• Finale di partito: la crisi dei partiti tradizionali. L’antipolitica come l’antipsichiatria

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     di Gian Carlo Zanon

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    Ho letto Finale di partito di Marco Revelli. 152 pagine che si leggono in un baleno, o in una notte resa insonne dall’ansia di sapere “che fine faremo”. Il libro è un’accurata ricerca sulle cause, vicine e remote, che stanno originando un vero e proprio cataclisma istituzionale in cui i partiti tradizionali sono in forte difficoltà: «La crisi dei tradizionali partiti politici – sta scritto sulla quarta di copertina – è ormai conclamata, e rischia di contagiare le stesse istituzioni democratiche. Secondo i più recenti sondaggi, meno del cinque per cento degli italiani ha fiducia nei partiti politici, poco più del dieci per cento nel Parlamento.

    Particolarmente evidente in Italia, il fenomeno è tuttavia generale: ovunque i «contenitori politici» novecenteschi stentano a conservare il consenso. E ovunque cresce un senso di fastidio verso quella che viene considerata una «oligarchia», separata dal proprio popolo e portatrice di privilegi ingiustificati. »

     

    Revelli offre al lettore un’accurata indagine sostanziata da percentuali di votanti ( si tenga conto che il libro è stato stampato prima delle ultime elezione politiche) per il tal partito o per quel politico. Tutto questo per mostrare come i cittadini italiani ed europei stiano palesando, attraverso il voto o il non voto, il proprio fastidio e la propria sfiducia verso quei partiti tradizionalmente sostenuti da un proprio elettorato più o meno fidelizzato.

     

    Il libro spiega come  l’elettorato italiano abbia mostrato l’affrancamento dai propri partiti sia nel referendum per l’acqua e il nucleare – non sostenuto da un grande partito di sinistra come il Pd – sia nella decisione di votare due outsider politici come Pisapia e De Magistris.

     

    Il disincanto politico, ben rappresentato sia dalla non partecipazione al voto di più del 30% della popolazione, sia dal voto per il M5s, significa che milioni di persone sono usciti dal  main-stream politico e informativo. Ciò vuol dire che, giustamente, il cittadino medio italiano, non solo non si fida più della casta politica, ma neppure di chi si è dimostrato il servo mediatico di quel partito e/o di quel leader politico.

     

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    Come scrive Revelli il problema dei beni comuni «ciò che appartiene all’orizzonte dell’esistere insieme», è stato uno dei temi che ha catalizzato maggiormente la partecipazione attiva dei cittadini che giustamente hanno visto nella difesa di ciò che appartiene a tutti, un modo di ritessere la rete sociale tragicamente compromessa.

    Ma questo non è stato, dico io, capito dal maggior  partito della sinistra, che sia durante la preparazione dell’elezione referendaria, per un bene comune come l’acqua pubblica, sia durante l’ultima campagna elettorale con il drammatico scotoma per la campagna del NoTav, si è “assentato”. E sono convinto che queste due assenze abbiano causato quel “fastidio” di cui parla il libro di cui stiamo parlando. E sono convinto che quel fastidio abbia comportato la perdita di quei voti che sono migrati nel M5s. Ma queste sono supposizioni.

     

    Anche Revelli però vede il voto referendario come «una rivendicazione di ri- appropriazione di ciò che è comune (…) al di là di ciò che possono decidere i loro rappresentanti politici ». Il messaggio dato dai cittadini era chiaro; perché il Pd non ha voluto udire il loro grido? Ai posteri l’ardua sentenza.

     

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    L’autore, in questo suo libro denso di idee e di dati, esplora le opere di vari autori per cercare quale paradigma politico possa in qualche modo curare questo vulnus che ha leso forse irrimediabilmente l’immagine di “partito”.

