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La rivoluzione travestita
Combat: 25 novembre 1946
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“Ni victimes, ni bourreaux”
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Dall’agosto 1944, tutti i francesi parlano di rivoluzione – e sempre sinceramente, non ci sono dubbi in proposito. La sincerità, tuttavia, non è una virtù in sé. Ci sono sincerità così confuse da essere peggiori delle menzogne.
Non si tratta per noi, oggi, di parlare il linguaggio del cuore, si tratta solo di pensare in modo chiaro. Sul piano ideale, la rivoluzione è un cambiamento delle istituzioni politiche ed economiche, volto a far trionfare la libertà e la giustizia nel mondo. Sul piano pratico, è l’insieme degli avvenimenti storici, spesso rovinosi, prodotti da quei fortunati mutamenti.
Possiamo dire, oggi, che la parola “rivoluzione” venga usata nel suo senso classico? Quando nel nostro paese le persone sentono parlare di rivoluzione, ammesso che mantengano il sangue freddo, pensano ad un cambiamento del sistema di proprietà (in genere la messa in comune dei mezzi di produzione) ottenuto, o con una legislazione basata sulle leggi della maggioranza, o con una presa del potere da parte di una minoranza.
È facile notare come questo complesso di nozioni non abbia alcun senso nelle attuali circostanze storiche. Da una parte, la presa di potere tramite la violenza è un’idea romantica che il progresso degli armamenti ha reso illusoria. L’apparato repressivo di un governo ha dalla sua parte tutta la forza dei carri armati e degli aerei cosicché, per equilibrarla, bisognerebbe avere altrettanti carri armati e aerei. Il 1789 e il 1917 sono ancora delle date, ma non sono più degli esempi proponibili.
Ammesso che la presa del potere sia comunque possibile, attraverso le armi o la legge, avrebbe efficacia soltanto se la Francia (o l’Italia, o la Cecoslovacchia) potesse essere messa fra parentesi e isolata dal mondo. Infatti nella nostra storia attuale, cioè nel 1946, una modifica del regime di proprietà comporterebbe, per esempio, ripercussioni tali sui crediti americani che la nostra economia si troverebbe mortalmente minacciata. Una rivoluzione di destra, a sua volta, non avrebbe maggiori possibilità di successo, a causa dell’ipoteca parallela con la quale la Russia, ci condiziona tramite milioni di elettori comunisti e con la sua posizione di massima potenza continentale. La verità che – e me ne scuso – vorrei mettere in chiaro, giacché tutti la conoscono senza dirla, è che non siamo liberi, in quanto Francesi, di essere rivoluzionari. O perlomeno non possiamo più essere dei rivoluzionari solitari perché non sussistono più, oggi, nel mondo, politiche conservatrici o socialiste che si possano sviluppare sul solo piano nazionale.
Per cui possiamo parlare soltanto di rivoluzione internazionale. Proprio così:, la rivoluzione si farà su scala internazionale o non si farà. Ma ancora, qual è il senso di questa frase? Ci fu un tempo in cui si pensava che la riforma internazionale si sarebbe fatta congiungendo o sincronizzando più rivoluzioni nazionali; un’addizione di miracoli, in qualche modo. Oggi, se la precedente analisi è corretta, è possibile pensare solamente all’estensione di una rivoluzione che si è già compiuta. È una cosa che Stalin ha visto molto bene ed è la spiegazione più benevola che si possa dare della sua politica (l’altra è quella di negare alla Russia il diritto di parlare in nome della rivoluzione).
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