• Kafka – Lottare per conservare la propria identità o imitare gli altri

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     di Gian Carlo Zanon

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    Novantacinque anni fa, Il 4 settembre del 1917,  il medico diagnosticò a Kafka una tubercolosi polmonare. Per quei tempi la diagnosi equivaleva ad una sentenza di morte. Sempre in quell’anno, non sappiamo se prima della diagnosi infausta o dopo, Kafka termina il racconto Una relazione per un’accademia e lo include nella raccolta di novelle intitolata Un medico di campagna. Sempre in quei mesi rompe definitivamente il burrascoso fidanzamento con Felice Bauer.

     

    Chissà quali erano i pensieri di Franz Kafka in quel periodo e come questi pensieri si siano trasformati andando a creare questa sua ennesima opera d’arte di difficile interpretazione … ma tutta l’opera di Kafka è criptica e di difficile interpretazione.

     

    Quest’opera letteraria portata sulle scene da grandi attori come Vittorio Gassman e Roberto Herlitzka, e nell’ultima stagione da una grande attrice, Angela Antonini, narra le disavventure di uno scimpanzé, Rotpeter (Pietro il Posso), che catturato nelle foreste africane riesce, con un sorprendente quanto improbabile spirito di adattamento, a evolvere in brevissimo tempo sino a poter tenere una relazione in un’Accademia gremita di illustri cattedratici.

     

    Durante la relazione la sua natura primaria traspare, anche se molto mitigata dal suo affascinate eloquio:

     

    «Ultimamente, nel lavoro di uno dei diecimila fanfaroni che straparlano di me sui giornali, ho letto che la mia natura di scimmia non sarebbe ancora del tutto soppressa, e lo dimostrerebbe il fatto che provo piacere a togliermi i pantaloni davanti ai visitatori per mostrare il foro d’entrata di quel colpo (la ferita d’ama da fuoco ricevuta durante la cattura N.d.R.) A questo bel tomo bisognerebbe far saltare ogni singolo ditino della mano con cui scrive.»

     

    Rotpeter, ex scimmia, parla dal pulpito di un’accademia, lasciando trasparire, una vena d’odio freddo verso il giornalista che la vuole mostrare inchiodato al suo stato precedente di primate.

     

    La frase tragicomica, sopracitata, fa  intravedere la realtà interna di questa ‘scimmia’, la quale, per aver scelto di aderire, annullando la propria natura originaria, alla ‘civiltà’ degli esseri umani, è piena di rabbia e odio verso coloro con cui si è identificata. Ma questa è solo un mia interpretazione.

     

    È un dilemma amletico quello di Rotpeter: «Rimanere ostinatamente attaccati alle propria origine? O imitare gli uomini?». Ma in realtà per lo scimpanzé l’unica via d’uscita dalla sua situazione è quella di aderire alla normalità umana. Infatti viste chiuse tutte le vie di fuga egli dice «Io, scimmia libera, mi sottoposi a questo giogo».

     

    Ed è intorno a questo dramma “dell’identificazione con il più forte”, raccontato da Kafka anche nel testo Lettera al padre, che ruota il racconto. In maniera esplicita ne La lettera al padre  e poeticamente in questo racconto,  Franz riflette sulla rinuncia alla propria originale nascita per ‘vivere’ con gli altri esseri umani. In realtà, pagando a caro prezzo il suo rifiuto, Kafka sfuggì all’oppressione del padre inventandosi un proprio originale linguaggio, dopo che, da bambino, contrariamente alla scimmia, aveva rifiutato inconsciamente il linguaggio imposto:  «disimparai a parlare» scrive ne La lettera.

     

    Su questa «rivolta della parola» la germanista Susanne Portmann ha scritto un breve ma esaustivo saggio, Il bambino di Kafka pubblicato su I giorni e le notti.,

     

    Rotpeter fa una scelta diversa. Dopo aver copiato ogni movimento degli uomini apprenderà anche la loro forma verbale imitandoli: «Era così facile imitare la gente. A sputare, imparai fin dai primi giorni. Ci sputavamo in faccia a vicenda; l’unica differenza era che dopo io mi leccavo la faccia per pulirla, loro no. (…) La fatica maggiore me la procurò la bottiglia di grappa. L’odore mi ripugnava; mi costrinsi con tutte le forze; ma ci vollero settimane perché riuscissi a vincermi. Queste lotte interiori, sorprendentemente,  furono dall’equipaggio prese sul serio più di ogni altra cosa».

    Ed è chiaro che Kafka più o meno consapevolmente si riferisce a modificazioni traumatiche dell’identità originaria, altrimenti non parlerebbe di “lotte interiori”.

     

    Come nel suo più grande capolavoro, La metamorfosi, ‘l’animale’, in questo caso un primate, è il travestimento geniale per raccontare grottescamente la carriera del vivere degli esseri umani, che, troppo spesso devono rinunciare “alla propria originale nascita per ‘vivere’, o meglio sopravvivere con gli altri esseri umani”.

     

    Nel suo resoconto all’accademia la Rotpeter narra del suo precedente stato animale e delle sue scelte di vita. Fra le righe del racconto, Franz Kafka sparge indizi che rimandano alla struggente realtà degli esseri umani che nati con una propria originale identità, la devono, chi più chi meno, a secondo dell’oppressione esterna, rimodellare su modelli familiari identificandosi, sin dai primi mesi di vita, con madri e padri, nonni, ecc.. Identificazione che, ormai innescata, poi continuerà in fase adulta, e vedrà gli individui, espropriati dell’io della nascita, modellarsi acriticamente sull’altro, anziché stabilire una dialettica tra identità diverse e originali.

     

    L’inizio del racconto della scimmia è drammatico: ferita e catturata si ritrova in una gabbia che gli impedisce i movimenti. Cerca una via d’uscita e la trova pensando che, imitando gli esseri umani che si muovevano, apparentemente, liberi e felici, questi, riconoscendola come una di loro, l’avrebbero lasciata libera: «Ripeto: non mi attirava imitare gli uomini; li imitavo solo perché cercavo una via d’uscita, nient’altro». E così inizia per Rotpeter un lento e doloroso di adattamento al mondo ‘umano’ e ad una altrettanto dolorosa rinuncia al proprio essere più profondo

    La sua natura originaria è andata perduta nell’identificazione alla quale ha dovuto sottostare. Si è ‘salvata’ entrando nel sistema: «Quando ad Amburgo fui consegnata al primo domatore capii ben presto che due possibilità mi si offrivano: il giardino zoologico o il varietà. Non esitai. Mi dissi: cerca con tutte le tue forze di arrivare al varietà: quella è la via d’uscita; il giardino zoologico non è che una nuova gabbia: se c’entri, sei perduta».

     

    E l’individuo-scimmia, tra la gabbia, dove finiscono i burattini ribelli, e il varietà, dove le marionette ammaestrate si lasciano tirare dai fili di violenti burattinai, sceglie il secondo: lo spettacolo effimero del teatro mundi dove tutti portano inchioadata al volto la propria grottesca maschera sociale.

     

    Nei frammenti non inseriti nel racconto, Kafka narra amaramente di un tempo in cui il vagito originario, se non compreso dal mondo degli adulti, muore: « … tu saluti con l’urlo felice di chi non capisce. Dove vuoi andare? Dietro le assi comincia la foresta».(Quaderno in ottavo D, aprile 1917)

     

    3 ottobre 2012

    Leggi qui il racconto

     

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