• Nativi + evangelizzazione + esportazione della civiltà = sterminio e genocidio culturale. La storia di Daniel Matenho Cabixi che ritornò all’umano

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    Funai-Daniel Matenho Cabixi

     PARESI *

    Loretta Emiri **

    Pochissimi erano i testi di autori indigeni in circolazione in Brasile all’epoca in cui sentii parlare di Daniel Matenho Cabixi, indio paresi; e venga accolta, comunica che ha avviato il mio libro, Amazzonia portatile, all’esame della molto tempo ancora avrei dovuto attendere prima di venire in possesso dell’opuscolo che riunisce alcuni dei saggi da lui prodotti, e intitolato A questão indígena. È arrivata stamattina la lettera del caporedattore di una casa editrice; pur ritenendo improbabile che la proposta di pubblicazione commissione editoriale; ci tiene a farmi sapere che «l’elaborazione letteraria della lunga esperienza nell’Amazzonia brasiliana – elaborazione letteraria esplicita e voluta, tanto da costituire quasi una rinnovata esperienza dell’esperienza, un memoriale si direbbe », almeno a lui personalmente interessa e intriga. L’editoria italiana è un deserto in cui mi strascino disseminando approcci, telefonate, menabò, schede, raccomandate, lettere che quasi mai ricevono risposta. Fatte d’acqua e d’ombra, le parole del caporedattore mi raggiungono a poco meno di due anni dall’avvio dei tentativi di pubblicazione del libro; costituiscono un’oasi in cui mi ritempro prima di riprendere il cammino. Un addetto ai lavori si è finalmente accorto di tracce lasciate sulla sabbia; analizzandole, ne ha colto le intenzioni; addirittura, ha avuto la sensibilità di farmelo sapere. Sono ragioni più che sufficienti per mettermi di buonumore e indurmi a lanciare una sfida a me stessa: voglio parlare del grande Daniel usando parole umili come lui; voglio trasformare la sua vasta e dolorosa esperienza in essenziale pozza d’acqua, in gradevole senso di frescura.

    Nel sudovest del Mato Grosso, in un altopiano arido e arenoso tagliato da corsi d’acqua che corrono verso nord in direzione del Rio delle Amazzoni e verso sud incontro al fiume Paraguay, vive un popolo di lingua aruak conosciuto come paresi. Le sue relazioni con segmenti della società occidentale ebbero inizio circa duecentottanta anni fa, quando venne raggiunto da spedizioni di cacciatori di indios; uno di loro, Antônio Pires de Campos, in un resoconto del 1723, scrisse che era un popolo numeroso, distribuito in villaggi in cui si contavano fino a trenta abitazioni, instancabilmente dedito all’agricoltura, di indole pacifica e modi cortesi. I cacciatori di indios si incaricarono anche dello sfruttamento delle ricchezze minerarie della regione, e quasi portarono i paresi all’estinzione. Poi vennero i raccoglitori di  poaia e di caucciù; per ricordare quanto violente siano state le loro relazioni con i nativi, basti dire che bruciarono un villaggio e assassinarono indigeni che a loro volta raccoglievano caucciù.

     

    Per istallare una linea telegrafica che collegasse gli stati di Mato Grosso e Amazonas, all’inizio del secolo arrivò la Commissione Rondon. Intere comunità si spostarono lungo il percorso della linea. Gli indigeni divennero guide e battistrada, poi disboscarono, quindi popolarono le stazioni telegrafiche trasformandosi in guardiani, guardafili e telegrafisti. Tutto il popolo paresi venne raggiunto dall’operato della Commissione Rondon: l’allontanamento dei gruppi locali dai territori tradizionali, e l’introduzione di nuovi valori e schemi di socializzazione, determinarono profonde modificazioni a livello di organizzazione territoriale e sociale, appunto. I discendenti delle tre sole famiglie che permasero nell’antico territorio lottano oggigiorno contro gli invasori bianchi, i quali accampano diritti e cercano di provare, addirittura, che invasori sarebbero gli indios; apparirebbe comica, se non fosse sordida, la realtà che vede indigeni essere considerati invasori delle proprie terre. Prima ancora che la linea fosse ultimata, la radiotelegrafia soppiantava le stazioni telegrafiche, che vennero quindi disattivate. Ripetendo una pratica usuale in quell’epoca, l’autoritario organo preposto alla pretesa protezione degli indios costrinse differenti etnie, che non vantavano alcun tipo di convivenza essendo storicamente nemiche fra di loro, a trasferirsi in un luogo chiamato “Fraternità Indigena”; così che i bianchi potettero più facilmente occuparne i territori tradizionali. Abbandonati a sé stessi, tenuti sotto pressione dagli invasori, per molti indigeni non restò altra alternativa che migrare verso i centri urbani, dove un numero imprecisato di discendenti ancora vive.