     

    Tutte questi contributi però non offrono soluzioni in grado di passare oltre il setaccio critico di Revelli:

     

    a) la democrazia rappresentativa ha bisogno di delegati … «però vi sarebbe un aspetto psicologico che porterebbe “il rappresentante che nasce come servitore della massa” quasi inconsapevolmente, come trascinato dalla forza delle cose, a farsi padrone »;

     

    b) i partiti non possono fare a meno di un’organizzazione.  L’organizzazione quindi come «conditio sine qua non per la capacità delle masse alla a loro valorizzazione politica»  … ma «chi dice organizzazione dice oligarchia » . Inoltre, a causa di un non ben definito «residuo di sacro» – forse si tratta di alienazione religiosa – la «legge ferrea dell’oligarchia verrebbe assecondata dal naturale bisogno della folla di venir guidata »;

     

    c) naturalmente neppure la strada del Duce-Führer, già pericolosamente percorsa lo scorso secolo, e parzialmente in questo ultimo ventennio, può funzionare;

     

    d) anche il sistema dei “governi tecnici” pronti ad assumersi poteri straordinari, e a gettare quella pessima carta falsa, che assomiglia molto al  famigerato art. 48 della Grundgesetz della Repubblica di Weimar (citato da Revelli) che assegnava al presidente di proclamare, in caso di emergenza, lo “stato d’eccezione” come abbiamo visto non funziona – anche perché era un “governo di scopo” e lo scopo era: dare alle banche più denaro possibile – ;

     

    e) come spiega l’autore neppure l’idea di “democrazia diretta” non appare tranquillizzante. Ad esempio la cosiddetta “democrazia digitale” sarebbe pericolosissima nel caso essa dovesse poter decidere, nel tempo di un clik telematico, su casi dove il fattore emotivo potrebbe condannare alla pena di morte il rumeno di turno che ha ucciso in un incidente stradale una mamma con in braccio un bambino. Si tornerebbe ai linciaggi dei neri in Alabama o ai pogrom contro i Rom. Infatti di linciaggi sul sito di grillo se ne possono contare a centinaia … ma se questi divenissero decisioni da eseguire, cosa succederebbe? E se le minacce di Grillo e la volgarità e la violenza verbale esibita in rete dagli adepti (ne abbiamo sperimentato anche qui la loro aggressività) si concretizzassero in veri pogrom per lesa maestà?

     

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    Finita la disanima delle alternative  di governo, Revelli mette sotto la lente della sua ricerca anche quella «grande rivoluzione spaziale» cha va sotto il nome di globalizzazione scoprendone il lato letale per le reti sociali, che ha generato «l’abissale spaccatura delle società tra “alto e “basso” – tra élite cosmopolitiche e masse territorializzate »

    Scrive l’autore «i titolari di un potere immateriale capace di agire a distanza secondo una logica di flusso che attraversa, determina e sottomette i luoghi e chi ad essi è incatenato » Il potere finanziarioè “l’ideal-tipo” di questo mostro che nel suo flusso si comporta come uno sciame di cavallette che, dopo aver sfruttato a fondo le risorse umane e/o naturali dei luoghi attraversati, si sposta verso altre zone da devastare.

     

    Questo mostro però non è un ente astratto o metafisico, esattamente come i partiti non sono centri di rappresentanza e di potere politico disabitati.  Certamente il problema della presunta fine dei partiti è complesso ma non si può pensare di entrare nell’arena e toreare con problemi di questo genere stando dietro la staccionata che protegge dalle corna dei politici. Mantenere la “giusta distanza” presuppone sempre una perdita di contatto con la realtà che pregiudica la capacità di interpretazione della stessa. Per non fare di tutta l’erba un fascio, bisogna cominciare a dividere il grano dal loglio; dare un nome al politico corrotto, e/o incapace, e a quello onesto e capace.

     

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     L’antipolitica come l’antipsichiatria

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    C’è un pericolo in questa idea di “fine di partito”: annullare i partiti che sono, o dovrebbero essere centri di rappresentanza civile. Se non lo sono è perché alcuni politici, tanti, pochi non so, non fanno ciò che i cittadini hanno loro ordinato di fare attraverso il loro voto. Non c’è dubbio, come spiega Revelli, che i partiti abbiano perduto il loro ruolo di mediatori della lotta politica tra i cittadini e il potere, che ora è soprattutto finanziario, ma non solo. Ma si deve anche nominare chi si comporta bene e chi si comporta male: ad esempio nel Pd c’è Caio che è vicario del potere papale e non permette l’applicazione dei diritti civili, c’è Tizio che va a Wall Street e promette che lascerà che FMI e BCE prosciughino i risparmi  degli italiani, però c’è anche Sempronio che ha detto no ad un governo con Berlusconi.

