• Servizio Pubblico: “dove non ci sono le idee, regnano gli umori”

      0 commenti

     

    Il servizio pubblico, la bellezza, gli oppressi

     

    Dalla Rete, dal congresso dei giornalisti Rai di Salerno, un intervento che racconta lo stato delle cose attorno al servizio pubblico e alla sua funzione smarrita.

     

    di Luciana Parisi

     

    Dieci giorni fa circa, il direttore del New Yorker in un editoriale annuncia che Philip Roth smette di scrivere. Mi chiedono un pezzo. Cerco immagini di Roth e scopro che la Rai ha solo due interviste allo scrittore americano, uno dei più grandi viventi. Niente altro. Non posso fare il pezzo. Allora che faccio? Cerco su Youtube e trovo un lungo reportage della televisione tedesca e uno della televisione francese. Venti minuti in alta qualità. Ce la posso fare. Ma dentro di me sono avvilita. Perché la tv tedesca e quella francese hanno lunghi speciali ben girati ambientati e noi quasi niente? Forse perché alla Rai quelle interviste, quel tipo di lavoro non interessa più.

    Negli archivi trovo cose straordinarie. Girate magistralmente. Materiale spesso in pellicola. Interviste a Mario Luzi, ad Attilio Bertolucci, a Leonardo Sciascia. Risalgono a decenni fa. Noi quelle cose non le facciamo più. Non produciamo più niente che sia fatto per durare.

    Cosa è la cultura prodotta dai Tg? È pubblicità. È vendita di prodotti. “E’ appena uscito il nuovo fantastico disco dei Pooh. Non aspettavamo altro”. Chi l’ha detto?

     

    Oppure è propaganda. I grandi eventi culturali sono stati l’occasione per tirare un assist al ministro dei beni culturali di turno. Mi è capitato di andare all’alba per cercare di evitarli.
    Rispondere alle richieste continue della politica, o degli uffici di promozione, negli anni ha svilito il nostro lavoro. Ha fatto sì che le nostre redazioni si trasformassero in fabbriche della mistificazione. E Biglietterie per i colleghi.

    Questa non è libera circolazione del sapere.
    Questo accadeva qualche tempo fa. Oggi, invece, la mia redazione non esiste più. Ci siamo sugli orari, ma non contiamo. Siamo sbeffeggiati, nelle riunioni di sommario. “Siamo corti, ci serve un pezzo della cultura”, è la nostra chance di esserci. Questo ha finito per disintegrare il corpo redazionale. Vi esemplifico i criteri di scelta.

     

    Proponiamo la mostra su Leonardo a Torino? Ma no, è noiosa.
    Parliamo della Cappella Sistina. Michelangelo non ha la dignità per passare alle 19.
    Vogliamo intervistare Dario Fo? No Dario Fo ci è antipatico… Camilleri pure… Grossmann, Rushdy… Chi sono costoro? Ne parleremo solo quando saranno morti o quando avranno smesso di scrivere.
    Neanche la morte di Carlo Rambaldi poteva essere pezzo. Ne abbiamo fatto una notizia, chiamandolo pure “Carlo Rimbaldi”.

     

    Il problema è che, lì dove non ci sono le idee, regnano gli umori. Il criterio non può essere il “mi piace” o “non mi piace”. Perché non sono i nostri gusti ad essere importanti, ma la curiosità delle persone che ci seguono da casa. Che sono più curiose e colte di noi. La Rai era industria culturale e dovrebbe esserlo ancor di più oggi che gli italiani sono più poveri e fanno fatica a comprare il biglietto per uno spettacolo.

    Fuori dalle nostre testate c’è un mondo che cerca cultura. Sono tanti. Ma soprattutto sono persone attive. Politicamente attive.
    Sono i ragazzi che non ci vedono più perché noi non offriamo stimoli.
    Quelli che occupano i teatri… Roma, Palermo Catania, Pisa, Ostia, Venezia… vi siete accorti che quei ragazzi hanno lavorato e diffuso un pensiero politico che ha contribuito alla caduta del “despota”?

     

    Sono i cittadini che hanno difeso Villa Adriana dal progetto della discarica. Sono i cittadini che quando nella Reggia di Monza ci facevano uno pseudo ministero hanno detto “No!”. Perché la villa reale di Monza è un bene di tutti. Di queste persone noi, Tg3, ci siamo occupati, ma solo per un certo periodo. Ce ne siamo occupati quando ci servivano. Quando c’era da fare l’opposizione, allora noi li raccontavamo. Adesso li abbiamo abbandonati.

     

    Sappiate che la cultura misconosciuta, prima o poi, si vendica. Il crollo di Pompei ha prefigurato la caduta del governo Berlusconi. Il suo ministro, il suo poeta cantore, Sandro Bondi, ha fatto un passo indietro proprio allora.
    Meravigliosa vendetta. Bondi passerà alla Storia per quella vergogna…
    I cittadini che difendevano Villa Adriana, i ragazzi dei teatri occupati mi hanno insegnato che la mia redazione è un ecosistema. Che non potrò mai lavorare bene finché il mio collega sarà umiliato. Finche gli sarà impedito di lavorare, con scuse patetiche, io mi sentirò umiliata. Non esiste la cultura, esistono le culture. Dallo scambio di idee viene la ricchezza delle proposte. La cultura forma gli uomini liberi, quelli che non si sentono clientes di un dominus. In questi mesi, in un clima redazionale acceso, durante le assemblee, ho temuto. Ma ho capito che era mio dovere raccontare il mio disagio e quello dei colleghi estromessi dal lavoro, marginalizzati.. C’è una frase, che mi gira sempre in mente in questi mesi. E’ una frase di Albert Camus, dice così: “C’è la bellezza e ci sono gli oppressi. Per quanto difficile possa essere, io vorrei essere fedele ad entrambi”. Vi prego, siatelo anche voi.

    28 ottobre 2013

     

     

    Intervento al Congresso dei giornalisti UsigRai a Salerno

    Scrivi un commento