• Il “Labirinto del silenzio” e “La strada del ricordo”

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    di Gian Carlo Zanon

    Ieri sera, 26 gennaio 2024, la relazione del professor Marino Ruzzenenti, promossa dall’ANPI Alto Mantovano, si è trasformata in una vera e propria lectio magistralis sulla Shoah, sul suo significato, sulla complessità degli eventi, e sui modelli mentali e culturali che l’hanno sostenuta. Modelli culturali e mentali che sono ancora ben presenti e che permeano come un nube tossica le nostre società. 

    Ruzzenenti si chiedeva, e chiedeva al pubblico, quali fossero i motivi che hanno portato, e che ancora portano, gli esseri umani ad accettare “la banalità del male” fino a diventarne parte integrante.

    Per quanto mi riguarda la risposta più vera che ho trovato nella mia più che trentennale ricerca  è questa: la distruzione fisica di milioni di persone presupponeva un alto livello di anaffettività e di una legittimazione filosofica incanalata da una capillare propaganda che alzava scientemente giorno dopo giorno l’asticella del disumano. Ma perché?

    Nel 2011 venne pubblicato in Germania Todestrieb und Erkenntnis, la traduzione del primo libro di Massimo Fagioli Istinto di morte e conoscenza. In quell’occasione, alla fiera del libro di Lipsia, la psichiatra tedesca Hannelore Homberg, durante la presentazione del libro affermò: «Todestrieb und Erkenntnis offrirà, risposte inedite ai tanti che in Germania fanno ancora i conti con l’enorme problema del nazismo.  Le radici pulsionali dell’anaffettività scoperte da Fagioli potrebbero dare una risposta estremamente importante e innovativa alla loro domanda ‘come è potuto accadere’, evitando però ogni pessimismo su una natura umana sempre pensata come necessariamente malvagia ed aggressiva».

    In altre parole ciò che è accaduto è dovuto a una pulsione di annullamento, inconsciamente agita dalla stragrande maggioranza della popolazione europea, contro quella parte di popolazione che non corrispondeva al modello dell’uomo occidentale dotato di una religione – quella cristiana – di una nazione in cui vivere, e di un “sangue” che ne determinerebbe la razza.

    Dio, patria, famiglia… gli ebrei non avevano lo stesso dio dei cristiani e si ostinavano a rifiutare la divinità di Cristo; non avevano patria e quindi, come suggeriva l’ideologo del nazismo Heidegger, erano “esseri immondi”, “senza mondo”. Gli ebrei, secondo queste idee perverse, sostenute dalla crème dell’intellighenzia europea, non avevano lo stesso sangue dei “popoli ariani”.  Ne va che chi non corrispondeva al “modello ariano”, non era da considerarsi pienamente umano.

    E non c’è quindi da meravigliarsi se solo pochi anni fa un ex militante della Gioventù hitleriana rimasto in divisa nazista fino all’età di diciotto anni compiuti, affermò che chi non credeva in Dio non aveva “dignità umana”. Quest’uomo si chiamava Ratzinger e, negli ultimi anni della sua vita di mestiere faceva il papa emerito. «la dignità umana (disse) alla lunga non può essere difesa senza il concetto di Dio creatore. Essa perde così la sua logica».

    https://www.uaar.it/libri/contro-ratzinger/

    Seguendo questa logica chi non corrispondeva al modello occidentale, che aveva come capisaldi, il cristianesimo cattolico, il nazionalismo patrio e la difesa della purezza di sangue, andava eliminato.

    A cavallo tra l’Ottocento e il Novecento si sviluppa in Europa il movimento sionista che intende dare al popolo eletto ciò che gli manca per non essere “immondo” ovvero “senza terra”, senza una terra propria, senza una patria con cui identificarsi. Questa patria sarà Eretz Israel, la Terra d’Israele.

