• Gente di cinema – Interviste ai grandi registi – Andrej Tarkovskij

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    Andrej Tarkovskij:  libertà creativa e rifiuto della psicanalisi

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    «L’approccio (della psicanalisi) al processo artistico, alla creazione da questo punto di vista, se me lo consentite, rattrista addirittura. Rattrista perché i motivi e l’essenza della creazione sono molto più complessi, di gran lunga più impercettibili che i semplici ricordi sull’infanzia e la loro spiegazione. Ritengo che le interpretazioni psicoanalitiche dell’arte sono troppo semplicistiche, persino primitive.»

    Andrej Tarkovskij : intervista concessa a “Le Figaro” nell’ottobre del 1986

    Andrej Tarkovskij : “I miei due ultimi film si basano su impressioni personali, ma non hanno nulla a che fare né con l’infanzia né col passato, essi riguardano piuttosto il presente. Richiamo l’attenzione sulla parola “impressioni”. I ricordi dell’infanzia non hanno mai fatto di un uomo un artista. Vi rimando ai racconti di Anna Achmatova sulla sua infanzia. Oppure a Marcel Proust. Noi attribuiamo un significato eccessivo al ruolo dell’infanzia.

    Il metodo degli psicoanalisti di guardare alla vita attraverso l’infanzia, di trovare in essa la spiegazione di tutto, e uno dei modi di infantilizzazione della personalità. Poco tempo addietro ho ricevuto una strana lettera da un famoso psicoanalista, il quale cerca di spiegarmi la mia attività creativa con i metodi della psicoanalisi.
    L’approccio al processo artistico, alla creazione da questo punto di vista, se me lo consentite, rattrista addirittura. Rattrista perché i motivi e l’essenza della creazione sono molto più complessi, di gran lunga più impercettibili che i semplici ricordi sull’infanzia e la loro spiegazione. Ritengo che le interpretazioni psicoanalitiche dell’arte sono troppo semplicistiche, persino primitive.

    Ogni artista nel corso della sua permanenza sulla terra trova e lascia dopo di sé una particella di verità sulla civilizzazione, sull’umanità. Il concetto stesso di ricerca è oltraggioso per un artista. Assomiglia alla raccolta di funghi in un bosco. Forse ne troveremo o forse no. Picasso diceva addirittura: «io non cerco, trovo». A mio parere, l’artista non procede affatto come un ricercatore, egli non agisce empiricamente in nessuna maniera (proverò a fare questo, tenterò quest’altro). L’artista da una testimonianza sulla verità, sulla sua verità del mondo. L’artista deve essere certo che egli e la sua creazione rispondono alla verità. Io rifiuto il concetto di esperimento, di ricerca nella sfera dell’arte. Qualsiasi ricerca in questo ambito, tutto ciò che chiamano pomposamente “avanguardia” e semplicemente menzogna.

    Nessuno sa che cos’è la bellezza. L’idea che la gente si fa della bellezza, il concetto stesso di bellezza, mutano nel corso della storia assieme alle pretese filosofiche e al semplice sviluppo dell’uomo nel corso della sua vita personale. E questo mi spinge a pensare che, effettivamente, la bellezza è il simbolo di qualcos’altro. Ma di cosa esattamente? La bellezza e simbolo della verità. Non dico nel senso della contraddizione “verità/menzogna”, ma nel senso di cammino di verità, che l’uomo sceglie. La bellezza (si intende quella relativa!) ha nelle diverse epoche testimoniato del livello di consapevolezza, che gli uomini di una determinata epoca hanno della verità. Ci fu un tempo in cui questa verità aveva l’aspetto della Venere di Milo. Ne consegue che l’intera collezione di ritratti femminili, diciamo di un Picasso, non ha, a rigor di termini, la minima relazione con la verità. Ma qui non parliamo della capacita di attrazione né di qualcosa di carino – parliamo della bellezza armonica, della bellezza nascosta, della bellezza in quanto tale. Picasso, invece di celebrare la bellezza, si e comportato come il suo distruttore, il suo detrattore, il suo sterminatore. La verità, manifestata dalla bellezza, è enigmatica; essa non può essere ne decifrata ne spiegata con le parole, ma quando un essere umano, una persona si trova accanto a questa bellezza, si imbatte in questa bellezza, sta di fronte a questa bellezza, essa fa sentire la sua presenza, almeno con quei brividi che corrono lungo la schiena.

    La bellezza è come un miracolo, del quale l’uomo diventa involontariamente testimone. Tutto qua.
    Mi sembra che l’essere umano sia stato creato per vivere. Vivere nel cammino verso la verità. Ecco perché l’uomo crea. In una certa misura l’uomo crea nel cammino verso la verità. Questo è il suo modo di esistere, e l’interrogativo sulla creazione (Per chi gli uomini creano? Perché essi creano?) è senza risposta. Effettivamente ogni artista non soltanto ha una sua concezione sulla creazione ma ha anche un suo modo personale di interrogarsi su ciò. Questo si collega a quanto io adesso dico sulla verità, alla quale noi tendiamo, alla quale contribuiamo con le nostre piccole forze. Un ruolo fondamentale gioca qui l’istinto, l’istinto del creatore. L’artista crea istintivamente, egli non sa perché proprio in quel momento fa una cosa oppure un’altra, scrive proprio di questo, dipinge proprio questo.

