• Francesco … “sto gran fijo de na mignotta” . Il senso della satira civile

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    Mettiamo in primo piano questo articolo dopo che ieri migliaia di musulmani hanno manifestato a Londra contro le vignette di Charlie Hebdo e contro il terrorismo islamista. Tra i cartelli, diversi che richiamano l’infelice espressione del papa (“Insult my mum and I will punch you”). Hanno chiesto con una petizione, firmata da 100 mila fedeli, la criminalizzazione degli “insulti” alle religioni, messi sullo stesso piano dell’integralismo rispetto al quale vorrebbero prendere le distanze, poiché entrambi non avrebbero spazio in una società civile.

    … il Vaticano dovrebbe dichiarare guerra alle religioni monoteistiche che rifiutando la divinità di Gesù Cristo, la verginità della madre, ecc. ecc., offendono i credenti nel Credo niceno che, dopo 1700 anni continua ad essere il fondamento della religione cattolica.

    Un amico mi ha spiegato che a Roma, per definire un furbastro, si usa l’espressione “gran fijo de na mignotta”. Questo modo di dire, che tradotto letteralmente significa “grande figlio di puttana”, viene stemperato dalla cultura romanesca che da alle parole un altro significato. Nessuno a Roma si sente offeso per lesa maestà della mamma se viene definito in questo modo, anzi. Neppure in Spagna dove l’espressione “de puta madre” significa “fichissimo”. Al di là del Tevere però le cose si complicano, e si corre il rischio di ricevere un “pugno” o un calcio “dove non batte il sole”.

    Se non ho capito male il senso e il riferimento delle parole francescane che hanno fatto il giro del mondo «(…) non si può provocare, non si può prendere in giro la religione di un altro. Non va bene» gli esseri umani ammazzati nella redazione di Charlie Hebdo erano dei provocatori e quindi se la son cercata.

    Non mi interessa aprire un ennesimo siparietto sulla libertà di espressione in cui i protagonisti mediatici esprimono le loro opinioni su ciò che si può e su ciò che non si deve fare, mi intriga di più la ricerca sul senso che si dà alle parole e agli avvenimenti.

    Sappiamo che le parole sono solo un mero contenitore in cui viene inserito un contenuto che le sostanzia donando loro un senso. I modi di dire fanno parte del patrimonio culturale di gruppi più o meno estesi di individui. Un gruppo di ragazzi e ragazze che si frequentano assiduamente spesso elaborano un gergo fatto di gesti e vocaboli che hanno un senso compiuto e perfettamente comprensibile solo all’interno del loro microcosmo. Lo stesso vale per le immagini.

     

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    In due delle tre religioni monoteistiche, l’iconografia del sacro è proibita perché ritenuta sacrilega. In molti paesi mussulmani è proibito rappresentare anche Maometto, colui che secondo la tradizione islamica scrisse sotto dettatura divina il Corano. Mentre nell’iconografia cristiana si incontra l’immagine di Giovanni evangelista che in una grotta detta a uno scriba ciò che gli viene dettato direttamente dal suo dio, ciò è impossibile, pena la morte, negli stati teocratici mussulmani dove vige la sharia. Eppure la leggenda di Maometto che nella grotta scrive ciò che gli viene dettato, è talmente simile da sopettare un copia e incolla.

    La trinità cristiana viene raffigurata in ogni modo, anche dai vignettisti di Charlie Hebdo, e questo in Francia è permesso. In Italia no. Immagini come quelle presenti sulla rivista francese, verrebbero censurate e fioccherebbero denunce per vilipendio alla religione. Soltanto pochi mesi fa furono vietati gli ateibus genovesi che portavano lo slogan «La cattiva notizia è che Dio non esiste. Quella buona è che non ne hai bisogno» altro che “je suis Chalie”. Ve l’immaginate cosa succederebbe se un giornale italiano pubblicasse una vignetta con dio padre, dio figlio, e dio spirito santo che si sodomizzano reciprocamente?

