• Noam Chomsky : la grammatica universale del dissenso

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     Pubblichiamo un articolo di Teresa Numerico su Noam Chomsky , di cui in parte dissentiamo: abbiamo aggiunto alcune fondamentali note a margine

    L’Unità 25.1.14


    Chomsky il dissidente


    Il celebre linguista a Roma: la lingua è neutrale, gli umani no


    di Teresa Numerico

    Roma –  É una star Noam Chomsky. Tra i più noti intellettuali americani viventi. A 85 anni è più fotografato di un’attrice candidata agli oscar. È a Roma per il festival della scienza dove ieri sera ha partecipato alla talk opera su di lui e stasera terrà una lectio magistralis sul tema de Il linguaggio come organo della mente. Entrambi gli eventi hanno da tempo esaurito i biglietti. Nel foyer dell’Auditorium un maxischermo permetterà agli interessati di partecipare.


    L’inconsueta timidezza e disponibilità di Chomsky stride un po’ con i tempi ferrei dell’organizzazione che lo spinge verso altri impegni inderogabili. È il prezzo della celebrità. Ma è sempre lui. Lo stesso che si oppose alla guerra in Vietnam, che subì vari arresti, che ha appoggiato tutti i movimenti di opposizione negli Usa e altrove, fino a Occupy, di cui ha detto che hanno creato qualcosa che non esisteva prima: «un sistema di mutuo supporto, cooperazione e spazi aperti alla discussione».

    Come Che Guevara, diventa duro senza perdere la tenerezza quando contesta il sistema di potere vigente. Secondo Chomsky siamo in piena lotta di classe: ricchi e potenti contro poveri e emarginati.

     

    Denuncia l’attestarsi delle plutocrazie occidentali che perseguono quella che Adam Smith definiva la turpe massima «tutto per noi stessi e nulla per gli altri», perseguita dai padroni dell’umanità. Un sistema di potere che abbandona il patto sociale come sostiene Mario Draghi (1)  in un’intervista al Wall Street Journal e scambia il benessere di pochi per il bene della società. Chomsky cita un recente report di Oxfam secondo cui 85 ricchi guadagnano tanto quanto 3 miliardi e mezzo di persone, mentre il 70% più povero della popolazione americana non ha possibilità di intervenire su come vengono prese le decisioni politiche.

     

    La democrazia è in pericolo in tutto l’occidente. In Italia è stata definitivamente compromessa secondo Chomsky da quando venne nominato Mario Monti, un tecnico, Presidente del Consiglio senza nessuna investitura popolare.


    Ma chi sono i padroni dell’umanità? Sono banchieri, finanzieri, capitani di industria e burocrati(2) che decidono le sorti dei paesi nel chiuso delle loro stanze senza confronto con l’opinione pubblica, aiutati da intellettuali organici e subalterni.
    Cosa si può fare, gli chiedono? Bisogna sovvertire il sistema di potere attuale e attribuire di nuovo alla collettività e all’opinione pubblica la capacità di incidere su come verranno prese le decisioni. Da dissidente Chomsky non smette di avere fiducia nell’umanità e nella forza degli intellettuali. Non condivide probabilmente quella visione aspra e pessimista dell’ultimo film di Martin Scorsese, The wolf of Wall Street, dove i lupi della finanza possono arricchirsi pazzamente perché sono gli ideologi di una società vuota fatta di ricchezza facile e irrefrenabilità del desiderio. Sono solo interpreti fortunati di una danza tribale e violenta che tutti vorrebbero saper ballare.

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    Il linguaggio, per Chomsky, è uno strumento neutrale, può essere usato da Gandhi o da Hitler. (…) Secondo Noam Chomsky esisterebbe una grammatica universale innata che detta le regole delle possibili forme del linguaggio. Chomsky continua a credere nelle sue teorie; i recenti studi sull’apprendimento della lingua madre dimostrerebbero che la struttura grammaticale prescinderebbe dalla fonetica e da ogni carattere empirico delle singole lingue. Alla provocazione sulla impossibilità di dimostrare i suoi risultati risponde con consapevolezza e umiltà. Ma che significa dimostrare? Assumere principi, osservare e valutare le conseguenze e secondo lui anche molti studi neuroscientifici e psicolinguistici potrebbero essere usati come parziali conferme delle sue intuizioni(3).

     

    Il dibattito continua e manifesta la fertilità della sua posizione. Nella discussione, però, preme l’attualità. Gli intellettuali hanno fatto abbastanza? Le nuove tecnologie hanno abbassato il livello della lingua e la possibilità di conoscenza?
    Sugli intellettuali Chomsky mantiene una posizione molto netta. Quelli dissidenti sono apprezzabili, quelli di regime riprovevoli. Ma aggiunge una chiosa rivoluzionaria. 25 anni fa cadeva il muro di Berlino. Tutti apprezziamo gli intellettuali che si sono battuti contro i regimi totalitari dell’Europa dell’Est. Ma non vale lo stesso per i dissidenti interni o per quegli oppositori di regimi «amici», come in America Latina. Sono 25 anni che è avvenuto anche l’eccidio dei sacerdoti gesuiti e degli studenti in El Salvador ad opera di forze colluse col potere americano e nessuno in Usa si affannerà a ricordare quell’ingiustizia subita.