    Attualmente, la popolazione paresi è di circa ottocento individui. Sorti in prossimità di sorgenti di fiumi, dove il suolo è più propizio all’agricoltura, si contano ventitré villaggi. Quasi tutti sono formati da due sole case che accolgono altrettanti, distinti, gruppi domestici costituiti da individui appartenenti a tre generazioni. In una casa di piccole proporzioni sono custoditi i flauti sacri, che vengono usati durante la realizzazione di rituali. La storia recente del popolo paresi si fonde e confonde con la vita stessa di Daniel Matenho Cabixi. Nel processo di contatto con la società occidentale, l’operato di ben tre differenti realtà missionarie all’interno di ciò che resta dell’etnia paresi ha la sua importanza, deleteria naturalmente.

    Nel 1945 i gesuiti della prelatura di Diamantino trasformarono l’antica stazione telegrafica di Utiariti in internato per bambini dei popoli irantxe, rikbaktsa, paresi e di alcuni gruppi nambikwara. La missione cattolica operò fino alla fine degli anni settanta, anche se l’internato venne disattivato nel 1971. Gli anni sessanta videro gli indios avere contatti sistematici anche con due chiese protestanti originarie degli Stati Uniti: la SAM – South American Indian Mission, e il SIL – Summer Institute of Linguistics. La prima impiantò una struttura di semi-internato in un villaggio; il pastore, che realizzava tentativi di cosiddetta alfabetizzazione, condannava l’uso dei flauti, cioè di quanto di più sacro esiste nella religiosità paresi; sosteneva che flauti e danze erano opere di Satana e che, se avessero insistito nelle loro pratiche e rituali, tutti i paresi sarebbero finiti all’inferno. L’altra chiesa protestante, il SIL, è operante a tutt’oggi: i suoi missionari realizzano studi linguistici, traducono la Bibbia nella lingua indigena e di quest’ultima si servono per alfabetizzare gli indios e trasmettere messaggi estranei alla loro cultura; l’alfabetizzazione è finalizzata alla conversione di individui, ai quali è poi chiesto di evangelizzare l’intera comunità.

    Molto piccolo, Daniel venne portato a Utiariti dove, attraverso scolarizzazione e catechesi, si imponevano agli indios i valori etici, morali e religiosi della società occidentale. Di quell’epoca, gli è rimasto il ricordo di piccoli doni che venivano distribuiti a quei bambini che raccogliessero sterco di animali per concimare l’orto. La seconda infanzia la trascorse in Diamantino, in un internato per ragazzi di campagna; per poter realizzare gli studi ginnasiali, entrò poi nel seminario della stessa città. Secondo Daniel, i dominatori, o manipolatori, proiettano il loro etnocentrismo nei subordinati; confrontandosi con le proprie origini, i dominati, o manipolati, si deprimono, autodisprezzano e sviluppano complessi di inferiorità; quindi si trasformano in alienati e disadattati che agiscono come robot. Ciò che la chiesa cattolica ottenne in quegli anni è esattamente quanto lo stato voleva: forgiare individui complessati che fuggissero dal proprio popolo per inserirsi, da marginalizzati e sfruttati, nella società nazionale. Non riuscivano ad integrarsi nemmeno quegli individui che tornavano ai propri villaggi e che, anzi, andavano incontro ad ulteriori, devastanti, traumi. Daniel ci svela quanto il suo corpo e spirito abbiano sofferto per rieducarsi e inserirsi nella cultura paresi; cresciuto lontano dal suo popolo, non ne aveva appreso nemmeno la lingua, ragion per cui anche la semplice comunicazione fu una delle tante barriere che dovette superare.

     

    Unknown(1)

    Le disgrazie non vengono mai da sole. Oltre ai missionari protestanti, gli anni sessanta portarono con sé  l’apertura della strada BR 364 – Cuiabá/Porto Velho. Essa incentivò l’arrivo di frotte di immigrati venuti dal sud, e determinò che la regione acquisisse una nuova fisionomia economico-sociale. D’allora i conflitti con i fazendeiros marcano vita e storia dei paresi.

