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di Giulia De Baudi
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Alla fiera dell’est, per due soldi, un topolino mio padre comprò
E infine il Signore, sull’angelo della morte, sul macellaio
che uccise il toro, che bevve l’acqua, che spense il fuoco
che bruciò il bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto
che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò …
«Può, il batter d’ali di una farfalla in Brasile, provocare un tornado in Texas?» fu il titolo di una conferenza tenuta da Lorenz nel 1972. Poi fisici e matematici cercarono di dimostrare che “l’effetto farfalla” esiste ed ha conseguenze fisiche e pratiche sul clima e sul mercato finanziario. Poi storici e antropologi ci dissero che “l’effetto farfalla” causato dal clima genera drammatici mutamenti ecologici che generano immani migrazioni. Poi alcuni economisti illuminati ci dissero anche che a causa delle “conseguenze del mercato finanziario”, “l’effetto farfalla” crea crisi economiche e povertà in tutto il mondo. E infine “l’effetto farfalla” non può quindi che avere tragiche conseguenze sugli esseri umani che o lo subiscono passivamente, oppure lo cavalcano, oppure reagiscono cercando di arginarlo e facendo in modo che quel fatale battito si interrompa, o si allontani. A volte si allontanano perché l’effetto di quel “battito d’ali” potrebbe anche ucciderli.
Gli sfruttati, subiscono gli effetti del tornado della disumanità generato a migliaia di chilometri di distanza. Gli sfruttatori lo utilizzano per proprio tornaconto materiale nascondendone la genesi. I resistenti lo combattono denunciando e smascherando gli sfruttatori e cercando di interrompere questo stato delle cose che appare come un “destino” a cui è impossibile ribellarsi.
Sappiamo chi sono gli sfruttati, potremmo chiamarli per nome ad uno ad uno, non sappiamo però i nomi degli sfruttatori che si nascondono dietro sigle aziendali o rimangono nascosti dietro denominazioni come S.p.A., lobby, corporation, alta finanza, Europa, FMI, ecc. ecc..
Lo sfruttatore non ha volto, è sempre più spersonalizzato, basti pensare alla ormai celeberrima frase in bocca a tutti i nostri “alfieri” seduti su solidi scranni ministeriali che ripetono come pappagalli: «è l’Europa che lo vuole, è L’Europa che ce lo impone» omettendo il fatto che i diktat che generano ingiustizia sociale vengono stilati dalle banche europee. Papagalleggiano i signori della casta politica, omettono che la BCE è una banca privata, come lo è la Banca d’Italia, la Bundesbank e le altre “banche nazionali” che sono sue azioniste. Banche private che hanno generali e colonnelli che le guidano come fossero carri armati, e che rispondono a “soci azionisti” che sono persone con tanto di nome e cognome. C’è persino il pericolo che un “azionista suo malgrado” si ritrovi in compagnia di se stesso che lo ha ridotto in miseria. È accaduto e accadrà di nuovo. Ormai siamo all’assurdo fatto divenire “sistema”.
Un sistema ben attrezzato con un marketing propagandistico efficientissimo che sposta l’attenzione su quella che viene definita una invasione mussulmana. Senza ovviamente spiegare le cause che generano questa Völkerwanderung del ventunesimo secolo: «C’è la guerra fatta con le pallottole sparando al Campus a Kabul, c’è quella preparata (come avviene nella fabbrica di bombe in Sardegna). Poi ci sono quelli che pagano il conto della guerra (che sono sempre i poveracci, sia che siamo noi con i nostri diritti negati e i soldi che non ci sono mai per il sociale e invece si trovano sempre per le armi, sia che siano quelli al di là del mondo). E infine c’è la guerra che torna a chiedere il conto: abbiamo passato decenni a riempire zone del mondo di armi, violenza e insicurezza, ci abbiamo mandato gli eserciti, gli abbiamo portato via le risorse e la conseguenza la vediamo oggi sotto forma di un flusso inverso di persone che da quei Paesi scappano, migrano, si spostano e vengono qui. È un cerchio in cui siamo tutti collegati.» Così risponde Cecilia Strada intervista da Giulio Cavalli su Left del 23 dicembre 2017 questa settimana in edicola.
