• “Fiori per Algernon” ovvero i labirinti di Charlie Gordon

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    di Gian Carlo Zanon

    Negli ultimi anni Cinquanta lo psicologo Daniel Keyes scrive un breve racconto, Fiori per Algernon, che nel 1960 vince il Premio Hugo come miglior racconto. Lo spunto letterario viene dalla sua esperienza d’insegnamento ai ragazzi con difficoltà di apprendimento, così come la creazione del protagonista Charlie Gordon.

    Il grande interesse che suscita il libro, e l’adattamento televisivo seguente, fanno sì che l’autore sviluppi l’idea iniziale e ne faccia un corposo romanzo. L’opera completa esce nel 1966 e vince il Premio Nebula.

    Charlie, il protagonista del romanzo, è unuomo sui  trent’anni, gravato da un “ritardo mentale” di natura neurologica ulteriormente aggravato da rapporti interumani familiari devastanti. Il romanzo, dall’inizio alla fine è il rendiconto scritto che il protagonista redige per una equipe di neurologi e psicologi che, dopo aver fatto un esperimento, riuscito, per l’accrescimento dell’intelligenza su un topolino, Algernon, vogliono provare a farlo su un essere umano. I rendiconti vergati da Charlie, – inizialmente scritti in modo molto sgrammaticato –  in cui egli racconta ciò che gli accade, e il modo in cui li scriverà, serviranno all’equipe medica, per verificare giorno per giorno il suo stato intellettuale. Il protagonista quindi è una cavia che racconta di sé in prima persona dall’inizio alla fine del romanzo.  

    Fiori per Algernon è un testo altamente drammatico, in cui il protagonista sale impetuosamente le scale della sapienza fino a superare in brevissimo tempo il livello intellettivo di  coloro che lo hanno operato, senza però raggiungere la felicità per lui rappresentata dall’essere amato: «Quando ero mentalmente ritardato avevo molti amici. Ora non ne ho alcuno».

    Durante un duro confronto con i suoi “demiurghi” che lo trattano come un cavia, egli esclama: «(…) ho imparato che la sola intelligenza, la cultura, la conoscenza sono diventate tutte grandi idoli. Ma io so adesso che voi tutti avete trascurato una cosa: l’intelligenza e l’educazione che non siano temprate dall’affetto umano non valgono nulla. (…) L’intelligenza senza la capacità di dare e ricevere affetto porta ad un tracollo mentale e morale, alla nevrosi e forse anche alla psicosi. E io dico che la mente assorta e chiusa in sé stessa come un fine centrato nell’io, a esclusione dei rapporti umani, può condurre soltanto alla violenza e al dolore. (…) Propongo un’ipotesi di lavoro: una persona che ha una mente, ma è privata della capacità di amare ed essere amata, è destinata a una catastrofe intellettuale e morale, e forse a una grave malattia psicologica.».

    Basterebbero queste poche righe per dar valore a questo romanzo che, solo dal punto di vista strettamente letterario, anticipa ciò che poi accadrà a causa della psichiatria organica che annulla completamente le cause affettive del disturbo mentale, messe però in primo piano, già negli anni sessanta dalla Teoria della nascita dello psichiatra Massimo Fagioli.

    Il romanzo di Daniel Keyes, ricorda un po’ La vida es sueño, di Calderon de la Barca per la sua struttura circolare: anche lì c’è un prigioniero – Charlie è prigioniero del suo ritardo mentale – che viene liberato per poi ritornare, a causa della sua debordante identità umana, nella sua prigione.

    Fiori per Algernon, è fortemente venato da una visione pessimistica sulla società vissuta come un labirinto da cui uscire solo se addomesticato: «Ora capisco che la via ch’io scelgo nel labirinto fa di me quello che sono. Non sono soltanto una cosa, ma anche un modo di essere, uno dei tanti modi, e conoscere le vie che ho seguito e quelle che non ho preso mi aiuterà a capire che cosa sto diventando.» in cui alla fine egli capisce che «È molto facile avere amici se ti fai ridere». Ergo: sei felice solo se accetti di essere addomesticato.

    Ma in questo romanzo c’è molto di più. C’è la narrazione del rapporto tra Charlie e due figure femminili che dice molto sul senso di un rapporto interumano sessuato e sul non senso di un rapporto sessuale meramente genitale: «L’ho amata con più che con il mio corpo. Non pretendo di capire il mistero dell’amore, ma questa volta è stato più del  puro sesso, più del servirsi del corpo di una donna. È stato come essere sollevato dalla terra, al di fuori della paura e del tormento, ed entrare a far parte di qualcosa più grande di me.»

    22 dicembre 2022

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