    Soltanto dopo egli comincia ad analizzare, a trovare spiegazioni, a filosofeggiare e giunge alle risposte che non hanno nulla in comune con l’istinto, col bisogno istintivo di fare, creare, esprimere se stesso. In un certo senso la creazione è rappresentazione dell’essenza spirituale nell’uomo ed è la contrapposizione all’essenza fisica; la creazione è in un certo senso la dimostrazione dell’esistenza di questa essenza spirituale. Nell’ambito delle attività umane non c’è nulla che sarebbe più inutile, più senza scopo, non c’è nulla che sarebbe più a se stante della creazione. Se si esclude dalle attività umane tutto quanto attiene al raggiungimento del profitto, rimarrà soltanto l’arte.
    Per contemplazione io intendo soltanto dire quello che origina l’immagine artistica o l’idea che noi ce ne facciamo. Questo è assolutamente individuale.

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    L’immagine artistica, il significato dell’immagine artistica possono scaturire soltanto dall’osservazione. Se non si basa sulla contemplazione, l’immagine artistica si trasforma in simbolo, cioè in qualcosa che forse può essere spiegato dalla ragione, e, allora, l’immagine artistica non esiste: essa infatti non riflette più l’umanità, il mondo. L’autentica immagine artistica deve riflettere non soltanto la ricerca di un povero artista alle prese con i suoi problemi umani, con i suoi desideri e bisogni. Essa deve riflettere il mondo. Ma non il mondo dell’artista ma il cammino dell’umanità verso la verità. Della semplice sensazione del contatto con l’anima, che qui, da qualche parte, al di sopra di noi, dinanzi a noi vive nell’opera d’arte in misura tale da stimarla geniale. In questo e l’impronta originale del genio.

    Ci fu un tempo in cui io potevo chiamare miei ex-maestri, le persone che hanno avuto un’influenza su di me. Adesso, nella mia coscienza, si conservano soltanto dei “personaggi”, per metà santi, per metà folli. Questi “personaggi” sono forse un po’ invasati ma non dal diavolo; si potrebbe dire che sono “i pazzi di dio”. Tra i vivi cito Robert Bresson. Tra i morti, Lev Tolstoj, Bach, Leonardo da Vinci… In fin dei conti, tutti costoro erano pazzi.

    Perché non hanno assolutamente cercato nulla nella loro testa. Hanno creato senza il concorso della testa… Essi mi spaventano e mi ispirano. Non è assolutamente possibile spiegare la loro creazione. Sono state scritte migliaia di pagine su Bach, Leonardo e Tolstoj ma, in conclusione, nessuno ha potuto spiegare nulla. Nessuno, grazie a dio, ha potuto trovare, sfiorare la verità, toccare l’essenza della loro creazione! Questo dimostra ancora una volta che il miracolo è inspiegabile…
    Nel senso più alto di questo concetto – la libertà, soprattutto nel senso artistico, nel senso della creazione, non esiste. Si, l’idea della libertà esiste, e una realtà nella vita sociale e politica. In diverse regioni e paesi gli uomini vivono avendo più o meno libertà; ma vi sono note testimonianze che dimostrano che nelle più orribili circostanze ci sono stati uomini che hanno avuto una inaudita libertà interiore, un mondo interiore, nobiltà.

    Mi sembra che la libertà non consista nella qualità della scelta: la libertà è una condizione dello spirito. Per esempio, si può essere socialmente, politicamente, completamente “liberi” e non di meno morire per la sensazione di precarietà, di oppressione, di mancanza di futuro. Per ciò che concerne la libertà della creazione, di questo non si può assolutamente discutere.

    Senza di essa non può esistere una sola arte. L’assenza della libertà deprezza automaticamente l’opera d’arte, poiché questa assenza impedisce a chi viene per ultimo di rivelarsi nella forma migliore. L’assenza di questa libertà porta a che l’opera d’arte, nonostante la sua esistenza fisica, non esista di fatto. Nella creazione dobbiamo vedere non soltanto la creazione. Purtroppo, nel XX secolo appare predominante la tendenza secondo la quale l’artista-individualista, invece di tendere alla creazione dell’opera d’arte, se ne serve per evidenziare il proprio “io”. L’opera d’arte diventa manifestazione dell’io del suo creatore e si trasforma, possiamo dire, in megafono delle sue minime pretese. Questo vi è noto meglio che a me. Ne ha scritto molto Paul Valery. Al contrario, il vero artista, e a maggior ragione il genio, appaiono schiavi del dono che distribuiscono. Essi sono legati da questo dono agli uomini, al cui nutrimento spirituale e al cui servizio sono stati scelti. Ecco in cosa consiste per me la libertà.

    post del 1 giugno 2013

    • …nessuna certezza dunque, mi sembra questo l’affascinate messaggio di Tarkoskij (…del quale ricordo vagamente il film Nostalghia, ma ebbe sulla mia sensibilità delle impressioni che non sò ben definire, come un opera d’arte-spazio senza contorni e quindi senza limiti fisici… così come accade nei sogni!?…le immagini del suo film fissate in un’atmosfera che allude all’oltre… a qualcosa di altro!).
      Dunque, il “ricercare” che lui Tarkoskij, citando Picasso, chiama “trovare”….trovare la verità dell’umanità stà nella sensazione…. in quel brivido che ti prende lungo la schiena e… solo chi lo prova è come se fosse posseduto dal daimon, pertanto è posseduto e possiede come un dono… (…quella fusione tra psichico e biologico, che Massimo Fagioli chiama immagine interiore!?). Se ho fatto degli errori nel formulare le mie domande mi scuso e per una ricerca approfondita sul concetto di immagine interiore vedi “Istinto di morte e conoscenza” di Massimo Fagioli, L’asino d’oro edizioni, Roma. L’immagine interiore, che è unica e irripetibile, così come lo è ogni individuo umano è la matrice di ogni creatività e di ogni scoperta scientifica , specifica degli esseri umani!

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