Ecco teniamo ben presente quel «cerchio in cui siamo tutti collegati» che è un’altra rappresentazione di quell’“effetto farfalla” di cui parlavamo prima: l’operaio che produce armi in Sardegna perderà il suo posto di lavoro perché uno sfruttatore deciderà che è più semplice, crea meno problemi morali e sociali ed è più redditizio sfruttare un giovane extracomunitario che è scappato dalla Nigeria perché quell’operaio sardo per vivere produce quelle armi che sono servite a rendere invivibile il villaggio da cui è fuggito il ragazzo nigeriano … e non si sa neppure dove è stato generato il primo battito d’ali … siamo all’assurdo. Siamo all’interno dell’assurdo «cerchio in cui siamo tutti collegati»
Sembra una canzone di Branduardi “e venne il cane che morse il gatto che si mangiò il topo …” ma non lo è. “È la globalizzazione bellezza”, così rispondono i cinici webioti di fronte a ciò che delirantemente avvertono come “fato incontrovertibile” creato per l’umanità da qualche divinità sadica.
Invece “la storia siamo noi, e nessuno si sente offeso”. È il genere umano che singolarmente decide se essere carnefice o vittima, sfruttatore o sfruttato, ma anche né uno né l’altro. Perché se non ci fossero vie d’uscita “il più violento continuerebbe a dominare il meno violento” ma c’è una via d’uscita. C’è sempre una via d’uscita, bisogna solo individuare quale sia la migliore e meno cruenta… anzi la non cruenta: «Una lotta, senza armi, soltanto rivoluzione del pensiero e parola» come quella auspicata dallo psichiatra Massimo Fagioli.
«Pensare un pensiero impossibile, per vincere un nemico invincibile»
«Quando vai nei ghetti in Italia ti rendi conto che il nemico è solo uno che si chiama sfruttatore: a volte ha la faccia bulla della criminalità organizzata, a volte la faccia tranquillizzante della grande distribuzione, ma il nemico è sempre lo sfruttamento»
Così diceva Cecilia Strada nell’intervista citata poc’anzi. E partendo da questa sacrosanta affermazione mi allaccio idealmente ad Albert Camus: nel 1946 la collaborazione di dello scrittore algerino a Combat è rappresentata solo da otto articoli denominati Né vittime né carnefici /“Ni victimes, ni bourreaux”. Questi articoli vennero scritti dallo scrittore francese per lanciare un grido di allarme contro il “nuovo ordine” che si stava instaurando nel mondo nell’immediato dopoguerra e contro la legittimazione dell’omicidio che lo sottendeva.
Queste serie di articoli esemplificavano le urgenze etiche di Albert Camus in quel periodo storico in cui le speranze di pace e di un rinnovamento radicale della società, sorte dell’immediato dopoguerra, si andavano già via via appannando. I suoi interventi, (leggi qui) oltre ad essere assolutamente attuali, letti a posteriori rivelano le cause della crisi sistemica che stiamo vivendo: «La sorte degli esseri umani di tutte le nazioni non si risolverà prima che si risolva il problema della pace e dell’organizzazione mondiale. In nessuna parte del globo avrà luogo una rivoluzione efficace prima che sia realizzata questa rivoluzione pacifica. (…) Mi spingerò persino oltre. Finché non si creerà la pace, non solo non si cambierà stabilmente il modello di proprietà in nessuna parte del globo, ma non troveranno soluzione nemmeno i problemi più semplici, come quello del pane quotidiano, della grande fame che torce i ventri degli europei (…) Qualunque pensiero riconosca lealmente la propria incapacità di giustificare la menzogna e l’omicidio non può che giungere, per quanto poco si curi della verità, a questa conclusione. (…) Il suddetto pensiero dovrà così riconoscere: 1° che la politica interna, considerata in sé e per sé, è una faccenda del tutto secondaria e per certi versi impensabile; 2° che l’unico problema è la creazione di un ordine internazionale in grado di assicurare finalmente forme strutturali durevoli che diano il senso della rivoluzione; 3° che all’interno delle nazioni esistono solamente problemi amministrativi, da regolare in maniera provvisoria, e nel modo migliore possibile, in attesa di una regolamentazione politica più efficace perché più generale.»
