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di Jeanne Pucelli
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Gli italiani in questi giorni hanno trovato un nuovo gioco che li aiuta nell’esercizio del nulla: il totopresidentedellarepubblica. D’altronde il vecchio detto latino pane e circenses vale per tutte le stagioni della corruzione e ora che il malaffare è assurto a modello etico, il circo, più che il teatrino della politica, può ben rappresentare la gens che guida le sorti del bel paese.
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Al di la del biondo Tevere colui che sovraintende alla diocesi Italia richiama i padri ai loro doveri: a sentire gli strilli d’agenzia Bergoglio si preoccupa della «latitanza» del pater familias, ossessionato, secondo el porteño, dal lavoro e dalle proprie realizzazioni personali, tanto «da dimenticare anche la famiglia.» Mi sono chiesta a) quali siano le realizzazioni personali dei padri italici; b) a quale modello di padre si appella Bergoglio.
Forse per realizzazione personale il capo della diocesi Italia intende:
1) sapere a menadito i nomi dei giocatori di calcio della serie A;
2) adoperarsi senza limiti affinché la prostituzione minorile continui a fiorire indisturbata.
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Per modello di presenza paterna forse Bergoglio ha in mente Laio, ucciso dal figlio che egli stesso aveva tentato di uccidere quando, ancora in fasce, lo fece portare da un servo sul monte Citerone per alimentare gli animali. (Un vero animalista ante litteram).
D’altronde anche colui che secondo la vulgata “ha scoperto l’inconscio” vedeva nel pater familias un modello base con cui era opportuno identificarsi. Poco importa chi sia in realtà il padre. La cultura psicanalitica di matrice freudiana, utilizzando il mito dei lambacidi, spinge i figli che, secondo Freud, per natura sono “polimorfi perversi”, a identificarsi con i padri. Il modello proposto è Laio, cioè un pedofilo violento che porta al suicidio Crisippo. Laio un infanticida che alla nascita di figlio comanda che sia dato in pasto alle fiere del monte Citerone. Laio un vigliacco arrogante che cerca di accecare Edipo colpendolo al volto con la frusta. Certo non tutti i padri si chiamano Laio, però è meglio chiarire il significato di “presenza del padre”.
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Sollecitato dalle parole di Bergoglio, lo psicanalista junghiano Luigi Zoja interviene sul Corriere: «Nella mitologia non c’è solo Edipo, il padre castrante, – afferma Zoja – ma anche la figura di un genitore forte e positivo (Ettore)» e fin qui, a parte che ci dovrebbe spiegare perché definisce Edipo “padre castrante”, tutti d’accordo. Poi, dopo aver relegato la donna/madre a invariabile ente biologico, ed aver dato al maschio/padre il compito di infarcire fisicamente culturalmente “l’ovvio vuoto ontologico del figlio”, comincia a dire cose strane: «Per esempio, il padre, soprattutto con i figli maschi, deve essere in grado di canalizzare l’aggressività dei giovani».
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Da queste parole capisco che, da buon junghiano, Zoja pensi che gli esseri umani siano per natura violenti ed aggressivi. Si tratta solo di canalizzare la loro naturale aggressività animale ovvero il loro retaggio filogenetico – e quindi archetipo – fissatosi geniticamente nella notte dei tempi. D’altronde, dice Zoja, anche «Francesco invita anche a evitare di mettersi “alla pari”. Deve esserci comunicazione ma senza eccedere, il padre deve mantenere la sua figura di rispettabilità. Non bisogna creare una “società di fratelli”, ma recuperare anche una verticalità nei rapporti». Quindi non una dialettica fra padre e figlio ma un capo e un sottoposto. Che belle idee! Nuove soprattutto!
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Ma perché sorprendersi: Luigi Zoja è junghiano. Quindi, visto che si definisce così, coerentemente dovrebbe aderire all’esempio etico e agli insegnamenti del maestro. Ma Gustav Jung, non fu, oltre ad essere, secondo eminenti studiosi, un millantatore, anche un nazista e un mistico delirante?
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Nel 1933, dopo l’avvento al potere di Hitler, che vinse le elezioni aiutato dalla Chiesa cattolica, Jung assunse, dopo l’espulsione degli ebrei, sia la direzione della Società tedesca di psicoterapia, sia la carica di caporedattore della rivista Zentralblatt fur Psychotherapie, un periodico di matrice nazista, su cui pubblicò subito un trafiletto di squisito interesse scientifico: gli auguri di compleanno a Goering. Incarichi che manterrà fino al 1939.
