• Identità di appartenza, burkini e immagine di sé

      0 commenti

    The Islamic full-length swimming suit kn

     –

    di Gian Carlo Zanon

     –

    Mio malgrado mi sono invischiato in questo tormentone estivo sul burkini sì burkini no”. Questo non mi fa tanto onore e quindi vorrei tentare di spostare l’asticella culturale un po’ più in alto per capire meglio non tanto il fenomeno in sé, ma ciò che lo genera.

    Per poterlo fare mi devo costringere a rimanere entro i confini del fenomeno e dei suoi contenuti sociali e culturali. Quindi dico subito che la sicurezza sulle spiagge non c’entra nulla in tutto ciò.

     –

    Perché molte donne arabe vanno in spiaggia con questo costume che ricorda i nostri costumi dei primi decenni del novecento? Lapalissiano: perché altrimenti quelle stesse donne dovrebbero entrare in acqua completamente vestite dalla testa ai piedi come fanno le loro colleghe che o non si possono permettere l’acquisto di un costume del genere oppure vivono in quelle zone del mondo in cui anche il burkini per la morale comune è indecente.

      –

    Ecco la parolina magica: morale comune. Ma cos’è la morale comune? È una rete di norme condivise dalla stragrande maggioranza di un gruppo sociale che le introietta passivamente dai primi mesi di vita e che divengono il filtro attraverso il quale questi individui percepiscono la realtà nella sua totalità. Tutto ciò genera ciò che gli antropologi chiamano identità di appartenenza.

    Inoltre ogni gruppo sociale genera un’estetica che è un modo per identificarsi con il gruppo sociale di appartenenza e per identificarsi dagli altri che si vogliono tenere al confine. Il look dei punk come l’anello labiale dei Makonde, le incisioni tribali sul viso come l’abbigliamento usato  dalle comunità Amish dell’Ohio servono a questo:  per “identificarsi con” e per “identificarsi da”.

      –

    L’estetica di un gruppo sociale segue le evoluzioni e le involuzioni del pensiero, dell’etica, delle imposizioni di gruppi di potere, delle chiusure e delle aperture verso altri mondi confinanti. Il caso dell’Iran con le sue minigonne degli anni ‘70 e i suoi burka degli anni posteriori alla “rivoluzione” komeinista, è esemplare.

      –

    Cosa ha causato questa catastrofe estetica? Uso la parola catastrofe nella sua accezione primaria, (rivolgimento, soluzione) quindi in modo neutro, per sottolineare una svolta percettiva (estetica significa percezione) causata da un evento a mio giudizio involutivo perché ha causato un acutizzarsi e un radicalizzarsi delle religioni tribali che fanno riferimento all’Islam. Ve lo immaginate se si annullasse il diritto all’aborto conquistato negli anni ‘70… ecco appunto.

     –

    Parlavo di “svolta estetica” che mi riporta direttamente a ciò che accadde nell’India attraversata dal fenomeno del gandhismo. Ve lo ricordate il film di Gandhi di Richard Attenborough? Vi ricordate come vestiva il Mahatma all’inizio del film e come vestiva alla fine? Vi ricordate tutto il suo lavoro di riappropriazione dell’identità indù, che ovviamente passava attraverso il modo di vestirsi? Ecco appunto.

      –

    Quando un popolo che si riconosce in una cultura, che comprende anche la religione, vuole serrare le fila per essere forte e potente, non può che identificarsi con lo “spirito”  di quel popolo, che comprende anche l’immagine di sé. Immagine di sé  che si deve uniformare con quella sociale. La battaglia identitaria di appartenenza , – che deve giocoforza annullare la ricerca di una propria e originale identità umana – di coloro che si riconoscono nella religione islamica piuttosto che nella fede cristiana, deve passare dall’estetica, cioè attraverso quelle griglie percettive attraverso le quali si osservano gli altri e se stessi offuscando i dati di realtà certi, obiettivi e universalmente condivisibili.

      –

    Chi trova talmente assurdo il burkini fino al punto di pensare di proibirlo, osserva questo fenomeno attraverso propria griglia estetica che comprende anche un pregiudizio generato dalla propria cultura che dal momento della nascita ha imposto i suoi “occhiali etnici”.

