• Giornalismo: naufragi e derive

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    di Giulia De Baudi

     

    Vengo dalla lettura di una serie di articoli sullo stato dell’informazione mediatica apparsi sull’ultimo numero del settimanale Left di sabato 9 agosto. Devo dire che la qualità di questi numerosi interventi[1] mi ha riappacificato con la testata: negli ultimi due/tre mesi non ho condiviso, non molti, solo alcuni articoli apparsi.

     

    Il titolo del periodico è quanto mai eloquente Ecco chi uccide l’informazione in Italia. Gli articoli raccontano dettagliatamente, con dati e tabelle, ciò che sta accadendo agli addetti ai lavori, giornalisti e redattori, che stanno attraversando il pericoloso guado che separa l’informazione a mezzo stampa da quella che trasporta informazioni attraverso la rete telematica. Già due mesi or sono  L’Osservatorio New Media & New Internet del Polimi ha messo nero su bianco il sorpasso della pubblicità online rispetto a quella a mezzo stampa.

    Questo naturalmente aggiunge ulteriori problemi agli addetti ai lavori : «Di certo oggi – scrivono Giovanni Maria Bellu e Manuele Bonaccorsi[2]fare professionalmente informazione – e specialmente farla sulla carta – è come pretendere di usare il filatoio a mano nell’Inghilterra della rivoluzione industriale.»

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    Il quadro che esce da questi articoli è quello in cui si può osservare la barca del giornalismo che, purtroppo, non discende pensierosa “fiumi impassibili”  come succede al bateau ivre di Arthur Rimbaud, ma viene sbattuta dalle onde di un mare mediatico tempestoso che la spinge verso i gorghi del maelstrom del quarto potere. Quarto potere inteso come l’insieme di quelle forze economiche che hanno la possibilità di influenzare enormemente l’opinione pubblica attraverso il quinto potere: l’informazione mediatica che ora ha a sua disposizione raffinatissime e invasive tecnologie di comunicazione. Il patto scellerato tra i due poteri, da sempre esistente, grazie alle nuove tecnologie, ha decuplicato la sua potenza perché può controllare in tempo reale ogni lettera, originata dal pensiero, che viene battuta sulla tastiera del computer e ogni click del mouse che determina una scelta soggettiva.

    “Siamo pesci nella rete” strilla un titolo[3] di Manuele Bonaccorsi e il sottotitolo dice: «Spiano i nostri gusti, creano messaggi su misura e pagano prezzi stracciati ogni click. Google e Face book sono i monopolisti del mercato pubblicitario sul web. Un dominio che minaccia la qualità dell’informazione e la democrazia.»

     

    Da questo naufragio della libertà d’informazione nascono sia le derive del web come la disinformazione coattiva, sia piccole isole, che raccolgono e producono notizie che assomigliano molto a quegli inutili S.O.S al  mondo narrati da i Police nella loro celeberrima canzone Message in a bottle. Si forse messaggi al mondo inutili ma, come ripete da anni Massimo Fagioli[4], non si vive solo per soddisfare i bisogni ma ci si deve liberare al più presto di essi per realizzare le proprie esigenze.

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    Come scrive l’economista Ernesto Longobardi[5] l’informazione è un bene comune, come l’acqua e la terra … che, come l’informazione, vengono sempre più privatizzate. Quindi come ogni bene comune l’informazione va tutelata, ne va mantenuto il livello qualitativo,  e soprattutto va tenuta pulita da ogni genere di menzogna e di censura. Noi ci stiamo provando da più di due anni: sul nostro sito abbiamo scritto decine di articoli, su quel fenomeno che Noam Chomsky definì “strategie di distrazione” ed abbiamo denunciato più volete gli omissis, le mezze verità, e le distorsioni mediatiche.