E scriveva inoltre col suo fare profetico da Cassandra inascoltata:
«Sì, oggi vanno combattuti la paura e il silenzio, e con essi la separazione delle persone e delle anime che quelli comportano. Vanno difesi anche il dialogo e la comunicazione universale e reciproca fra gli uomini. La subalternità, l’ingiustizia e la menzogna sono i flagelli che ostacolano la comunicazione universale e proibiscono il dialogo. Ecco perché dobbiamo respingerle. Sennonché quei flagelli sono oggi la sostanza stessa della storia e, pertanto, molti li considerano come mali necessari.»
Eravamo nel 1946 e oggi, dopo 70anni, molti considerano ancora un “male necessario” lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, come se questa modalità di rapporto interumano appartenesse al genere umano a causa di un peccato mortale o di un istinto animale. Ma non è così: lo sfruttatore, il carnefice, il violento appartengono alla categoria del disumano, ovvero a chi, ammalandosi, ha perduto la dote di umanità avuta in dono al momento della nascita.
Le categorie che sorreggono questo sistema di pensiero e che utilizzano come cardini ragione e religione per perpetuare un pensiero patriarcale millenario violento e misogino, paralizzano il pensiero e non gli permettono di fare nessi indispensabili per la decifrazione olistica del reale che deve andare anche al di là del dato fenomenico immediato. Una visione oligofrenica – come quella del solo soddisfacimento dei bisogni – che vede solo una piccola parte di un tutto, serve solo a creare rivoluzioni che durano da Natale a Santo Stefano.
Inoltre le categorie e i pregiudizi che parlano di una aggressività costituzionale al genere umano, costringono la mente in camere stagne che non comunicano tra loro impedendo di intuire il «cerchio in cui siamo tutti collegati» in quanto tutti appartenenti al genere umano.
Se si sfrutta un nativo africano rubandogli la sua terra – come accade nel land grabbing – o desertificandola, poi lui verrà in Europa per cercare, “banalmente”, di sopravvivere. È un processo che è esistito da sempre. Da sempre – per sopravvivere o per realizzare a pieno la propria identità umana, come fanno coloro che vengono chiamati “cervelli in fuga” – esiste il fenomeno emigrazione: dalle grandi Völkerwanderung le “migrazione dei popoli” del medioevo alle recenti “migrazioni di massa” che coinvolgono popoli interi che fuggono dai nuovi “cavalieri dell’apocalisse”: Guerra, Povertà, Ingiustizia sociale e Diseguaglianza.
A cavallo fra Ottocento e Novecento, soprattutto a causa dell’impoverimento del Sud Italia dovuto all’occupazione sabauda, sono espatriati più di 16 milioni di persone dirette principalmente in USA, Canada, Argentina e Brasile, Australia e, seppur in percentuali minori, verso le colonie del Maghreb.
A monte di una migrazione di massa c’è sempre una causa il più delle volte, causata da una piccola parte del genere umano e subita da una grande parte dello stesso identico genere umano. Piccola parte del genere umano irresponsabile che con il suo insensato utilizzo delle risorse del pianeta, lo sta portando al naufragio.
Uscire dal paradigma millenario – San Paolo parlava di schiavitù come fosse un disegno divino – che rende congruo il pensiero asociale dello sfruttato e dello sfruttatore, del carnefice e della vittima, del più violento che domina il meno violento, e giudicare questo non come un destino o un disegno divino ma come una violenza disumana messa in atto da individui profondamente malati, è l’unico modo per far sì che quel battito d’ali di cui parlavo all’inizio ridiventi quello lieve di una farfalla e non quello frenetico e bramoso di una sciame di cavallette che desertificano anche la realtà umana rendendola sterile e disumana.
Per fare qualcosa non è necessario far nulla di violento, basta essere socialmente presenti e responsabili. Ogni nostro atto, anche quello di un acquisto responsabile che tenga conto delle “qualità etiche” del prodotto acquistato, può servire a ridisegnare le sorti del genere umano… e comunque sia ci farà realizzare quell’umanità senza la quale vivere ha veramente poco senso.
Non ho paura
di non trovare il senso delle cose
non temo il silenzio
né l’attesa di partenze e di arrivi.
Non dirò i segreti
svelati dal caso fortuito
per scherzo
a volte più cantore dei poeti.
Dirò che una farfalla
ė volata e nessuno se ne è accorto
a dispetto del rumore
per un battito di ali irripetibile.
Francesca Gentili gennaio 2018
Castiglione delle Stiviere – 28 dicembre 2017