• Resistenza e Restaurazione: la lunga notte del novembre ‘45 … e l’alba

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    di Gian Carlo Zanon

    Sono passati ben 70anni dalla notte in cui la le idee politiche di libertà e uguaglianza, interiorizzate da migliaia di giovani partigiani durante la Resistenza, furono esiliate dai palazzi del potere politico. Il 24 novembre del 1945 il presidente del consiglio Ferruccio Parri lasciò la Presidenza del Consiglio, convocò i giornalisti al Viminale e, definendosi vittima di un colpo di stato, raccontò loro l’assassinio della Resistenza da parte degli schieramenti politici fedeli alla realpolitik della geopolitica.

    Come narra Carlo Levi nel suo romanzo L’orologio, quel giorno vicino all’ex partigiano Parri c’erano i «due illustri capi della destra e della sinistra». «Il vicino di sinistra (Palmiro Togliatti, N.d.R.) faceva, come era suo dovere, dei gesti di assenso, perché si deve applaudire la virtù: ma gli occhi gli brillavano di un piacere ironico. (…) Il vicino di destra (…) si alzò in piedi, in preda a una folle agitazione, pallido in volto, con gli occhi sfavillati, e, fra lo stupore generale, parlò. Si rivolse ai giornalisti stranieri e li scongiurò di non ripetere quello che avevano udito, di non pubblicarlo sui giornali, di tacerlo.» Scrive Levi che quel «vecchio e navigato serpente ( A. De Gasperi , N.d.R.) aveva restaurato, senza accorgersene il vecchio Stato».

    La notte della politica italiana iniziata 69anni fa ancora non è finita. Ora c’è Matteo Renzi a ricordarcelo. Quella notte i politici tornarono ad essere ciò che furono prima della guerra civile: rapaci notturni, vampiri. E tali sono rimasti. La luce del buon senso comune, che vede al di là della percezione sensoriale, per questi parassiti è insopportabile perché mostra il loro vero volto nascosto dalla maschera del buio.

    La Resistenza che viene , secondo me giustamente, definita da Carlo Levi una «rivoluzione contadina» con i suoi contenuti etici e quel sentire immediato che faceva sì che ci si potesse riconoscere al primo «sguardo, a fiuto», è stata annullata in nome della realpolitik che nasconde la solita sordida bramosia di potere. Da quella notte la Resistenza è rimasta in coma per molti anni e da molti anni simula l’assenza sapendo di essere un frutto non colto. Ora vive il suo esilio in mille e mille rivoli di pensieri che la vivificano. E non è solo ricostruzione di ricordi o ricomposizione letteraria o artistica della memoria resistenziale, è soprattutto un divenire delle idee presenti in quegli anni e rielaborazione del senso di quell’agire che creò la nostra Carta costituzionale.
    Nel suo libro Levi narra il clima vissuto nei giorni che seguirono la fine della guerra civile tra nazifascisti e partigiani di ogni tendenza politica: «Tutti si capivano allora: in città e in campagna: e si poteva battere a tutte le porte, e si aprivano senza bisogno di parola d’ordine. Ci si riconosceva così, allo sguardo, a fiuto. Si era tutti d’accordo. Ciascuno era al suo posto, si sentiva al suo posto, faceva cose che non aveva mai immaginato di fare».

    Tutto questo non è definitivamente scomparso. È stato prima immobilizzato, e poi occultato dall’egemonia culturale cattocomunista e dal potere economico che la tiene al guinzaglio nutrendola con gli scarti della sua tavola opulenta. Questo canovaccio sul quale le maschere della politica imbastiscono i loro giochi delle parti, è solo la parte più visibile del problema. Le dinamiche sociali, politiche, culturali e i loro fenomeni sono molteplici e difficili da decifrare. E non è certo nel deserto della ragione che troveremo risposte.

    Una risposta possibile l’ho trovata in questo romanzo di Carlo Levi: è inutile cercare di vincere una impossibile partita a scacchi contro le avanguardie del potere rappresentate dalle mosse astute dei politici. A quel gioco, su quella scacchiera vincere è impossibile :« (…) il solo modo di vincere sarebbe di trovare quella parola che, suscitando forze nuove, buttasse all’aria la scacchiera e trasformasse il gioco in cosa viva».

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    Parafrasando il titolo dell’ultimo libro di Noemi Ghetti, Gramsci nel cieco carcere degli eretici,  potrei dire che tante menti pensanti stanno cercando nel proprio “cieco carcere” dentro il quale hanno trovato rifugio dal bombardamento mediatico, dalla propaganda catto-fascio-comunista, e dall’incultura dominante, parole capaci di portare alla luce e mostrare ciò che comunemente non viene percepito. E a volte non si vuole percepire. D’altronde i combattenti partigiani erano un’esigua minoranza. Questa minoranza pensante vive questo stato delle cose in un “carcere allargato” con collegamenti a volte importanti col mondo di quella cultura che pensa ed elabora pensieri, che fa ricerca e che segue e persegue la strada interrotasi quasi 70anni fa … a volte mi sembra di udirli, mi sembra di udire il suono del lavorio continuo di tante menti che incrociano i loro pensieri come fossero gambe di ballerini che danno immagine al suono di un tango …

    12 novenbre 2014

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