     

    Questo stato delle cose, dicono Bellu e  Bonaccorsi in un articolo[6] , «ha diffuso la convinzione che, tutto sommato, dei professionisti dell’informazione si possa fare anche a meno. Nel secolo passato i giornalisti, anche i giornalisti italiani, hanno attraversato regimi dittatoriali: loro sono rimasti, i regimi sono caduti.» Queste frasi non hanno molto senso e nascondono parzialmente la verità: nel secolo scorso ci sono stati pochi giornalisti di valore – come Albert Camus in Francia  e Antonio Gramsci in Italia – che hanno combattuto la menzogna e molti giornalisti pronti a cambiare bandiera e opinione seguendo le direttive del potere politico ed economico. Questi zelanti giornalisti, caduto un regime che ossequiavano con i loro scritti, hanno trovato altri padroni da servire con solerzia. Una prassi molto diffusa … una “razza” direi quasi egemone nel giornalismo nostrano.

     

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    Non è che si possa fare a meno dei professionisti dell’informazione, si possono però, e si devono, rifiutare quei giornalisti professionisti che seguendo il mainstream culturale e politico riempiono pagine e video in cui la verità fa capolino solo quel tanto che basta per legittimare la menzogna. E i collaboratori di left, che tengono l’asticella della verità  molto prossima alla realtà lo sanno perfettamente: « (…) i politici – scrive Longobardi – hanno tutto l’interesse a “catturare” i media, corromperli, allinearli ai loro interessi.»[7]

     

    È inutile nascondere la verità, nella stragrande maggioranza dei casi , il giornalista professionista scrive quello che conviene al proprio tornaconto personale esattamente come l’homus politicus illustrato da Longobardi nel suo articolo: «… i politici non si muovono nell’interesse di chi li ha votati (..) ma esclusivamente per massimizzare il proprio tornaconto trovando un unico limite nell’aspirazione di essere rieletti».  Parafrasando l’economista potrei dire senza timore di venir sopraffatta dai sensi di colpa che, generalizzando «… i giornalisti non si muovono nell’intento di informare correttamente i cittadini ma esclusivamente per massimizzare il proprio tornaconto, trovando un unico limite nell’aspirazione di essere letti.»

     

    Sappiamo che non esiste « (…) il problema di come disattivare il potenziale critico»[8] è già stato fatto. Uno stuolo di “professionisti dell’informazione” è disposto a eseguire ogni giorno ciò che con parole salaci descrive Bebo Storti[9]. «È difficile per un uomo che voglia mantenersi onesto e imparziale , che voglia rendere servizio un servizio all’informazione, alla comunità, aggirarsi in questa melassa maleodorante più vicina al postribolo che alla politica seria e operosa. (…) È devastante aver studiato, essersi rifatti ai padri del giornalismo e ai padri della Costituzione, e dover poi leccare il culo a certe mezze figure (…)».

     

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    «Oggi da noi i poteri dello stato-nazione sono in gran parte altrove»[10] Se la realtà è impressa in questa istantanea verbale diA. Prosperi, stampata poche pagine prima dell’articolo in cui M. Bonaccorsi tenta di tenere alta la bandiera del giornalismo professionistico, significa che i lettori più accorti, non trovando nelle parole dei “professionisti dell’informazione” che verità parziali condite da menzogne, si sono rivolti ad altre fonti per la ricerca della verità. Molti di quei cittadini italiani che non comprano più i giornali e non visitano più le testate web dei quotidiani più importanti hanno cominciato a capire che l’asticella della verità in quei luoghi  è troppo bassa e, come dicevo prima, non si avvicina alla realtà delle cose.

     

    M. Bonaccorsi, onnipresente in questo eccitante numero di left, intervista Andrea Santagata amministratore delegato della Gold5 che raccoglie cinque grandi editori italiani, tra cui Berlusconi e De Benedetti. Santagata nell’intervista non appare preoccupato per la chiusura dei quotidiani, per il licenziamento dei giornalisti  e per il dimezzamento delle copie cartacee «… io credo che il modello tornerà in equilibrio naturale. Il lettore inizierà a dire “ora basta voglio un’informazione di qualità” . Magari ci saranno meno testate, e giornalisti pagati meno rispetto all’età dell’oro. Ma alla fine  il mercato trova sempre un equilibrio». A quanto vedo anche lui, come la stragrande maggioranza degli economisti, crede in una “mano invisibile” capace di ricreare equilibri perduti. A me, questa nemesis che comprende “meno testate”  e meno giornalisti malpagati, e quindi ricattabili,  appare come la pax romana descritta da Tacito: «Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant», «là dove fanno il deserto gli danno il nome di pace».