    Io ad esempio trovo assurdo sia l’abbigliamento del papa sia alcuni piercing che, a mio giudizio, deformano e umiliano la bellezza di alcuni ragazzi. Altri piercing, come quello sull’ombelico delle ragazze, li trovo estremamente sexi. Questo perché, come tutti,  ho la mia griglia percettiva in divenire. Ciò significa che, senza neppure rendercene conto, la nostra visione dell’altro da sé, è in continuo movimento e segue passo passo la filogenesi del pensiero e le sue mutazioni.

      –

    Entrando nel merito della proibizione di questo abbigliamento in alcune spiagge francesi, devo dire che francamente trovo la cosa non solo assurda ma anche pericolosa. Pericolosa perché, proprio per il problema dell’identità di appartenenza, questo veto a) non farà che radicalizzare ulteriormente lo scontro tra due modi di interpretare l’estetica femminile, b) costringerà ad un ulteriore isolamento le donne islamiche.

     –

    È per questo motivo che quando sento dire “le donne sono obbligate degli uomini a indossare il burkini e quindi noi le dobbiamo salvare proibendo quel costume sulle spiagge e in piscina” mi suona un campanello d’allarme.

     –

    Con questo tipo di reazioni si incatenano le donne mussulmane al loro destino: anche quelle poche che avendo salvaguardato la propria identità umana dall’annichilimento, avrebbero ancora la possibilità di farcela, si sentiranno culturalmente minacciate e non ce la faranno ad uscire dalla schiavitù identitaria. Schiavitù identitaria di appartenenza che è in primo luogo culturale. Schiavitù mentale, sociale, religiosa, che sottomette le donne alle norme patriarcali e alla miseria umana di uomini che non ci pensano proprio di separarsi dai loro privilegi . Non dimentichiamo inoltre che le coraggiose che volessero fare scelte contrarie al volere di padri, mariti e fratelli, verrebbero o uccise o espulse dalla loro società. Questo significa perdere ogni affetto, ogni rapporto , trovarsi in mezzo a una strada senza nessuna protezione. Se esistono sempre meno centri antiviolenza per le donne italiane vi risulta che esistano centri per donne mussulmane che vengono cacciate dal loro ambiente sociale come appestate? Io vorrei sapere quante donne “occidentali” avrebbero il coraggio di affrontare pericoli di questo genere.

     –

    Troppe donne commettono l’errore di mettersi al posto di quelle donne con il proprio vissuto da occidentali. Questo non è solo un errore, è un delirio di riferimento che esclude dati di realtà.

    Troppa fatica cercare di capire una realtà sociale a cui non appartengono. Fanno prima, armate di ideologia vetero-femminista, a catapultarsi così come sono all’interno della donna che indossa il burkini gridando allo scandalo.

    Neppure a me piace vedere le donne vestite in quel modo, ma so che il problema è complesso e sfaccettato, farne una questione di femminismo retrò è ciò che di peggio si può fare per capire in quale realtà vivono queste donne.

      –

    Detto questo la battaglia contro l’annullamento del femminile è una battaglia feroce contro miserie mentali cristallizzate che si deve combattere a livello culturale e non certamente con assurde proibizioni.

    Ovviamente inserisco tra le miserie mentali tutte le violente costrizioni da parte degli uomini verso le donne. Violente costrizioni che per diretta esperienza personale posso riconoscere come molto più invasive in ambiente islamico dove spesso non c’è neppure una tutela giuridica. E per un attimo ricordiamo che fino al 1981, l’altro ieri, l’art. 587 del nostro codice penale consentiva una fortissima riduzione di pena, fino a soli tre anni di reclusione, per chi uccidesse la moglie o la sorella o la figlia al fine di difendere “l’onor suo o della famiglia”. Ecco appunto.

      –

    Dobbiamo capire che, generalizzando, “loro” come “noi” hanno un’immagine di sé che si attaglia, perché precocemente addomesticata, all’ambiente in cui vivono. Immagine di sé che non può mutare dal giorno alla notte. Occorre tempo, esempio, e dialettica culturale seria, non possiamo proporre loro il modello di donna siliconata e devota a Padre Pio pensando di essere “avanti”!

     –

    L’unico modo per liberarle da condizionamenti che ledono l’identità umana, è quella di vivere loro accanto e rispondere alle domande che verranno se il nostro atteggiamento non sarà quello di superiorità e di giudizio aprioristico legittimato da una visione superficiale dell’essere umano che non sa andare oltre un certo tipo di costume da bagno.

     – –

    19 agosto 2016

     –

    Scrivi un commento