolo che Bergoglio ha avuto nella gerarchia ecclesiastica argentina prima e durante la dittatura militare che causò il genocidio di almeno trentamila giovani argentini.

    La scrittrice argentina Elsa Osorio, intervistata da Wlodek Goldkorn, (Repubblica 5 maggio 2014) alla domanda «E di papa Bergoglio che ne pensa?» rispose «Faceva parte della gerarchia cattolica argentina. E la gerarchia era complice della dittatura. (…)».

    Ma Fidel “non lo sa” !!!

    16 febbraio 2015

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