• La soffitta di Dorian: il ritratto di Francesco Gray

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    di Inés Cottoli

    Mi è venuta una magnifica idea: quanto sarebbe bello poter aver la chiave delle soffitte dove i personaggi pubblici nascondono, come faceva Dorian Gray, il protagonista del romanzo di Oscar Wilde, i loro ritratti a olio in cui la loro vera realtà interiore ora per ora, giorno per giorno, si concretizza sulla tela. Ma ci pensate?


    Metti che per uno strano caso potessi entrare nella soffitta di quel papa Francesco che siamo abituati a vedere sempre col suo sorriso da Bertoldino e col suo abito candido come la neve. Il Francesco come ce lo hanno mostrato i nostri eccellenti informatori mediatici, quel simpaticone che parla, come ha ricordato Corradino Mineo su Left del 30 gennaio, di “misericordia”, e che dice, come ha ricordato sempre C. Mineo “chi sono io per giudicare”. Metti che nell’angolo più buio di quella soffitta trovassi una quadro coperto da un telo polveroso e che lo scoprissi, metti che, aiutata da una candela, potessi osservare attentamente la vera identità del padrone di casa ritratta nel quadro. Metti anche che il ritratto si mettesse a parlare – i ritratti a me parlano sempre – rivelando anche la natura dei suoi pensieri più reconditi. Che ficata sarebbe, vero!!!

    Si una vera ficata … infatti, a voi non sembrerà vero, proprio ieri mi è capitato di entrare in una soffitta dove Francesco ha fatto sistemare un dipinto a olio che lo ritraeva in tenera età. L’amico che mi ha fornito le chiavi della soffitta mi ha fatto vedere anche una foto che immortalava il quadro appena fatto. La foto mostrava un adolescente, già bruttino, con un’aria da furbetto del tipo “tanto io vi frego a tutti quanti” . Ma ora il ritratto che avevo davanti era ben diverso. Intanto era vestito in modo strano: al posto della solita tonaca immacolata e del solito berettino “alla giudea” portava una strana veste che potrei definire clerical-militare. La coppoletta bianca lasciava il posto a un cappello militare, tipo quello che portava Videla; una giacca grigioverde, con gli stemmi della Guardia de Hierro, (1) della marina e dell’aviazione argentina, e altre medaglie al valor militare, copriva una tonaca nera decisamente gesuita. Al collo portava la medaglietta con raffigurato Josemaría Escrivá de Balaguer, l’amico del generalissimo Franco fondatore dell’Opus dei. Al polso sinistro spiccava un Rolex d’oro e nella mano destra teneva stretta una picana. (2)


    L’espressione torva del viso lasciava trasparire un che di inquietante che mi ricordava alcuni personaggi storici del paese del papa emerito in auge durante il Terzo Reich.

    Le parole italiane, mischiate col lunfardo porteño, che l’ater ego di Francesco le ho registrate e adesso le trascrivo:
    «Ma che pelado scrivono i giornalisti? Come sarebbe a dire “In piazza non c’era la chiesa di Francesco” E chi c’era allora al Family day? Quelli dell’associazione Atei e Agnostici? Que se vayan a hacer culear , possibile che quei carolos credano a quello che scrivono? Da morir dal ridere: c’è n’è uno, che no me acuerdo como si chiama, che ha scritto che io mi apro como una chichi al dialogo con el mundo. Che maraca! Non ha capito che io faccio finta? Io ho detto chiaramente quello che penso: “la famiglia che non è sognata da Dio, e solo io so quello che sogna Dio, non è una vera famiglia”. Ma cosa devo fare perché la gente si accorga chi sono? Non basta quello che ho combinato in Argentina (leggi qui) dove adesso governa mi compadrito Macri?
    Ma io lo so perché questi cabrones scrivono ‘ste cose: vogliono tenermi in soffitta nascosto e mostrare la mia immagine mascherata da comunista francescano … ma prima o poi quell’immagine si tradirà e allora sarà lei ad andare in soffitta e tutti mi vedranno così come sono, ecc. ecc.»

    Non la finiva più di parlare e così gli ho rimesso il telo polveroso addosso e l’ho lasciato lì a parlare da solo.

    Qui potete trovare in ordine alfabetico le parole in lunfardo tradotte in spagnolo.

    4 febbraio 2016

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