• “IO DICO NO alla cultura che alimenta la violenza sulle donne”

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    Castiglione delle Stiviere – Piazza Dallò – 25 novembre 2017

    Gian Carlo Zanon

     

    Il titolo dell’articolo l’ho rubato a Left, che esce oggi con un numero quasi interamente dedicato alla violenza di genere contro le donne. L’ho scelto perché quel IO DICO NO, che campeggia sulla copertina della rivista, parla di violenza e di rifiuto.

    Massimo Fagioli “L’identità umana non è razionalità”, Left 5 aprile 2014

    Mentre Francesca (nome fittizio) questa mattina sotto il porticato di piazza Dallò raccontava la violenza domestica che stava subendo una sua amica  – da quando questa “paranoica” “aveva osato” fare una realizzazione identitaria che superava quella del marito – mi sono venuti i mente i commenti sconnessi di un tizio che su FB cercava di annullare la portata tragica del femminicidio facendo paragoni numerici assurdi: “ne muoiono molto più sulle strade” … si aveva scritto proprio così.

    Mi sono fermato più di un’ora stamattina sotto i portici di questa magnifica piazza castiglionese dove, su due colonne separate da pochi passi, si ergono due statue: una regolamentare dedicata alla semprevergine Maria e l’altra che ricorda la giovane Domenica Calubini  che nel 1608 preferì farsi uccidere piuttosto di cedere alla violenza di un soldato francese… che allora era un “extracomunitario” e che quindi come disse quella simpaticona della Serracchiani fu ed è una violenza molto «più inaccettabile».

     

    Chissà se la donna di nazionalità rumena che a Lamezia Terme è stata costretta a vivere per dieci anni come una schiava insieme a due bambini nati dalla violenza di un italianissimo cinquantenne, che da dieci anni la teneva legata ad una catena in cantina, considerava più accettabili le violenze subite da uno che non aveva mai richiesto assistenza, piuttosto che da un clandestino in attesa di asilo politico.

     

    Questo e altro ci ricorda Left a pagina 16. Per esempio ricorda alcune frasi da incorniciare tipo

     

    «La diagnosi preimpianto dell’embrione è eugenetica nazista» della  “sempre cara mi fu” Eugenia Rocella che oggi siede alla destra di sua sanità Beatrice Lorenzin;

    o come altre enunciazioni classiche tipo «L’aborto è un delitto abominevole» piuttosto che «(…) quando la vita non è funzionale viene scartata senza troppe remore, come nel caso (…) dei bambini uccisi prima di nascere» del papa Francisco primero che si dimentica che per morire ammazzati si dovrebbe quantomeno nascere.

     

    Mi sono fermato quasi un’ora questa mattina sotto i portici di Piazza Dallò, pioveva e lì si stava bene, c’era anche l’Assessore alla Coesione Sociale e alle Pari Opportunità Erica Gazzurelli che mi ha spiegato come funziona la rete di protezione per le donne che subiscono violenze fisiche e psichiche dislocata nel territorio e fortemente interconnessa.

     

    C’era Tiziana Confalonieri dell’Associazione culturale Te sé de Castiù la quale ha puntato il dito contro il milieu familiare colpevole di creare una forma mentis che da una parte discrimina fortemente le bambine, e dall’altra crea un devastante confine di separazione tra maschi e femmine. Anche un certo tipo di femminismo – secondo T. Confalonieri – è colpevole di aver creato quelle molteplici linee di demarcazione a causa del quale a questi due generi che parlano due lingue diverse, non rimane altro che una lunga e inutile guerra di trincea sprecata nel fango di rapporti sadomasochistici in cui nessuno è vincitore. Tutti perdono in questa guerra infinita, in cui la donna è la vittima principale anche, e forse soprattutto, perché ora è vincitrice sul piano sociale. E questo per un numero crescente di individui psichicamente disturbati è inaccettabile.

     

    Sotto quei portici, parlandone si è cercato anche di capire quali fossero le cause e quali gli effetti, che troppo spesso vengono erroneamente posposti, dei comportamenti violenti a tutti i livelli. Tutti d’accordo però sul fatto che questa violenza venga alimentata da una cultura che è… che è quella che è. Negare la non esistenza del problema usando il “peraltrismo” (si è vero però ne muoiono di più sulla strade)  serve solo ad addomesticare le coscienze all’abitudine del pensiero acritico.

    Serve invece il NO del rifiuto alla violenza, anche alla violenza invisibile, quella violenza celata nelle parole e nei gesti che invisibilmente, lentamente ma inesorabilmente lede la mente. Una puntura d’ape fa molto male, cento punture uccidono. Si devono individuare ed indicare con un nome le violenze nascoste, come quella celata in quel fenomeno antico ma solo ora visualizzato grazie ad un vocabolo recentemente coniato:  Mansplaining.

    «Mansplaining – spiegava Giulia D.B. in un articolo (leggi qui) è una parola inglese che indica l’atteggiamento di arrogante sufficienza di un uomo quando spiega a una donna qualcosa di ovvio, o di cui lei è esperta, con il tono di chi parla a una persona stupida o che non capisce. È un neologismo composto da man, uomo, e explain, spiegare.

    Gli uomini che odiano le donne sono anche “uomini spiegano le cose” alle donne in modo tale da farle sentire stupide.»

    Leggi qui articoli correlati alla violenza di genere  e al femminicidio

    Castiglione delle Stiviere, 25 Novembre 2017

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