• Il logos occidentale al guado ontologico dopo l’orrore dei Quaderni neri di Heidegger

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    q d Heidegger

    «Forse è la fine di un’epoca, di una storia che vide l’aggressione violenta continuata, diretta demolire l’immagine di chi aveva pensato, in modo nuovo, all’origine dell’uomo»

    Massimo Fagioli – Left n.4 – 7 febbraio 2015

    di Gian Carlo Zanon


    Quella parte del pensiero occidentale dominato dall’onnipotenza del logos, sta attraversando una crisi che potrebbe risolversi positivamente. Comunque vadano le cose ciò che resterà dopo la nemesis culturale suscitata dalla lettura dei Quaderni neri di Martin Heidegger, non avrà più le identiche caratteristiche precedenti a questa crisi.

    La parola “crisi”, krìsis, scrive Lorenzo Rocci nel suo vocabolario di greco, evoca una “forza distintiva”, che giudica, sceglie, separa. Il sostantivo, nato dal verbo krìno, dice: distinguo, giudico, discrimino, giudico. Il senso del sostantivo e del verbo rimandano all’immagine di un guado, al centro del quale l’essere umano può scegliere se tornare sui suoi passi, annullando il motivo che lo ha spinto fino a quel frangente, oppure scegliere di portarsi nella riva opposta separandosi dal passato che priva donne e uomini della loro essenza umana.

    La pubblicazione dei Quaderni neri di Heidegger ha aperto una crisi nel mondo accademico che vive di “filosofia”. L’orrore di quei pensieri, nonostante il negazionismo degli intellettuali francesi che chiedevano addirittura la sospensione delle pubblicazioni, è diventato pubblico. Capisco le loro ragioni: Sartre, Foucault, Derrida e tutta la filiera di pensiero heideggeriana penetrata anche nel basaglismo nostrano, non è neppure concepibile al di fuori dello sfondo fornito dal filosofo di Friburgo. Questo vale anche per gli estensori del pensiero heideggeriano che continuano il loro crimine culturale come se nulla fosse accaduto. È come se i chirurghi operassero ancora sulla scorta delle teorie di Galeno.

    Ma gli stessi filosofi, che hanno vissuto tutta una vita accademica diffondendo il verbo surrettiziamente nazista e che ora, obtorto collo, devono denunciare l’efferatezza di quel pensiero delirante sulla natura umana, si fermano a metà del guado, titubanti, con frasi di questo genere.

    «Il che non vuol dire, come pretenderebbero alcuni, proscrivere o bandire Heidegger, ma confrontarsi con la complessità della sua riflessione in modo aperto e critico. Sarebbe questa forse, per la filosofia, l’occasione per pensare nella sua profondità abissale la Shoah.»

    «Proprio per questo è indispensabile evitare le reazioni emotive, i giudizi precipitosi e sommari. Per quanto sia estremamente difficile, occorre invece continuare a interrogarsi e, anzi, mantenere aperte le domande. Serve, insomma, l’esercizio della filosofia.»

    «Ma rifiutare d’improvviso Heidegger, come ha fatto di recente Günter Figal, dimettendosi dalla carica di presidente della Società Martin Heidegger, non vuol dire forse eludere il confronto con quel che è accaduto solo qualche decennio fa?»

    «Perché la Shoah non è solo una questione storica, ma è una questione filosofica che coinvolge direttamente la filosofia. Le responsabilità di una lunga tradizione di pensiero devono essere ancora accertate e discusse. Così come la storia dell’antisemitismo nella filosofia attende ancora di essere scritta. Si presume spesso di sapere che cosa sia l’antisemitismo, che cosa sia la Shoah.»

    Questi quatro paragrafi, apparsi sul Corriere della sera, sono di Donatella Di Cesare che fa parte del comitato di redazione della rivista Internationales Jahrbuch für Hermeneutik, del Beirat dello Heidegger Forum, nonché “vicepresidente non pentita” della Martin Heidegger-Gesellschaft.

