Egitto: Seshat, donna scriba
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di Jeanne Pucelli
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Mi sono svegliata strana stamattina. Mi accade spesso. Stamattina la mia stranezza era un pensiero che permaneva lì sul bordo della notte … in mezzo … tra quell’aria scura senza ombre e l’annuncio del giorno, tra i pensieri notturni del sogno e le parole che dovrebbero narrarlo. Lì sull’orlo, il pensiero come un’acrobata dondolava, incerto. Incerto se continuare ad essere pensiero ipnotico o entrare nell’accecante chiarore della narrazione verbale che avrebbe trasfigurato la sua natura.
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A volte penso alle parole, dette e scritte, come fossero vagoni ferroviari. Le immagino una diversa dall’altra, quindi un vagone diverso dall’altro, con una grossa scritta stampata con caratteri cubitali, che ne riproducono la fonetica, sui due lati: “ESSERE”, “LUNA”, “OMBRA”, “UGUALE”, … in fondo alle fiancate, sulla destra, targhe rettangolari 20×30 raccolgono i dati: etimologia, significato, modi d’uso., e altre utili indicazioni che ne certificano il senso.
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Ma non è a questo che pensavo prima che i soliti pensieri didascalici prendessero il timone. In realtà appena sveglia pensavo all’estrema fragilità del rapporto con l’altro da sé e come questo sia sempre in balia delle parole che prendono il sopravvento e … ma no non era neppure questo, perché non erano parole, era un’idea, un’immagine, un pensiero indefinito, qualcosa di appena abbozzato che inesorabilmente sta ora perdendo la sua natura originaria per trasformarsi in parole. Le parole che devono salvare il pensiero ipnotico, incastrato tra notte e alba, dalla sparizione … incatenandolo a quei vagoni? No, ci sono altre strade per salvare una rêverie in bilico tra giorno e notte, tra oblio e memoria.
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La rêverie – impossibile da riprodurre, ma ci sto provando – è quella di una piramide di lettere che si sbriciola. Una donna riprendeva le lettere e con esse iniziava a costruire un edificio sottile, quasi evanescente. La struttura era formata da una serie di linee che si perdevano nello spazio, ed io sapevo che era più solida e stabile della piramide precedente.
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Non so esattamente che senso abbia tutto questo, ci devo ancora pensare. So però che basta poco per disarticolare vincoli che si reggono su una piramide di parole: basta passare da una forma di linguaggio ad un’altra, per esempio dal linguaggio muto del corpo a quello fatto solo di parole o viceversa. Basta questo perché si spezzi la trama sottile che contiene un rapporto. E quando un filo si spezza … e se uno dei due non riannoda la magica trama …
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I linguaggi sono aghi e fili che cuciono insieme esistenze. Tra un punto e l’altro occorre uno spazio, una pausa di silenzio… e fili diversi per diversi linguaggi: quello nero che si scrive e si legge, quello rosso del corpo fatto di sguardi e carezze, quello parlato in cui ci si vede e quello dove l’altro è altrove e tu ascolti il suono della voce al telefono. In assenza dei corpi al linguaggio rimane solo la parola che è segno e respiro del pensiero. Tanti linguaggi … da leggere, interpretare, osservare, ascoltare, sentire, cercar di capire… bon chance.
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17 agosto 2016
© Jeanne Pucelli – Riproduzione riservata