     

    Su stampa e nuove tecnologie della comunicazione Chomsky mantiene una posizione salomonica. La rete offre opportunità e comporta rischi. Sebbene le tecniche di propaganda siano le stesse, sia pure adottando nuovi metodi, l’immediatezza nel reperire le notizie in rete ha interferito con la profondità del giornalismo, riducendo la visione d’insieme e la capacità di offrire un’interpretazione del mondo. Tuttavia al centro resta la responsabilità di chi legge e di chi scrive: è la sua fiducia nella natura umana.
    Con un caveat (4): nella biblioteca di biologia del Mit quasi tutto quello che vi si legge è provato e verificato, mentre quello che si trova su internet proviene dalla testa delle persone senza controlli o mediazioni.(5)

    Note a margine

     

    (1) Non so perché la giornalista dell’Unità citi Mario Draghi come se fosse l’alfiere della difesa del welfare state; non so neppure cosa egli abbia scritto sul Wall Street Journal, ma qualsiasi cosa abbia scritto o detto rimane il fatto che il Presidente della BCE, come ricorda nei suoi articoli e interviste Bruno Amoroso, “ è il capitano  della nave da crociera –suicidio Titanic-euro, è un ex impiegato della Goldman Sachs,  è un signore che lavorava alla Banca mondiale (dal 1984 al 1990)  e che improvvisamente, nel 1991 diventa direttore generale al tesoro italiano.”

     

    (2) E tra questi c’è Mario Draghi

     

    (3) Per esempio la ricerca cinquantennale sul linguaggio prenatale del neuro psichiatra dell’Analisi collettiva Massimo Fagioli.

     

    (4) caveat : riserva, avvertimento, limitazione. La parola apparteneva alla lingua latina e, perduta nei tempi, ci è restituita, come tante altre, dagli inglesi. Per l’esattezza, era il congiuntivo presente, terza persona singolare, di caveo che in latino vuol dire mi guardo, evito, diffido, sto attento. Di questo verbo, nel passaggio all’italiano si è salvato solo il participio passato cautus che è diventato aggettivo: cauto. Questo congiuntivo presente, dismesso nel passaggio all’italiano con quasi tutti gli altri modi e tempi del verbo, fu incamerato, messo in naftalina e conservato dagli inglesi che a metà secolo XVI lo sfoderarono in una regola giuridico-commerciale: caveat emptor, che vuol dire “stia attento il compratore” ed è un principio di cautela negli acquisti nato quando non c’era una tutela legislativa a regolare i commerci. Nell’inglese di oggi dunque caveat, trasformato in sostantivo, vuol dire riserva, avvertimento, limitazione; e dall’inglese sta arrivando anche in Italia. Percorso di rimbalzo linguistico analogo a quello seguìto da altri termini latini, come media, forma plurale del latino medium, mezzo, che ormai significa mezzi di comunicazione; bonus, dall’identico aggettivo latino, audience, che è il pubblico di una trasmissione radio o televisiva, dal latino audientia cioè attenzione eccetera.

    (5) Non si capisce il senso di quest’ultima frase: che ha a che vedere la biblioteca di biologia del Mit con quello che si trova su internet? È normale che nella biblioteca del Mit, il contrario sarebbe tragico, tutto ciò che si legge sia provato e verificato.  La differenza semmai andrebbe fatta tra i maggiori canali di informazione mediatica e l’informazione web. Ma sorgerebbe subito un problema che pare sfuggito alla giornalista dell’Unità: anche ciò che viene scritto sui giornali nazionali e detto dai teleschermi delle maggiori reti televisive, private e non, “proviene dalla testa delle persone” … ed anche queste notizie spesso sono “senza controlli o mediazioni”. Vogliamo ricordare i telegiornali di Emilio Fede o le colonne di Libero? E qui vedo il solito vizietto: credere e/o voler far credere, che i testi dei giornali cartacei siano una diretta emanazione divina e i giornalisti “laureati” siano sacerdoti, e mere casse di risonanza, della verità che risiederebbe nell’Intermundia giornalistico a cui solo loro possono accedere. Un’altra pignoleria: cosa sono le “mediazioni” di cui parla Teresa Numerico? Non saranno per caso le censure, esplicite e non, a cui tutti i giornalisti al soldo di un giornale cartaceo devono per forza di cose soggiacere?

    30 gennaio 2014

     

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    Noam Chomsky è entrato nella storia della linguistica per la sua teoria generativa, nata dall’osservazione che se i bambini riescono ad apprendere rapidamente una lingua ciò deriva da una loro innata «capacità linguistica» che nel corso degli anni si concretizza nell’apprendimento di una specifica variante linguistica udita nel proprio contesto relazionale. Pertanto, secondo Chomsky, esisterebbe un insieme limitato di regole, la naturale capacità linguistica degli esseri umani, in grado di generare un insieme potenzialmente infinito di espressioni linguistiche. Tali regole innate sarebbero i cosiddetti «universali linguistici», cioè i meccanismi alla base di qualunque lingua umana. Fin qui la versione tradizionale del suo pensiero. Negli ultimi anni Noam Chomsky si è spinto oltre, affermando, come ha fatto a Roma, che «non è vero che la finalità del linguaggio è la comunicazione». Il linguaggio sarebbe composto di due aspetti uno esterno e uno interno, una cosa sarebbe l’eventuale realizzazione tramite i suoni di una frase, altra cosa sarebbe invece il «dialogo interiore», la lingua interna, quella che il più delle volte non esprimiamo con i suoni.

    (…)

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