    Poi ci sono imbarazzanti reazioni come quella del filosofo Gianni Vattimo che continua la sua crociata per salvare il pensiero di Heidegger il quale «Ha sempre creduto di non essere corresponsabile con il nazismo». Secondo Vattimo il Mago di Messkirch ha sbagliato filosoficamente – un piccolo «un errore concettuale» – ma non ci sono sufficienti ragioni per ritenerlo «un apologeta dello sterminio». SIC

    Poi c’è Emanuele Severino che quasi in perfetta sincronicità con il Giorno della memoria, rinnega il suo, secondo Marramao, maestro, ma però afferma «Per fortuna Heidegger non è coerente, ossia non esiste una connessione rigorosa tra le sue tesi; sì che si possono lasciar da parte i Quaderni neri senza esser costretti a fare altrettanto con molte altre sue opere, che lo rendono uno dei maggiori pensatori del Novecento. Rileggere tutta la sua opera alla luce di questi Quaderni (dalla copertina nera) è quindi molto arbitrario.» Il maggior pensatore del Novecento scrive nei Quaderni che gli ebrei si sarebbero “autoannientati”.

     

    Vattimo 2

    E questi sono solo alcuni degli esempi in cui eminenti filosofi danno il meglio di sé, rimanendo con i piedi ben piantati al centro del guado, aspettando la corrente del tornaconto personale che deciderà le loro sorti. D’altronde la filosofia è divenuta quella disciplina in cui si può dire tutto e l’incontrario di tutto.

    Scrive Ugo Volli su Informazione corretta del 9 febbraio scorso: «Tutta la “magia” delle sue paraetimologie, la retorica autoritaria con cui fin dall’inizio della sua opera cerca di convincerci che la vita debba essere vissuta in una certa maniera (“per la morte”), che la società, la lingua, il tempo ecc. debbano essere concepite non come banalmente pare a tutti, ma secondo certe sue intuizioni – tutto ciò che non ha evidentemente ragioni morali (se no sarebbe banale “umanismo”, figuriamoci…) tutto ciò non è dall’inizio una costruzione ideologica razzista? É una domanda che bisogna pur porsi.
    Ma ce n’è un’altra, più generale. Una disciplina, come la filosofia, che stabilisce che questo retore del nazismo è il suo più grande esponente da cent’anni o più, tanto da non poterlo espellere dal suo canone, anche se la conclusione del suo pensiero è l’esaltazione “metafisica” dello sterminio degli ebrei – non avrà qualche cosa di profondamente marcio al suo centro?
    Se i filosofi veri sono come Heidegger e i loro epigoni si chiamano Vattimo, Di Cesare e così via, non sarà il caso di dire che l’autodefinizione, l’autocomprensione, l’autovalutazione di questa disciplina è profondamente sbagliata?
    Non sarà compito di chi si definisce filosofo chiedersi “che cosa è andato storto?”, “dove abbiamo sbagliato?”, “perché siamo caduti così in basso?”. Essendo uno che non ha mai avuto l’ardire di definirsi filosofo, ma è ordinario in un settore disciplinare che si chiama “filosofia del linguaggio”, mi permetto di pensare proprio questo. Dopo che l’”ultimo grande filosofo” ha dichiarato nella sua eredità filosofica che il solo orrore della Shoà sia stato non aver lasciato i tedeschi finire lo sterminio degli ebrei, mi chiedo non tanto se dobbiamo prendere sul serio l’ideologia anarchica che si pretende ebraica di Donatella di Cesare, nemmeno la questione più seria se non dobbiamo espellere Heidegger dalla storia della filosofia per manifesta indegnità morale, ma se abbia senso oggi parlare ancora di filosofia. Almeno di quella filosofia in cui Heidegger è un grande.»


    Ed è questo il punto focale della crisi del pensiero occidentale che ha dominato almeno 3000anni di storia, e della sua risoluzione in senso positivo o negativo: il pensiero sull’origine dell’essere umano.


