• Venni, vidi… amai, la vita poetica di Nair Ravazzolo

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    di Gian Carlo Zanon

    «Dopo un po’/ scappai. Dovevo accettare/ la vita e/ questa era in mano al TEMPO./ Mi invase un’alba,/ luminosa, allegra/ che turbò il mio spirito/ mi prese l’EMOZIONE/ dolce e struggente/ avvolgendomi di serenità e/ cancellando in un attimo/ ansie e paure»

    Per entrare nel mondo dei poeti è necessario bussare alla loro porta senza far troppo rumore… per non spezzare l’incanto. Entro in punta di piedi nella poetica di Nair Ravazzolo attraverso le parole da lei scelte per la sua raccolta di poesie “Vivere, Amare e poi?”. Lì parole come ricordo, tempo, amore, IO sono ovunque… stanno anche dove non vengono scritte e sono sempre il lotta fra loro.

    Inutile dire che vedo la sua poesia attraverso il mio sguardo e so che Nadir perdonerà per questo mio IO inarrestabile che pretende, fin dalle primi luci del mio tempo umano, di giudicare ciò che sento, ciò che avverto.

    Tra le sue parole avverto anche una “presenza assente” che pervade la sua poetica i cui baci «scivolano/ sulle lastre di ghiaccio» mentre continua a nevicare: «Stanotte ti ho cercato,/ ma la tua fretta/ di altre vite/ mi ha fatto smarrire la strada». Questa “presenza assente” che dorme accanto al tuo «fiato»  ma di cui si avverte una distanza incolmabile che ferisce. Una “presenza assente” che ha gravato sulla tua esistenza obbligandola a nascondersi nella poesia. Conosco questo stato d’animo… ricordo… molti anni fa per nascondermi sono stato costretto a divenire “poeta”…  le parole mi servivano per stanare “i nascosti” che come me avvertivano l’esistenza di altri nascosti e come me li cercavano… nascondendosi ai più… li cercavo, ci cercavamo per uscire dai nascondigli, per riconoscerci alla luce della luna… come Ciaula nella novella di Pirandello. Riconoscerci facendo vibrare parole che come onde sonore che, invadendo l’etere, penetravano solo nei “come me nascosti” mentre  rimbalzavano sulle corazze impermeabilizzate dall’anaffettività di molti… di troppi che non avevano tesori da nascondere.

    «Se siamo stati creati dallo stesso Dio/ con miscugli divini in egual misura/ come puoi non sentire i miei palpiti/ e ferire a sangue ogni mia certezza.» Conosco questo grido disperato. Era anche il mio grido, certamente epurato da un credo soprannaturale, ma era, ed è, anche il mio grido. Ed è, ne son sicuro, il grido di molti che avvertono le pulsioni delle persone anaffettive che ledono corpo e mente Molti che non vedono, che non sanno verbalizzare questa assurdità: ma se nasciamo uguali con la stessa speranza certezza di un rapporto interumano che ci permetta di realizzarci entrambi, perché tu neghi ogni mia certezza “ferendola a sangue”. Chi ferisce ogni giorno con la sua assenza affettiva è l’assente presente che, ferito mortalmente, non può che convivere con quelli del suo proprio stato… e non gli rimane che ferire mortalmente chi, nascondendosi è sopravvissuto alla negazione che uccide: tu non esisti. «Mi nascosi// Coperta dalle foglie autunnali,/ buttai l’orologio che/ continuava incessante/ Minuti, Ore, Giorni,/sempre, mai una pausa/ rimasi ferma, muta.»

    Chiedo scusa per la mia franchezza ma da tempo scrivo solo ciò che penso…e mi fa male vedere la vipera dei rimpianti serpeggiare tra questi versi che strappano il cuore. «Per un attimo/posai il mio sguardo/ sul prato verde// Per un attimo/mi sfiorò l’amore.// Per un attimo/afferrai la vita,/ ma solo “l’aria”/ mi trascorse/ per sempre». Mi fa male sapere che anche la foto di una bimba felice, rimasta solo nei sogni, possa mettere in crisi un’esistenza vissuta agli orli di una piena realizzazione umana. Da “Non voglio vedermi”: «Togliete la foto/ quella bimba/ timida e paffutella/ che ride al giorno./ (…) Appannate lo specchio/ con il calore del sole,/ e lasciatemi accarezzare/ la bimba/ che mi parla nei sogni.»

    Ma non ci sono solo momenti poetici in cui il peso della vita impedisce la Vita, perché anche se «Le parole – che – si fermavano/ alla porta del cuore, – che – si accumulavano/ come foglie secche,» per perdersi nel tempo, ora queste parole, rimaste nella memoria poetica, Mnemosine, agglutinandole, le riporta alla luce in questo libro che, come leggo nella pagina di presentazione, è capace di far «riflettere sui sentimenti, sul senso delle cose, (…) sulle tante emozioni che albergano dentro di noi»

    Il senso delle strofe della poesia di Nair RavazzoloIl Tempo” messa in esergo a questo mio scritto, riverberano le  parole di Pablo Neruda  «Questa volta lasciate che sia felice,/ non è successo nulla a nessuno,/ non sono da nessuna parte,/ succede solo che sono felice/ fino all’ultimo profondo angolino del cuore.» e ci ricordano quei momenti di intensa felicità che ci danno la certezza  inespugnabile dell’esistenza della nostra realtà immateriale rimasta illesa… vivere amare e poi?  e poi, forse «Verrà il momento/ in cui saremo terra/ saremo calpestati, vinti e liberi,/ Saremo tutti fili d’erba/ dello stesso colore,/ vivremo dell’aria/ la nostra madre.» oppure: In un’alba boschiva,/per colpa del caso,/due nostri atomi/si incontreranno/ in un frutto di noce…/ un attimo dopo/ verranno trasformati/ in salti amorosi/ da scoiattoli fulvi…/ accadrà tra mille anni, / più o meno./ Dove non so…/ so che ciò,/ solo ciò,/  è eternità…” chissà.

    30 agosto 2022

    La foto in copertina è di Barbara Armigliato

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