    Daniel trascorse le ultime vacanze scolastiche nel villaggio con sua madre, e in quell’occasione percepì così vividamente la situazione del suo popolo che decise di tornare e impegnarsi per alleviarne le sorti. L’inserimento nella realtà paresi è stato scioccante; Daniel confessa che solo un sofferto lavorio interiore, fatto di presa di coscienza e analisi critica della situazione, gli ha permesso di venirne a capo senza trasformarsi in un alienato. Si impegna come maestro; prende in mano la cooperativa; partecipa da esperto a corsi, incontri e assemblee indigene e indigeniste; discute alla pari con studenti e professori universitari; rappresenta gli indios brasiliani in incontri internazionali; zappa e pianta nel suo campo; fa e vende artigianato; ride, gioca e alleva i figli nel rispetto delle tradizioni paresi. Daniel è un raro esempio di indio che, sradicato dal suo popolo, riesce a reinserirsi da persona matura, non contaminata nemmeno da estremismi. Esperienze e conoscenze, accumulate vivendo in due mondi così distinti, sono state da lui metabolizzate e trasformate in saggezza: si colloca criticamente nei confronti degli occidentali; con la stessa lucidità mette in discussione atteggiamenti o situazioni riguardanti membri del suo popolo; con equilibrio e pacatezza si rapporta con tutti loro.  Sistematizza la sua esperienza nella lingua portoghese: i suoi testi diventano sacri; la produzione intellettuale di Daniel è fondamentale perché suscita o alimenta la riflessione-discussione all’interno del movimento indigeno e indigenista brasiliano.

                Nel maggio del 1989, nel Mato Grosso, ha avuto luogo il “Primo Incontro Statale di Educazione Indigena”; evento fra i precursori, dato che vede coinvolto il Segretariato dell’Educazione di uno stato brasiliano, è passato alla storia anche perché i suggerimenti contenuti nel documento finale sono stati incorporati a leggi all’epoca in elaborazione; l’incontro si è svolto nel villaggio Salto da Mulher, in area  paresi. Insieme ad altri cinque indigeni, nel 1993 Daniel Matenho Cabixi è stato designato a far parte del Comitato di Educazione Scolastica Indigena del Ministero dell’Educazione e, alla fine dello stesso anno, in occasione di un incontro realizzato a Belém, ho avuto la soddisfazione di conoscerlo: calzoncini corti, infradito di gomma, indole pacifica, modi cortesi, sguardo profondo come le sue riflessioni, una presenza così discreta da indurmi a pensare che stesse usando lo zayákoti, uno scudo venatorio che permette ai paresi di avvicinarsi alla selvaggina senza essere notati. Iniziando questo brano, sapevo già che lo avrei concluso con le parole stesse di Daniel: «Vorrei che capiste il mio mondo, così come io ho compreso il vostro. Avrei piacere di dirvi che faccio parte di una società che possiede norme di convivenza armoniosa fra uomini e natura. Avrei piacere di dirvi che abbiamo i nostri valori sociali, politici, economici, culturali e religiosi, acquisiti attraverso i tempi, di generazione in generazione. Avrei piacere di dirvi che, nel nostro mondo, equilibrati e giusti sono i rapporti interpersonali. Dirvi che come esseri umani siamo soggetti a errori e difetti. Dirvi che i nostri sentimenti più intimi sono esternati attraverso l’arte, la lingua, la religione, le feste accompagnate da riti e cerimoniali. Dirvi che siamo custodi di un mondo equilibrato, imperniato di valori che trasmettiamo ai nostri figli, e che ciò, usando una parola più comprensibile, equivale a educazione»¹.

     

    ¹A questão indígena, Daniel Cabixi, CDTI, Cuiabá, 1984, pag. 16, traduzione dell’autrice.

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    Glossario

    Fazendeiro: proprietario terriero o agricoltore.

    Poaia: ipecacuana (Cephaëlis ipecacuanha).

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    * Il brano “Paresi” è uno dei capitoli del libro Amazzone in tempo reale.

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    ** Loretta Emiri è nata in Umbria nel 1947. Nel 1977 si è stabilita in Roraima (Brasile) dove ha vissuto per anni con gli indios Yanomami. In seguito, organizzando corsi e incontri per maestri indigeni, ha avuto contatti con varie etnie e i loro leader. Ha pubblicato il Dicionário Yãnomamè-Português, il libro etno-fotografico Yanomami para brasileiro ver, la raccolta poetica Mulher entre três culturas, i libri di racconti Ama-zzonia portatile, Amazzone in tempo reale (premio speciale della giuria per la Saggistica, del Premio Franz Kafka Italia 2013) e A passo di tartaruga – Storie di una latinoamericana per scelta, il romanzo breve Quando le amazzoni diventano nonne. È anche autrice dell’inedito Romanzo indigenista, mentre del libro Se si riesce a sopravvivere a questa guerra non si muore più, anch’esso inedito, è la curatrice. Suoi testi appaiono in blogs e riviste on-line, tra cui Sagarana, AMAZZONIA – fratelli indios, La macchina sognante, Fili d’aquilone, El ghibli, I giorni e le notti, La bottega del Barbieri, Pressenza, Euterpe.

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