• Loretta Emiri: pensieri sul divenire del tempo umano… nostro, degli altri

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    1Madre-figlia

    Dedicato alle donne

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    DUE FACCE DELLA STESSA VECCHIAIA *

    Loretta Emiri **    

    Passeggiavo nelle adiacenze della grande casa comunitaria e notavo che una piccola costruzione le era improvvisamente spuntata accanto come un fungo. Incuriosita, passai dal sole a picco dell’esterno alla penombra interna della casupola e a fatica scorsi, disteso nell’amaca, il corpo incartapecorito della più vecchia del gruppo. Dietro a me entrò una giovane, che  accudì vecchina e abitazione. Ero da poco arrivata in territorio yanomami e la vista di una persona che sembrava essere stata espulsa dalla grande casa comunitaria mi turbò profondamente. Andai in cerca del fedele Kretipè, un uomo di mezza età che si era messo a disposizione per svelarmi i segreti della sua lingua e cultura. Per essere sicuro che capissi, non si limitò a parlare, ma indicò  parti del corpo e mimò situazioni.

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    Mi disse che la vecchina se la faceva addosso e  che  puzza e  vista di escrementi creavano disagio ai vicini. Avevano  quindi deciso di sistemarla fuori dalla maloca, ma vicinissima per udirne necessità e soddisfarle, e anche perché lei potesse continuare ad ascoltare il respiro della comunità. Per tranquillizzarmi aggiunse che, essendo cieca, la vecchina non si era resa conto di essere stata allontanata dalla casa comunitaria. Cercai di mettermi nei loro panni per cogliere il giusto significato della decisione. Vivendo tutti sotto lo stesso tetto, dove nemmeno pareti divisorie vengono innalzate per delimitare gli spazi riservati alle varie famiglie, non disponendo certo di acqua corrente e pannoloni, presi atto che il problema individuale era stato risolto tenendo conto di esigenze e sensibilità collettive. Il raziocinio servì a rimetterne insieme i cocci, ma un mito si era ormai frantumato dentro di me.

    Avevo elevato la maloca a rappresentazione simbolica del concetto di unità; un’unità che escludevo potesse essere infranta da soluzioni razionali date a problemi contingenti. Per lunghissimi anni mi portai dentro la sgradevole sensazione provata vedendo il mito frantumarsi.

    Lasciando l’Italia, avevo portavo con me l’immagine di una nonna elevata a personificazione di forza di volontà e coraggio, un’eroina mitologica che veneravo e dalla quale mi ero sempre lasciata plagiare. Fra gli yanomami, avevo costatato quanto armoniosamente gli anziani erano inseriti nel tessuto sociale: vecchi che non riuscivano più a camminare  si prendevano cura di neonati, dondolandosi con loro nelle amache; figlie acquisite e naturali li rifornivano di prodotti alimentari; i generi cacciavano per loro. Quando il gruppo decideva di prendersi qualche giorno di ferie, scorribandando nella foresta o visitando gruppi vicini, gli anziani infermi venivano trasportati dagli uomini attraverso fasce vegetali appoggiate sulla fronte, esattamente come le donne trasportavano i bambini. Le conoscenze accumulate dai vecchi, la loro esperienza e saggezza, erano tenute in considerazione, ma le decisioni che il gruppo prendeva erano frutto di valutazioni e necessità collettive. A sera, quando i nuclei familiari si riunivano intorno ai fuochi accesi, dai commenti ai fatti del giorno, da proposte e suggerimenti formulati da quanti prendessero parte alla conversazione, scaturiva la programmazione per l’indomani; una programmazione che teneva conto, appunto, delle esigenze dei più.

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    Dopo quattro anni e mezzo, tornai in Italia per un periodo di riposo e studio. Viaggiando in aereo, barca, pullman, nave e treno, lasciavo il presente amazzonico per ritrovarmi nel passato italiano. Nella stazione ferroviaria dove si concludeva il mio viaggio a ritroso nel tempo, non c’era un’eroina ad aspettarmi, perché anche il mito nel quale avevo inserito mia nonna si era ormai frantumato dentro di  me.

