• Il senso delle parole: “abitare”

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    di Gian Carlo Zanon

     

    Abitare

     

    Abitare [lat. habitāre; frequentativo di habēre, ‘trovarsi, stare’]

     

    Habǐtǎtǒr, abitatore.

     

    In senso stretto: habitāre, aver di solito (abitudine)

     

    In senso proprio: habitāre dimorare, trattenersi, trovarsi

     

    Estensivamente


    Habitus, aspetto esteriore, condizione, stato, qualità, carattere, sentimento

     

    Hǎběo (proposizione) avere in sé, portare con sé, avere entro di sé, contenere. (Nihil epistola abebat quod…, la lettera non conteneva nulla che…)

     

    L’immagine dell’abitare, in greco si esprime con il verbo némo che ha varie accezioni: abito, governo, occupo, sono situato, distribuisco.

     

    Come vediamo, nelle lingue originarie, il fonema abitare, il senso, le immagini che fondano il fonema, rivelano due modi di pensare all’abitare diversi.

     

    Nella parola greca némo non c’è l’idea di staticità, (occupo, sono situato non danno un’idea di stasi) né di passività, al contrario vi è un’immagine di attività umana che si adopera per ‘guidare’: governo, distribuisco.

     

    Nei sostativi e nei verbi latini, che parlano di abitare, l’idea di stanzialità è maggiore (abitudine) ma si possono ascoltare dei punti di vista interessanti che ci parlano di ‘qualita’, ‘condizione’, ‘sentimento’, vale a dire concetti che richiamano il modo interiore e quindi l’etica individuale.

     

    È chiaro, o perlomeno dovrebbe esserlo, che la nostra realtà interna si riflette sul mondo esterno e che quindi il nostro abitare i luoghi che frequentiamo è rappresentazione di noi stessi. Molti di noi, spero molti, non abitano i campi di calcio dove la violenza gratuita è di casa; non abitano partiti o istituzioni violente atte al dominio fisico e mentale di altri individui; non abitano locali a luci rosse o luoghi simili ecc. ecc. .

     

    Inoltre le nostre abitazioni sono, e/o si cerca di farle diventare tali, un po’ la nostra immagine interna che si appropria del territorio. Si fa come gli artisti che, a volte, raccontano i loro vissuti interni nelle opere d’arte. A volte no, si fa come quegli artisti che si lasciano trasportare dalle mode o peggio, dalle ideologie e dalle idee parassite.

    Le nostre dimore, i nostri balconi e terrazze ci rappresentano sempre come i nostri abiti che dicono agli altri chi siamo e/o cosa vorremmo essere.

     

    Quando ciò che siamo non è rappresentato chiaramente all’esterno, c’è qualcosa che non và. L’idea che l’immagine interna non si rifletta più nel nostro movimento esterno è angosciante perché portatrice di un scissione che porta al manierismo, vale a dire alla creazione di una maschera che poi rimane incollata al corpo creando un falso movimento. E quando l’abito si trasforma in abitante, quando la forma/maschera esterna viene interiorizzata, l’essere umano cade in quella scissione tra mente e corpo tanto auspicata dalle società monoteiste.

     

     

    Nella dolce vita di Fellini un personaggio femminile dice al protagonista: «…adesso mi sento disabitata». Poi finisce per fare sesso con il primo che gli capita a tiro così, tanto per fare qualcosa. Tempo fa circolava una canzone che aveva un refrain: «tu, mutevole abitante del mio solito involucro». http://www.youtube.com/watch?v=wJUDATJIkLE

     

    Perché questi riferimenti all’arte cinematografica e alla cultura? Perché solo gli artisti, più o meno consapevolmente, che hanno saputo rappresentare quel daimon che ci abita, divenendo, trasformandosi continuamente in grandi realizzazioni umane ma anche, purtroppo, nelle regressioni negative che alterano l’immagine interna, come accade al protagonista de il Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde.

     

    È da tempo ormai, che nel mondo occidentale, con l’illuminismo, la ragione, diventata trionfante, ha annullato l’invisibile e l’irrazionale. Lo ha fatto perché “invisibile” e “irrazionale” non sono oggetti di ricerca atti ad essere misurati e certificati ‘scientificamente’. Da quel momento in poi l’invisibile e l’irrazionale sono stati annullati dalla cultura laica divenendo preda della chiesa cristiana che ha codificato ogni loro manifestazione: sappiamo che ancora adesso ci sono preti che praticano l’esorcismo e ci sono degli eminenti psichiatri che, quando non sanno più cosa fare, mandano i loro pazienti da queste persone per far sì che il demonio che li abita esca dal loro involucro mortale. Vedi il film denuncia, di Hans Christian Schmid, Requiem. http://www.youtube.com/watch?v=30KLEFl2Nvg

    Una scena tratta dal film di Hans Christian Schmid, Requiem

     

    Sul daimon è stato scritto molto, Rodhe, Vernant, persino F. García Lorca lo cita in una sua famosa relazione sul duende tenutasi a Cuba nel 1933, ed altri grandi ricercatori hanno cercato di raccontare cosa fosse per il mondo antico questo ‘essere’ misterioso che senza dubbio rappresentava la realtà interna umana.

    Anche se in seguito, dal VI-V secolo a.C. in poi, diviene un nume tutelare, il daimon è sempre stato pensato come una divinità incontrollabile, tellurica, ctonia, sotterranea, invisibile.

    Ecco cosa ha scritto Giovanni Semerano su L’infinito: un equivoco millenario (Pag. 43): «Della voce daimon si ignorò l’origine. Ma occorre considerare che daimon è nella dinamica di un motivo fondamentale nella concezione religiosa degli antichi, intorno a quelle potenze che in Omero e nella Bibbia combattono invisibili e spesso scelgono la notte o il sogno per affermare la loro presenza.: daimon è, ad esempio, come l’Elohîm che combatte con Giacobbe, il misterioso lottatore che ‘ha paura della luce’…».

    L’irrazionale, che ci abita’, altro non è se non la nostra realtà umana interna, invisibile, che si rivela di notte, nell’onirico.  Teme il giorno, dominio della veglia e della ragione.

     

    20 ottobre 2012

     

     

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    L’abitare

    “Cosa significa abitare? Che significato diamo a questa parola? Perché cerchiamo l’abitare umano?
    Perché siamo convinti che l’uomo abita perché ha una ricchezza propria, che è nuova nel contesto della natura, e questa ricchezza, che è una ricchezza interiore, che è una mente creativa, che è una capacità immaginativa che sta dentro l’essere umano, gli consente di avere, nello stare al mondo, un rapporto totalmente diverso rispetto a quello che erano le cose che accadevano prima che lui comparisse.
    Lo devo dire meglio. L’abitare non ha bisogno del fare. […]
    Io non sono essere umano ed abito perché faccio qualcosa, perché taglio un albero, perché faccio un trilite, perché costruisco una piramide, perché mi invento una selce. Io abito perché ho una testa, una mente, un corpo che ospitano dentro dei pensieri. Io abito perché questi pensieri mi fanno leggere la natura in un modo diverso.
    Un mondo dove c’è un essere umano è un mondo diverso da un mondo dove non c’è un essere umano.
    L’abitare è questo.”

    Ugo Tonietti- Architetto

    https://ventisecondi.it/eventi/l-abitare/

    Paragrafo aggiunto il 13 gennaio 2018

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