• Una stagione all’inferno … Arthur Rimbaud (6)

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    L’IMPOSSIBILE

     

    Ah! la vita della mia infanzia, la strada maestra per ogni tempo, sobrio sovrumanamente, più disinteressato del migliore dei mendicanti, fiero di non avere né paese, né amici, che sciocchezza era. – E me ne accorgo solo ora!
    – Ho avuto ragione a disprezzare quei poveracci che non perderebbero mai l’occasione di una carezza, parassiti della pulizia e della salute delle nostre donne, oggi che esse vanno così poco d’accordo con noi.
    Ho avuto ragione in tutti i miei sdegni: dal momento che evado!
    Evado!
    Mi spiego.
    Ancora ieri, sospiravo ancora: “Cielo! in quanti siamo dannati quaggiù! Quanto tempo ho già trascorso con questa combriccola! Li conosco tutti. Ci riconosciamo sempre; ci troviamo ripugnanti. La carità ci è sconosciuta. Però siamo gentili; i nostri rapporti con la gente sono molto corretti.” E c’è da stupirsi? La gente! i mercanti, gli ingenui! – Noi non siamo disonorati. – Ma gli eletti, come ci accoglierebbero? Orbene, ci sono persone irose e allegre, falsi eletti, dato che per avvicinarli abbiamo bisogno di audacia o di umiltà. Sono gli unici eletti. E non sono dei benedicenti!
    Avendo ritrovato in me ancora due soldi di ragione – passa presto! – vedo che il mio malessere deriva dal non essermi figurato per tempo che noi siamo dell’Occidente. Le paludi occidentali! Non che io creda alterata la luce, estenuata la forma, stravolto il movimento… Bene! ecco che il mio spirito vuole ad ogni costo farsi carico di tutti gli sviluppi crudeli subiti dallo spirito, dalla fine dell’Oriente in poi… Ha molte pretese, il mio spirito!
    … I miei due soldi di ragione sono finiti! – Lo spirito è autorità, esso vuole che io stia in Occidente. Per concludere io come volevo, bisognerebbe farlo tacere!
    Mandavo al diavolo le palme dei màrtiri, i raggi dell’arte, l’orgoglio degli inventori, l’ardore dei predoni; ritornavo all’Oriente e alla saggezza primigenia ed eterna. – Pare che sia un sogno di grossolana pigrizia!
    Eppure, non è che pensassi troppo al piacere di eludere le sofferenze moderne. Non miravo alla saggezza bastarda del Corano. – Ma non c’è forse un supplizio reale nel fatto che, dopo questa dichiarazione della scienza, il cristianesimo, l’uomo si giochi, provi a se stesso le evidenze, si gonfi del piacere di ripetere le prove, e viva solo così! Tortura sottile, melensa; fonte delle mie divagazioni spirituali. La natura potrebbe annoiarsi, forse! Monsieur Prudhomme è nato insieme al Cristo. Non è forse perché abbiamo il culto delle brume? Mangiamo la febbre insieme alle nostre verdure acquose. È l’ubriachezza! e il tabacco! e l’ignoranza! e le abnegazioni! – Com’è lontano tutto ciò dal pensiero della saggezza dell’Oriente, patria primitiva! A che serve un modo moderno, se è per inventare veleni simili!
    La gente della Chiesa dirà: Chiaro. Ma tu vuoi parlare dell’Eden. Non c’è niente per te nella storia dei popoli orientali. – È vero; pensavo proprio all’Eden! Che è mai per il mio sogno, questa purezza delle razze antiche!
    I filosofi: Il mondo non ha età. Tu sei in Occidente, ma libero di abitare ne tuo Oriente, per quanto arcaico ti occorra, – e di abitarci bene. Non essere un vinto. Filosofi, voi appartenete al vostro Occidente.
    Spirito mio, in guardia. Nessuna violenta determinazione di salvezza. Sta’ in esercizio! – Ah! la scienza non va abbastanza rapida per noi!
    – Ma mi accorgo che il mio spirito dorme.
    Se fosse proprio sveglio sempre, cominciando da questo momento, presto saremmo alla verità, che forse ci sta intorno con i suoi angeli in lacrime!… – Se fosse stato desto fino a questo momento, vuol dire che non avrei ceduto agli istinti deleteri, un’epoca immemorabile!… – Se fosse sempre stato proprio desto, starei vogando in piena saggezza!…
    Oh purezza! purezza!
    È stato questo minuto di risveglio a darmi la visione della purezza! – Mediante lo spirito si va a Dio!
    Straziante infortunio!

     

     

     

     

    IL LAMPO

     

    Il lavoro umano! è l’esplosione che di tanto in tanto illumina il mio abisso.
    “Niente è vanità; alla scienza, e avanti!” grida il moderno Ecclesiasta, ossia Tutti. Eppure i cadaveri dei malvagi e dei fannulloni ricadono sul cuore degli altri… Ah! presto, fate presto; laggiù, al di là della notte, quelle ricompense future, eterne… le scansiamo?…
    – Che fare? Il conosco il lavoro; la scienza è troppo lenta. Che la preghiera galoppa e la luce scroscia… lo vedo pure. È troppo semplice, e fa troppo caldo; faranno a meno di me. Ho il mio dovere, ne sarò fiero al modo di molti, mettendolo da parte.
    La mia vita è consunta. Su! fingiamo, poltroneggiamo, che pietà! Ed esisteremo divertendoci, sognando amori mostruosi e universi fantastici, lagnandoci e disapprovando le apparenze del mondo, saltimbanco, accattone, artista, bandito, – prete! Sul mio letto d’ospedale, l’odore dell’incenso mi è tornato così prepotente; custode dei sacri aromi, confessore, martire…
    In ciò riconosco la sporca educazione della mia infanzia. E poi!… Tirare avanti vent’anni, se gli altri vanno avanti per vent’anni…
    No! no! ora mi ribello contro la morte! Al mio orgoglio il lavoro appare troppo leggero: il mio tradimento al mondo sarebbe un supplizio troppo breve. All’ultimo momento, attaccherei a destra, a sinistra…
    Allora, – oh! – povera cara anima, l’eternità sarebbe forse perduta per noi!

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