    Un dio con cui identificarsi gli ebrei ce l’hanno da tempo, essi pensandolo donano a Yahweh

    l’esistenza; così come hanno un sangue etnico, che si tramandano solo per via matrilineare, con cui identificarsi; manca solo una terra propria per essere identici al modello occidentale. E alla fine riusciranno ad averla… costi quel che costi.  Il libro di Sergio Luzzato “I bambini di Moshe” narra egregiamente la trasformazione del popolo ebreo da una condizione di “immondità” a una condizione di sovranismo all’occidentale fondato su dio, patria, famiglia. Dal 1948 in poi saranno identici ai patrioti occidentali che avevano cercato di sterminarli, e quindi si comporteranno come loro.  https://www.uaar.it/ateismo/dicono-di-noi/

    C’è una profonda ferita incancrenita nella cosiddetta civiltà occidentale che intorbidisce il pensiero di milioni di persone: l’identità di appartenenza. Identità di appartenenza che non è negativa in sé ma che non è identità umana. Contrariamente ciò che pensava Ratzinger, l’identità umana, la dignità umana, non si fonda su concetti astratti come dio, patria e famiglia, anzi semmai poggia le proprie fondamenta sul rifiuto di questi concetti che portano soltanto a discriminare chi non ha qual dio, chi non ha quella patria e chi non ha quel sangue famigliare – ben presenti nel “diritto di cittadinanza” – che determina la cittadinanza in base all’etnia dei genitori.   

    Questi concetti fascio-cattolici e razzisti sono funzionali alla perpetuazione di un status quo che purtroppo perdura sotterraneamente nella cultura occidentale, marcandone fortemente la politica e il destino. Cultura occidentale di cui ora fa parte anche Israele posto di sentinella nella fortezza Bastiani medio orientale.

    Questi sono i pensieri scaturiti oggi da un “cuore ancora in soprassalto” perla lezione dello storico Ruzzenenti, il quale ha anche sussurrato che sta ancora faustianamente cercando le ragioni del disumano che portarono alla tragedia più drammatica del Novecento: la Shoah. Lo sta facendo da più di dieci anni cercando, nel labirinto del silenzio istituzionale, la strada giusta da percorrere per dare senso alla Memoria.

    Cosa serve ricordare? A cosa serve la memoria? Bella domanda! Apparentemente semplice ma in realtà molto difficile e complicata: serve la memoria di un genocidio perché non se ne faccia un altro? Molti altri? La storia ci dice di no. Basti ricordare i circa 900.000 uccisi in Ruanda. Le vittime furono prevalentemente di etnia Tutsi, ma anche Hutu moderati, i carnefici furono gli Huto cattolici spesso guidati da sacerdoti. http://www.igiornielenotti.it/il-genocidio-del-rwanda-il…/

    Quindi la memoria storica non serve a mettere al riparo l’umanità dall’orrore, da genocidio. La memoria storica serve solo a ricordare i genocidi, ma non a fare in modo che non si ripetino. L’orrore è una reazione all’inumano che appartiene a chi è umano. Evidentemente chi compie un genocidio non è più umano perché ha perduto l’umanità che contraddistingue il genere umano.

    A moltissime persone sembra assurdo che un popolo che ha subito l’orrore da parte degli europei, oggi sia passato dalla parte dei carnefici. Eppure ciò che sta accadendo sta sotto i nostri occhi e le nostre menti. Le nostre menti che non inorridiscono perché hanno memoria di altri orrori storici, ma perché ciò che vedono accadere è disumano.

    E allora l’orrore è semplicemente la reazione al disumano perché abbiamo memoria non dell’orrore ma di ciò che è umano.

    Nelle Lettere ad un amico tedesco, scritte tra il ’43 e il ’44, ad un immaginario amico tedesco, diventato nemico per aver perduto la propria essenza umana, Camus afferma l’esistenza della morte psichica nei nazisti, ma, anche, l’esistenza di una memoria interiore capace di salvaguardare un’umanità originaria non perversa: «Così, in mezzo ai clamori e alla violenza tentavamo di conservare nel cuore il ricordo di un mare placido, di una collina indimenticabile, il sorriso di un volto caro. Era, infatti, la nostra arma migliore, quella che mai riporremo. Perché se un giorno la perdessimo, allora saremmo morti come voi».

    27 gennaio 2024

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