di Gian Carlo Zanon
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«Ho l’idea che dovrò inventare un nuovo nome per i miei libri, con cui sostituire ‘romanzo’. Un nuovo… di Virginia Woolf. Un nuovo che cosa? Elegia?»
Virginia Woolf
Sulla quarta di copertina Mauro Germani definisce la scrittura narrativa di Lia Maselli “anomala”… è che a leggere questo romanzo entri in uno spazio dove i punti di riferimento sono solo quelle nere linee che curvandosi e agglutinandosi formano le parole. Linee/parole che evocano “infiniti mondi” di pensiero.
Parole che marcano i territori della mente lasciando segni indelebili nella fantasia del lettore. Lettore che poi dovrà a sua volta, nel tempo, ricomporre la narrazione curvandola, con fuoco, incudine e martello, sul proprio Io.
Parole che cancellano il ricordo che ritorna in forma di memoria ricreando il senso di un gesto, di un atto, di una scelta, di un amore ignorato e perduto.
Parole fitte, dense, essenziali.
E non si può parlare di prosa , né di poesia in senso stretto, è altro e non è indispensabile indicare, nominandolo, “quest’altro”. Si può lasciare che il tempo trovi la parola adatta in grado di rappresentare la forma letteraria di questa narrazione poetica. Non è un vuoto, né un’assenza, è un’attesa. E noi pazienti lettori attendiamo come chi nelle pagine di Lia Maselli porta nomi di donna.
Le donne e le case sono le protagoniste di questo romanzo: Aurora, Emma, la bambina seduta sui gradini, la giovane sposa, la madre, quella che sceglie, quella che attende, che parte, che ritorna nelle case ove dimora la memoria. In ogni donna si sente la presenza dell’autrice, che siede loro accanto e narra, dopo averla assorbita, la loro angoscia, il dolore, l’amarezza di vivere accanto a chi le inchioda a un destino tanto inspiegabile quanto inespugnabile. Accanto a un’ombra che ad ogni movimento della mente, scindendosi dal corpo, torna a dire “tu non puoi”.
Ma le case, gli oggetti, le strade, il mare, sono zeppi di presenze che vogliono continuare a vivere: «E ho anche cercato soluzioni perché Aurora potesse finalmente parlare» ma «Non sapeva quanto duro è sciogliere il sangue secco di una memoria in movimento».
Nella narrazione il tempo declinato in molteplici significati, si curva e si avvolge su se stesso e, se non fosse per il meraviglioso “disordine” che pervade le pagine, il romanzo ricorderebbe To the Lighthouse di Virginia Woolf. Per non so bene quale associazione di idee, alla grande scrittrice inglese e alla Christa Wolf di Cassandra ho pensato mentre leggevo questo romanzo. Forse per il suo sguardo sul mondo che non lascia scampo.
I personaggi, o forse sarebbe meglio definirli presenze, si incuneano nella narrazione smarrendosi per poi ritrovarsi ricreati dalla memoria-fantasia dell’autrice che crea per loro piccoli e grandi enclavi d’esistenza dentro cui vivere la vita che, forse, è stata a loro negata. Isole atemporali in cui la realtà è troppo vera e troppo cruda.
Forse è per questo che si sente una forza che vuole impedire alle istantanee del ricordo di intorpidire troppo il sentire e lasciare a Mnemòsine in compito di trasfigurare il passato. È un “ritorno” – che non è un ritorno – ma ricreazione del sé più profondo, utilizzando la memoria che si fa arte e strumento per accedere all’universale umano… e il ritmo è quello primordiale: il sasso che batte sul sasso a scandire il movimento del pensiero che reagisce agli stimoli discordanti del ricordo e dell’oblio.
15 aprile 2016
Lia Maselli è nata a Savona. Vive e lavora a Parma. Nel 2009 ha vinto con il racconto Morte di Pepe Hillo innamorato il premio Pensieri d’inchiostro. Ha scritto una riduzione de L’idiota di Dostoevskij andata in scena nel giugno del 2015 al Teatro Vascello di Roma.
Scheda
Lia Maselli
Le case dei venti contrari
Formebrevi Edizioni – 2016