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    Ritrovavo una vecchina acida e scorbutica, immagine fedele, solo un po’ più incartapecorita, di ciò che in effetti era stata: moglie autoritaria, madre-padrona, nonna egoista. Era dimagrita; priva dello strato di grasso, la pelle non occultava più i nervi che la percorrevano tutta. Gli occhi più gelidi, il profilo più arcigno, più stridula la voce, più esigente nelle sue pretese. Guardandola mi tornò  in mente mio nonno, buono, tranquillo, sereno, spiritoso, un uomo pacifico al quale  aveva impartito ordini fino a vederlo morire. Ascoltandola mi tornarono in mente gli ordini che impartiva a me bambina, affinché non mi staccassi dalla sua sottana per cercare la compagnia di coetanei che, secondo lei, mi avrebbero negativamente influenzata. Mi tornarono in mente le esortazioni a non praticare atti di generosità che, secondo lei, nessuno si meritava, e affiorarono  i rimproveri che mi fece il giorno che scoprì che avevo inviato dei pacchi di indumenti usati a un centro di raccolta di aiuti per le missioni. Ricordai come riuscisse a rovinare ogni ricorrenza famigliare, ogni festa. O si rifiutava proprio di partecipare, o se ne stava lì con quel suo grugno imbronciato che metteva tutti a disagio. Ricordai come riuscisse a simulare una immagine pubblica di sé che era il contrario di quella domestica. Con vicini, conoscenti ed estranei era una pasta di miele, una donna attenta e premurosa, che emanava simpatia, che elargiva sorrisi e regalini; molto conosciuta, i concittadini l’ammiravano e stimavano. La fissai a lungo senza parlare, ma avrei voluto gridare che credevo di sapere dove affondavano le radici della mia difficoltà a relazionarmi con gli altri, della mia tendenza a chiudermi e isolarmi.

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    Mi bastò sfiorare con lo sguardo  mia madre per scorgere nei suoi occhi opachi l’orlo del precipizio verso cui la stavano spingendo. Una volta riuniti i tasselli, non mi fu difficile montare il mosaico. Mia nonna aveva bisogno di assistenza. I suoi tre figli, dall’alto dei loro troni maschilisti, avevano decretato che dovesse prendersene cura l’unica figlia femmina, vedova e sola. Inutilmente, mia madre aveva cercato di convincere la vecchia a trasferirsi da lei, lasciando la scomoda casa dove bisognava servirsi di una ripida scala di legno per raggiungere il cesso sprovvisto di acqua corrente. Pazientemente, tutti i giorni copriva a piedi un lungo percorso per accudire madre e abitazione. Non era la fatica fisica che stava distruggendola. Resa ancor più despota dall’arteriosclerosi, che veniva a coronarla per il potere esercitato durante tutta la vita, la vecchia la sfibrava con pretese e vessazioni. Dialogai con mio fratello. Insieme cercammo di dialogare con i fratelli di nostra madre. Ricorremmo a vie legali. Un avvocato ricordò ai tre  che, se vincoli di sangue non erano sufficienti ad indurre a tanto, per legge  i figli debbono tutti  prendersi cura della madre, alternativamente trasportandone il corpo lungo i sentieri della vita, specialmente quando esso è reso pesantissimo dallo spirito che  già vi è morto dentro.

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    Ci fu chi sostenne che non avrei dovuto svolgere volontariato internazionale, ma io stessa prendermi cura di mia nonna. C’è chi sostiene che amare e rispettare i vecchi è un precetto biblico.  Penso alla società degli yanomami pagani, nella quale anche i pesi sono distribuiti equamente. In una società cosiddetta cristiana, mi chiedo se non dovrebbe essere un precetto biblico garantire pari opportunità a tutti i suoi membri. Mi chiedo cosa sia la generosità. Generoso è colui che si sostituisce all’egoista, esonerandolo da doveri e contribuendo così a perpetuare situazioni di ingiustizia? Non è generoso chi libera la carne viva dei mansueti dagli artigli dei rapaci?

     

    Glossario

    Maloca = Grande casa comunitaria o villaggio indigeno.

    Yanomami = Gruppo indigeno, che occupa un’estesa area compresa tra il Brasile e il Venezuela.

     

    1-loretta

    * Il brano “Due face della stessa vecchiaia” è uno dei capitoli del libro Amazzonia portatile,  Manni Editori, Lecce, 2003.

    ** Loretta Emiri è nata in Umbria nel 1947. Nel 1977 si è stabilita in Roraima (Brasile) dove ha vissuto per anni con gli indios yanomami. In seguito, organizzando corsi e incontri per maestri indigeni, ha avuto contatti con varie etnie e i loro leader. Ha pubblicato il Dicionário Yãnomamè-Português, il libro etno-fotografico Yanomami para brasileiro ver, la raccolta poetica Mulher entre três culturas, i volumi di racconti Amazzonia portatile e Amazzone in tempo reale (premio speciale della giuria per la Saggistica, del Premio Franz Kafka Italia 2013), il romanzo breve Quando le amazzoni diventano nonne. È anche autrice degli inediti A passo di tartaruga e Romanzo indigenista, mentre del libro Se si riesce a sopravvivere a questa guerra non si muore più, anch’esso inedito, è la curatrice.

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