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In quel periodo Jung teorizza una distinzione tra “l’inconscio ebreo” e “l’inconscio ariano”, che possiede “un potenziale superiore”. Rifacendosi alle teorie di Heidegger sul suolo patrio, che fondarono la filosofia del nazismo, scriveva che l’ebreo «ha qualcosa di nomade, è incapace di creare una cultura, che gli sia propria». Aveva copiato Heidegger, che aveva dato le giustificazioni filosofiche al nazismo: l’ebreo essendo senza mondo, inteso senza uno stato, è un essere im-mondo.
Come ogni buon nazista jung era credente. Un po’ fissato con il misticismo ma crocifisso e svastica sono sempre andati molto d’accordo. Basta attingere qualche brano del suo Libro Rosso per capire il grado di fondamentalismo religioso da lui raggiunto: «Devo liberare da Dio il mio Sé, poiché il Dio che ho conosciuto è più che amore, è anche odio; è più che bellezza, è anche ripugnanza; è più che sapienza, è anche assurdità; più che forza, è anche impotenza; più che onnipresenza, è anche la mia creatura»… ma dai, ti preeeego!!!
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Naturalmente, come d’altronde le massime gerarchie vaticane, la credenza cristiana deve giocoforza contenere la credenza nel demonio. Infatti in una sua lettera a Freud del 1909 egli scrisse «Il mio animo puro prova orrore del diavolo (…) storie del genere mi fanno orrore (…) il diavolo può ricorrere anche alle cose migliori per produrre porcherie (…) ora so dove e come cogliere il demonio» .
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Gran scienziato della psiche quindi con un pensiero lucido di eccezionale vigore di cui sentirsi fieri:
«Tutto ciò che ho appreso nella vita mi ha portato passo dopo passo alla convinzione incrollabile dell’esistenza di Dio. Io credo soltanto in ciò che so per esperienza. Questo mette fuori campo la fede. Dunque io non credo all’esistenza di Dio per fede: io so che Dio esiste.» … ma dai, ti preeeego!!!
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Insomma, o Jung fu il millantatore come veniva descritto già vent’anni fa nell’articolo, Jung, la truffa dell’ inconscio, di Arturo Zampaglione (Corriere 4 giugno 1995) o era un povero schizofrenico con tanto di allucinazioni a carico. Un buon padre credente e nazista con cui identificarsi. Un maestro di vita che ti può insegnare a «canalizzare l’aggressività» verso il più debole di turno, ad esempio l’operaio a cui è stato tolto l’articolo di legge che lo proteggeva dai soprusi del “figlio di un dio maggiore” …
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* Nella foto di copertina viene ricordato Leo Schlageter, il “martire cristiano” proto-nazista Albert Leo Schlageter che i francesi avevano impiccato per sabotaggio nella Ruhr nel 1923 e che, agiografato dalla propaganda, divenne un icona venerata da Hitler e dai nazisti.
Albert Leo Schlageter Nacque il 12 agosto 1894 da una famiglia di stretta fede cattolica. Dopo la I guerra mondiale entrò fu membro dei “Freikorps” una associazione paramilitare che nel ‘22 si fonde con il partito nazista. Nello stesso anno fu catturato dai francesi per atti di sabotaggio nella valle della Rhur e condannato a morte.
Il partito nazista promosse commemorazioni della sua esecuzione ogni anniversario della sua morte. Hanns Johst, il drammaturgo ufficiale del nazismo scrisse un’opera teatrale intitolata Schlageter che andò in scena per la prima volta in pompa magna il 20 agosto del 1933, compleanno di Hitler. Questa opera contiene la famosa frase “Wenn ich Kultur höre … entsichere ich meinen Browning,”, “” Quando odo parlare di cultura … tolgo la sicura alla mia browning”.
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** Fibbia del cinturone indossato dai soldati dell’esercito tedesco e dalle S.S., con la scritta “Gott mit uns” , “Dio è con noi”
29 gennaio 2015
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© Jeanne Pucelli – Riproduzione riservata
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Claudio Ricciardi
29 Gennaio 2015 @ 16:48
Articolo molto interessante, per non dire bellissimo. Lo condivido e lo ripubblico con la fonte. Personalmente non ho più voglia di leggere gli ultimi libri di JUng, ma sono contento ci sia qualcuno a farlo per me. Complimenti.
Pino
30 Gennaio 2015 @ 16:27
Dire la verità fa bene