• Resistenza: storia, rappresentazione, immagine – Fibre “resistenziali” nell’arte contemporanea italiana.

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    Ora e sempre Resistenza

    Fibre “resistenziali” nell’arte contemporanea italiana

     di Anna Maria Panzera

    C’è sempre un tumulto di emozioni quando provo a parlare di Resistenza. Ovviamente non l’ho vissuta ma ne ho sentito parlare e, per fortuna, dalla viva voce di alcuni protagonisti. E poi l’ho studiata, certo: libri di storia, saggi, testimonianze. Quante volte ho provato a “restituirla” alle mie scolaresche, con la stessa intensità con cui l’ho appresa!

    Mi chiedo perché, e mi rispondo che dev’essere per il sentore di come il termine, riferito a una realtà storica dall’immensa forza politica ed emotiva collettiva, si estenda all’oggi diventando una dimensione esistenziale e privata. Ho paura di essere pretenziosa. Ma è proprio quello che sento, senza troppo perdermi in balbettii sociologici e psicologici.

    Non sottovaluto che la colpa sia anche dell’invito fattomi a sviluppare l’argomento con riguardo alla Storia dell’Arte: la risposta si presenta come (virtuoso?) corto circuito tra storia, arte e vita. Pensieri un po’ scomposti fanno riecheggiare la frase – quella usata anche per il titolo di questa pagina – qualche volta gridata durante le manifestazioni; ne cerco l’origine e la ritrovo nella nota poesia scritta da Piero Calamandrei nel 1952. Fu incisa su una lapide nel palazzo Comunale di Cuneo, in ricordo di Duccio Galimberti, come reazione a un’infelice frase del comandante in capo delle forze armate di occupazione tedesche in Italia, Albert Kesserling; questi, processato nel 1947 e condannato a morte per numerose stragi (le Fosse Ardeatine e Marzabotto, tanto per citare le più note), vide la sua pena commutarsi in carcere a vita e poi in libertà a causa delle precarie condizioni di salute: non ebbe mai nulla da rimproverarsi, anzi, considerava il suo comportamento in Italia degno di un monumento. Perciò Calamandrei pensò all’unico “monumento” possibile: non fatto di pietra ma di voglia di riscatto e di libertà.

    Non mi sembrano parole desuete. Anzi, mi viene da considerarle quasi una categoria sostanziale dell’arte, valida in tutte le epoche e per molti, variabilissimi contesti. Confesso che ciò di cui vorrei parlare, forse, non sono solo le immagini che hanno descritto, illustrato o testimoniato quel tempo eroico in cui il popolo italiano provò a guarire dal virus ottenebrante del fascismo; non solo degli artisti, e non furono pochi, che s’impiegarono nell’opera attiva di liberazione del Paese. Ho necessità di riannodare fili storici più lunghi, per scoprire da che pasta nascesse il pane del contemporaneo artistico in Italia e quante fibre “resistenziali” esso contenesse o contenga ancora… Continua a leggere su Altritaliani

    giovedì 24 aprile 2014

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