     

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    E poi in Italia ci sono le leggi ben precise che dicono «Sono, invece, vilipendio, la contumelia, lo scherno, l’offesa, per dir così, fine a sé stessa, che costituisce ad un tempo ingiuria al credente (e perciò lesione della sua personalità) e oltraggio ai valori etici di cui si sostanzia ed alimenta il fenomeno religioso, oggettivamente riguardato» (dalla sentenza della Corte Costituzionale numero 188/75). (Fonte Uarr).

    Quindi se la personalità del credente viene offesa si può essere condannati anche se questo crede a cose molto improbabili. La stessa cosa non vale per un’atea come me. Eppure ogni giorno la mia intelligenza viene offesa da deliri religiosi resi congrui dalla cultura dominante.

    Seguendo questa logica il Vaticano dovrebbe dichiarare guerra alle religioni monoteistiche che rifiutando la divinità di Gesù Cristo, la verginità della madre, ecc. ecc., offendono i credenti nel Credo niceno che, dopo 1700 anni continua ad essere il fondamento della religione cattolica. Ma non preoccupatevi le religioni fondamentalmente sono un mero strumento di controllo delle menti funzionale al potere politico che vuole pensieri addomesticati. E “can non magna can”. Le piccole scaramucce teologiche sono essenzialmente pantomime per distrarre quegli strati di opinione pubblica schiavi dell’alienazione religiosa.

    Si chiede di rispettare la sensibilità del credente che crede in cose assurde e non la sensibilità del pensante ateo che le rifiuta in nome della propria identità umana. Lo faceva notare anche Daniele Luttazzi in un articolo apparso sul Fatto venerdì 16 gennaio: «La sensibilità dei credenti è sopravvalutata, come lo sarebbe la sensibilità dei fan di Star Trek, se pretendessero che il culto di Star Trek fosse qualcosa di sacro. A causa di questo, non di altro, la religione è un alibi assurdo per qualunque tipo di atto compiuto in suo nome. La religione è merce di ciarlatani. Chi si offende per la satira religiosa ha un problema, e la sua pretesa di essere rispettato perché crede in un essere invisibile e nei suoi profeti è anacronistica e ridicola. – e proseguiva – Le religioni non hanno più senso, nel XXI secolo. Vanno accolte nel discorso per ciò che sono: una stramberia, retaggio di epoche in cui la religione suppliva la scienza nell’interpretazione dei fenomeni naturali. Un capo religioso, se fosse onesto, dovrebbe dire ai suoi fedeli: “Sapete una cosa? Sull’aldilà nessuno ne sa niente. Siete liberi di pensarla come volete.” E poi chiudere l’esercizio. (…) L’offesa invece non è un limite, perché ci sarà sempre qualcuno disposto a offendersi, pur di censurarti. Un credente, finché non dimostra che l’essere invisibile in cui crede esiste, non ha alcun diritto di fare l’offeso se qualcun altro lo prende in giro. Non c’è nulla di “sacro” nella religione. L’offesa è creata dal credente. È un’altra delle sue invenzioni, come l’essere invisibile. Se non dimostri che l’essere invisibile in cui credi esiste, non puoi esigere “rispetto” del tuo “sentimento religioso”.
    Perché un’assurdità dovrebbe essere rispettata? Un’assurdità non è sacra: è ridicola, o tragica.
    Le leggi non devono tutelare l’assurdo. Devono invece difendere la democrazia dalle idee violente. L’idea violenta non può essere ammessa nel discorso democratico; e chi dà spazio all’idea violenta in nome della libertà d’espressione sbaglia, perché l’idea violenta, quando va al potere, cancella la democrazia. (…) L’irriverenza satirica, invece, non è odio: è solo irriverenza; ma educa al pensiero critico, non dogmatico. Il terrorismo cancella la democrazia impedendo il sano scontro fra idee diverse, che ne sono il sale. Chi si offende per la satira religiosa fa il gioco dei terroristi.»

    Ecco penso che Luttazzi abbia colto in pieno il senso dell’irriverenza satirica, strumento essenziale del pensiero critico.

     

    Jeanne Pucelli

    11 febbraio 2015

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