     

    Non facendo parte dell’”informazione professionistica” non appartengo alla categoria degli addetti ai lavori in senso stretto. Ciò nonostante vorrei esprimere alcuni sintetici pensieri su come potrebbe essere gestita oggi l’informazione alla luce delle nuove tecnologie.

     

    È chiaro che l’interazione tra l’informazione online e le copie a mezzo stampa è imprescindibile, e deve essere  coordinata. Ma come?

     

    Io propongo un modalità:

     

    A)uscita immediata online della notizia che deve essere concisa ma già “interpretata” per fare in modo che il lettore si possa già fare un’idea sui contenuti dell’accadimento. Una notizia neutra o peggio mal interpretata entrata ormai nella mente del lettore faticherà in seguito a mutare la sua “natura”.

     

    B)Sempre online, primo approfondimento soggettivizzato dal giornalista. Se è una notizia “pesante”  se possibile un altro o altri articoli che guardino al fatto dal punto di vista di ogni autore.

     

    C)Articolo o articoli di approfondimento, solo approfondimento, a mezzo stampa, con dati e documenti che sostanzino il pezzo.

     

    Penso che sia disonesto e controproducente non mostrare in ciò che si scrive i propri sentimenti, le proprie passioni, la propria “partigianeria”.  Penso che invece sia onesto investire, senza inutili pudori, con la propria rete di conoscenze e con i propri contenuti sapienziali , in poche parole con la propria soggettività, lo spazio dell’informazione: idee, ricerche, approfondimenti, interpretazione degli accadimenti, ecc. sono il succo di quell’informazione che deve eliminare dal proprio vocabolario la parola “neutro”. Un neutro che è stato ed è solo una maschera usata per nascondere la “politica editoriale” tacitamente decisa sia da precisi ordini di scuderia sia dal un timoroso quanto ingannevole politically correct.

     

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    Ciò che viene chiamato  “politica editoriale” – che altro non è che il volere dei dirigenti – deve essere  sostituita da una “poetica editoriale plurima” (noi l’abbiamo tradotta con le parole “Diario polifonico”) che deve essere giocoforza molteplice e soggettiva e quindi condivisa, nei suoi cardini fondamentali, da un gruppo di persone che agisce eticamente direttamente su dati di realtà che vanno interpretati. Pensieri forti e decisi su alcuni principii etici che si sviluppano negli articoli in dialettica con la realtà economica, culturale, scientifica ecc..

     

    Inoltre gli articoli debbono attingere ad un proprio sincretismo culturale, capace di fare nessi complessi tra letteratura, economia, storia,  scienze umanistiche, politica, religione.

     

    Ringrazio ancora la Redazione di left per questo stupendo numero che mi ha dato moltissimo … rimane nelle edicole fino a venerdì … non perdetevelo …

    12 agosto 2014

    NOTE



    [1] Gli articoli sono firmati da: Paolo Cacciari, Enzo Costa, Luca landò, Ernesto Longobardi, Adriano Prosperi, Alberto Spampinato, Luca Teolato, Bebo Storti

    [2] Giovanni Maria Bellu e Manuele Bonaccorsi, Cittadini informati … sulla carta, Left n.30 del 9 agosto 2014. Pag. 14.

    [3] Manuele Bonaccorsi, Siamo pesci nella rete, Left n.30 del 9 agosto 2014. Pag. 18

    [4] Massimo Fagioli, Esigenze e bisogni, bisogni ed esigenze, Left n.30 del 9 agosto 2014. Pag. 44

    [5] Ernesto longobardi, L’informazione è un bene pubblico, Left n.30 del 9 agosto 2014. Pag. 13

    [6] Giovanni Maria Bellu e Manuele Bonaccorsi, Citato , pag. 15.

    [7] Ernesto longobardi, Citato. Pag. 13

    [8] Adriano Prosperi, Informazione ridotta a macchina di distrazione di massa, Left n.30 del 9 agosto 2014. Pag. 11.

    [9] Bebo Storti, Ha dei peli sulla lingua, ma non sono i suoi, – Left n.30 del 9 agosto 2014. Pag. 9.

    [10] Adriano Prosperi, Citato. Pag. 11.

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