    Nell’intervista di Elisabetta Amalfitano al filosofo Giacomo Marramao, i nodi della crisi vengono al pettine. Alla domanda di E. Amalfitano che chiede «L’ontologia di Heidegger afferma che gli uomini sono “gettati” nel mondo con una mancanza originaria. Di nuovo l’ontologia cattolica della nascita macchiata dal peccato originale?» Marramao risponde «Ha perfettamente ragione. L’idea di gettatezza ha una radice sicuramente nei monoteismi e soprattutto nella declinazione cattolica del cristianesimo, questo non c’è dubbio. C’è un’idea di caduta». Poco più avanti alla domanda «Cosa pensa dell’ontologia della nascita di Massimo Fagioli che denuncia da sempre il pensiero di Heidegger perché è un “essere per la non esistenza”, perché ipotizza la diseguaglianza fra gli esseri umani?
    Il filosofo risponde «La teoria di fagioli rientra in una visione vitale nel senso che quello che a me piace di Fagioli è il fatto di portare avanti una battaglia contro le visioni filosofiche, ma anche psicologiche e psicanalitiche, mortifere e colpevolizzanti. La sua idea dell’uguaglianza alla nascita è l’opposto del livellamento concentrazionario che ho detto all’inizio degli üntermeschen, dei sub-umani.»
    Due pensieri sull’origine dell’essere umano, quello di Heidegger e di Fagioli che stanno sui due lati opposti delle rive dell’ontologia : quella del non essere (o se preferite “essere per la morte”) e quella dell’essere in divenire in rapporto con l’altro da sé.

    Il sistema filosofico del filosofo nazista è un’ennesima declinazione del pensiero che da Platone ha percorso tutto il pensiero occidentale sul carro del cristianesimo in cui la realizzazione umana è rimandata a dopo la morte. La nascita umana per il logos occidentale e per il sistema filosofico cristiano è un incidente di percorso dell’anima da sanare con la morte. Heidegger non fa altro che riproporre questo delirio affermando il primato di sé rispetto alla relazione con l’altro da sé. E torniamo al narcisismo primario di Freud che porta inevitabilmente alla realizzazione di sé per l’annullamento dell’altro da sé, che sta alla base dello sterminio degli ebrei e dell’invasione degli stati confinanti.

     

    ontologico

    Il pensiero di Massimo Fagioli, che da sempre ha rifiutato l’ontologia heideggeriana, è all’opposto.
    Nell’articolo, La differenza ontologica, pubblicato da Left del 24 gennaio 2014, lo psichiatra Gianfranco De Simone mostra le differenze abissali tra il “non pensiero” heideggeriano e la “Teoria della nascita” di Massimo Fagioli.


    Il pensiero sull’origine dell’essere umano di Fagioli ha in sé – al contrario dell’essere heideggeriano che realizza se stesso con la morte dell’altro – l’essere per l’esistenza dell’altro uguale a sé: «La capacità di immaginare dopo aver “immaginato” l’inesistenza del mondo non umano realizza, simultaneamente, la memoria-fantasia dell’esperienza vissuta nel contatto della pelle con il liquido amniotico e la speranza-certezza dell’esistenza del corpo. Realizza anche la realtà del “non è” che dice: non è la verità la solitudine, in cui la vita sarebbe la morte, perché il “delirio” dell’inesistenza del mondo non umano si forma insieme alla certezza che la verità è il rapporto interumano» Esistenza del corpo umano, Left n.1. – 17 gennaio 2015


    Difficile ora sapere quali saranno i tempi per la definitiva sepoltura del pensiero heideggeriano e delle sue metastasi culturali infiltratesi nella psicologia, nella filosofia, nella psicoanalisi, nell’antipsichiatria, nell’antropologia, nella politica, nella sociologia. Non dico “nella religione” perché non proviene ma sta alla base del pensiero delirante di Heidegger e dei suoi epigoni sparpagliati in tutte le discipline.


    Un pensiero delirante sull’origine dell’uomo che ha pervaso per millenni la cultura d’occidente non può certo scomparire come neve al sole in pochi anni. Certo ci si chiede perché anche di fronte all’orrore di un pensiero che ha creato i presupposti per la seconda guerra mondiale, i “sacerdoti dell’essere per la morte” non si cospargano il capo di cenere e cerchino in qualche modo di riparare il male che con la loro cecità hanno arrecato al genere umano accecandolo sulla sua vera realtà umana.

    Questo è un delitto culturale contro l’umanità, se ne dovrebbero rendere conto. Invece cincischiano in mezzo al guado da decenni diffondendo il veleno di un pensiero a cui hanno aderito esercitando la pulsione di annullamento che fa credere supinamente e impedisce di pensare «La pulsione di annullamento, nell’essere umano che ha perduto la vitalità, determina un’assenza, una mancanza insuperabile nelle proprie capacità di pensare.» Massimo Fagioli – Il silenzio dei “venti secondi”, Left n.2. – 24 gennaio 2015

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