    Lo so, non è facile operare in questo senso, ma forse ormai questi comportamenti sono ineludibili. Altrimenti l’antipolitica diventa come l’antipsichiatria che ha fatto chiudere i manicomi perché erano indecenti e non ha mandato in galera chi aveva reso quei luoghi dei lager. Non è mica vero che tutti i manicomi fossero dei lager. C’erano, centri di eccellenza in cui lavoravano psichiatri capaci che cercavano in qualche modo di curare i malati. Malati che dopo la loro “liberazione” sono morti come mosche, o sono diventati dei poveri barboni, o sono stati portati a spese dei familiari nelle cliniche private che molto spesso si sono rivelate dei lager esattamente come i vecchi manicomi chiusi in modo ideologico.

     

    «Nei mesi e anni successivi all’approvazione della legge si è assistito al fenomeno delle dimissioni forzate. Bastava andare vicino a Santa Maria della Pietà, o a qualsiasi altro ospedale psichiatrico in chiusura per rendersi conto di quel dramma. Sono stati messi fuori pazienti che non uscivano da anni, che non avevano famiglia, che spesso rifiutavano di tornare nei loro luoghi di origine perché la loro casa, dopo anni di ricovero era proprio quella, l’ospedale. La stragrande maggioranza delle persone ricoverate erano cerebropatici, epilettici, ritardati mentali in cui la malattia mentale si riacutizzava sporadicamente. Dimessi forzatamente, molti giravano attorno a quelle strutture nelle quali, inspiegabilmente per loro, non potevano rientrare».  È lo psichiatra Martino Riggio che parla in una intervista apparsa su left del 9 marzo 2013

     

    E Grillo allora diventa come Basaglia. Basaglia affermava che bisognava abbattere i manicomi perché la malattia mentale non esiste, e così ha eliminato la possibilità di cura psichiatrica. Grillo dice che i partiti vanno eliminati perché abitati da “morti che camminano”. In questo modo non ci sarà più la possibilità di avere dei centri di  rappresentanza politica. In questo modo chi controlla la rete telematica piloterebbe per conto del potere finanziario ogni movimento politico. Deputati e senatori, come già possiamo osservare nei rappresentanti  del M5s, non sarebbero altro che semplici burattini mossi da remoti input telematici. Ed è questo, secondo me, il fine di chi sta alle spalle di Casaleggio e Grillo.

     

    Non sono i luoghi politici da eliminare; sono le persone incapaci, corrotte, colluse con papi e finanzieri da buttare fuori da quei luoghi nei quali la sovranità dei cittadini può e deve concretizzarsi. In quei luoghi ci devono stare i migliori tra i cittadini non i peggiori, altrimenti c’è la morte della politica intesa come manifestazione globale di ogni individuale sovranità.

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    Per pensare di cambiare il modo in cui i politici, generalizzando,  si muovono nelle istituzioni, non si deve credere come Basaglia e Grillo che gli esseri umani in fondo in fondo sono tutti un po’ schizofrenici , sono tutti un po’ bramosi, un po’ corrotti, che «In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione». Che «Non esistono persone normali e non».

    Anche continuare a condividere supinamente grottesche teorie antropologiche come quella freudiana, lede fortemente la visione sulla naturale socialità degli esseri umani: «Il freudismo non ha fatto altro che restaurare le mai sopite credenze religiose affermando e ripetendo monotonamente che nell’origine dell’uomo non c’è alcuna socialità ma solo una congerie di bassi istinti divoratori e pertanto omicidi». Scrivono i curatori del volume La medicina della mente.

     

    Non si deve credere, come il sociologo positivista Robert Michels citato da Revelli,  che in tutti gli esseri umani esista « un aspetto psicologico che porterebbe “il rappresentante che nasce come servitore della massa” quasi inconsapevolmente, come trascinato dalla forza delle cose, a farsi padrone». Non si può pensare nemmeno che un gruppo di individui che creano un’organizzazione politica  debba divenire per forza un’oligarchica cioè una casta di privilegiati che pensa solo ad arricchirsi. Mi dispiace per Basaglia e Michels ma come ci sono i malati di mente che pensano solo ad arricchirsi ci sono anche i sani di mente che pensano al bene comune.

    Il modello di essere umano assunto da Revelli, naturalmente portato ad impossessarsi, del “bene comune”  sposta il baricentro della ricerca su un piano di una impossibile democrazia  e di una ancor più impossibile giustizia sociale; non parliamo poi di una possibile uguaglianza tra esseri umani.  Solo partendo da una sapienza primaria che sa dell’esistenza di un essere umano uguale a se stesso con cui condividere soddisfazioni dei bisogni e realizzazioni delle esigenze umane, si può uscire dal “destino” coniato da chi avendo perso la propria naturale idea di eguaglianza e la conseguente socialità primaria, diventa asociale e incapace di condivivere con i propri simili i “beni comuni” senza prevaricare. Tutto sommato il vecchio adagio di Marx “il più violento domina il meno violento” è tuttora valido. Ma i violenti sono pochi, i non violenti molti.

     

    Questa che stiamo vivendo  è una crisi sistemica che, se non altro – visto il fallimento dei paradigmi  della  ragione utilitaristica che vede l’essere umano solo come un mero ingranaggio di un’incomprensibile macchina guidata da “mani invisibili” o dallo “spirito dell’alveare” – offre l’opportunità di fare una ricerca approfondita sulla realtà umana, oltre la soddisfazione dei bisogni.

    Non saranno certamente nuovi metodi di razionalizzazione della società, o nuovi piani   quinquennali o altre logistiche industriali o nuovi sistemi  economici che ci porteranno fuori da questa crisi.

     

    Ovviamente vanno eliminate quelle leggi create appositamente per impedire ai cittadini la partecipazione attiva alla politica propriamente detta, e le leggi volute dalle oligarchie di potere compresa quella vaticana, per defraudare i cittadini italiani anche della loro dignità umana.

    Ma soprattutto ci si si dovrà porre delle domande del tipo: perché proprio ora che l’occidente, liberatosi dalla schiavitù dei bisogni, stava raggiungendo un grado di civiltà e di pensiero che gli consentiva di rivolgere la mente alle esigenze umane, viene ricacciato nel tunnel di necessità materiali preminenti come il lavoro, la casa, addirittura il cibo e l’acqua?

    Cosa c’è sotto? Chi, vuole impoverire i paesi del Sud Europa? Chi ci può difendere? Certamente non la stragrande maggioranza dei politici che siede al parlamento. Ma alcuni si. Persone oneste ce ne sono. Laura Boldrini è una di queste ma…, e ce ne sono certamente molti altri ma  … e altri ci saranno se …

     

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    I politici che i cittadini delegano per difendere il proprio bene comune, e le reti sociali sono un bene comune,  nel caso che “centralizzazioni”, “razionalizzazioni”, decentramenti”, “delocalizzazioni” della produzione, risultino devastanti per il tessuto sociale, vedi il caso Fiat-Marchionne, si devono opporre e, se necessario intervenire per impedire che pratiche antisociali distruggano la società. C’è una costituzione che parla chiaro:

     

    L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.(…) La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. (…) Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. (…) È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

     

    Usiamola prima che sia troppo tardi.

     

    A questo punto ci vorrebbe un principe illuminato … ma, tutto sommato penso che il “principe illuminato” siano le idee primarie che in nuce albergano nel pensiero dell’essere umano dal momento in cui “vede” la sua prima alba: uguaglianza, libertà, realizzazione della propria identità umana in rapporto con il proprio simile.

    4 aprile 2013

    *Marco Revelli insegna Scienza della politica all’Università del Piemonte Orientale. Presso Einaudi ha pubblicato Oltre il Novecento (2001 e 2006), La politica perduta (2003) e Poveri, noi (2010).

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    • grande Gianco! bello quest’articolo! Dico articolo e non recensione perché molto mi piacquero le considerazioni che fai a valle, o sull’onda, della recensione al libro di Revelli. La linea che va da Basaglia a Grillo è proficua e certo da approfondire: in questo fenomeno del grillismo circola una pazzia che mi lascia stupefatto e anche un pò turbato.

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