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Nel 1946 la collaborazione di Camus a Combat è rappresentata solo da otto articoli della serie Né vittime né carnefici.
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Questi articoli vennero scritti dallo scrittore francese per rispondere a due problemi che lo premevano. La prima risposta, di ordine pratico, fu quella di dare una mano al giornale Combat che stava rischiando la chiusura; la seconda, nobile, fu per lanciare un grido di allarme e di protesta contro il dominio del terrore che si stava instaurando nel mondo e contro la legittimazione dell’omicidio che lo sottendeva. Né vittime né carnefici disegna le inquietudini di Albert Camus in quel periodo storico in cui le speranze di pace e di un rinnovamento radicale della società dell’immediato dopoguerra si andavano via via appannando.
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Questa serie di articoli, oltre ad essere assolutamente attuali, rivelano le fonti della crisi sistemica che stiamo vivendo.
Il mondo va in fretta
27 novembre 1946
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È a tutti evidente che il pensiero politico si trova sempre più scavalcato dagli eventi. I francesi, ad esempio, hanno iniziato la guerra del 1914 con i mezzi della guerra del 1870 e la guerra del 1939 con quelli del 1918. Il modo anacronistico di pensare non è comunque una specialità francese. Basterà qui sottolineare che, in pratica, le grandi politiche odierne presumono di risolvere l’avvenire del mondo con i principi formatisi nel XVIII secolo per quanto riguarda il liberalismo capitalista, e nel XIX per quanto riguarda il socialismo, cosiddetto scientifico. Nel primo caso, un pensiero nato nei primi anni dell’industrialismo moderno e nel secondo caso una dottrina contemporanea dell’evoluzionismo darwiniano e dell’ottimismo renaniano si propongono di modellare l’epoca della bomba atomica. delle brusche mutazioni e del nichilismo. Nulla potrebbe illustrare meglio lo scarto più rovinoso che si apre fra il pensiero politico e la realtà storica.
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Beninteso, lo spirito è sempre in ritardo sul mondo. La storia corre mentre lo spirito medita. Ma il ritardo inevitabile oggi si aggrava di pari passo con l’accelerazione storica. Il mondo negli ultimi cinquant’anni è cambiato molto di più di quanto sia cambiato nei duecento anni precedenti. E lo vediamo, oggi, accanirsi a risolvere problemi dei confini quando tutti i popoli sanno che i confini, oggi, sono entità astratte. È ancora e sempre il principio delle nazionalità che ha fatto finta di regnare alla Conferenza dei Ventuno.(1)
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Dobbiamo tenerne conto nella nostra analisi della realtà storica. Noi concentriamo oggi i nostri ragionamenti sul problema tedesco, che è un problema secondario in rapporto allo choc imperiale che ci minaccia. Tuttavia, se domani prospettassimo soluzioni internazionali in funzione del problema russo-americano, rischieremmo di vederci di nuovo sorpassati. Lo stesso choc imperiale è già in procinto di passare in secondo piano rispetto allo choc culturale. E infatti, da ogni parte, le culture colonizzate fanno sentire la loro voce (2). Entro dieci anni, entro cinquant’anni, sarà messo in discussione il primato della cultura occidentale. Occorre quindi pensare in questi termini e aprire il Parlamento mondiale alle altre culture, affinché la sua legge diventi veramente universale, e universale l’ordine che essa sancisce.
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I problemi posti oggi al diritto di veto sono fasulli poiché le maggioranze o le minoranze in contrasto tra loro all’O.N.U. sono fasulle. L’U.R.S.S. avrà sempre il diritto di rifiutare la legge della maggioranza finché questa sarà una maggioranza di ministri, e non una maggioranza di popoli rappresentati dai loro delegati e finché tutti i popoli, appunto, non vi saranno equamente rappresentati. Il giorno in cui tale maggioranza avrà un senso, ognuno dovrà rispettare o rifiutarne la legge, ovvero dichiarare apertamente la propria volontà di dominio.
Così, se prendessimo coscienza dell’accelerazione del mondo, potremmo trovare il modo adeguato di porre il problema economico attuale. Nel 1930, non si affrontava più il problema del socialismo come si faceva nel 1848. All’abolizione della proprietà era subentrata la tecnica della messa in comune dei mezzi di produzione. E questa tecnica, in effetti, oltre a risolvere contemporaneamente il destino della proprietà, teneva conto della scala superiore in base alla quale si misurava il problema economico. Sennonché, dopo il 1930, la scala si è ulteriormente accresciuta. E, dato che, la soluzione politica o sarà internazionale, o non ci sarà affatto, così la soluzione economica deve tener conto innanzitutto dei mezzi di produzione internazionali: petrolio, carbone e uranio. Se collettivizzazione ci dev’essere, essa deve guardare alle risorse che sono indispensabili a tutti e che, in effetti, non devono essere proprietà esclusiva di nessuno. Il resto, tutto il resto, dipende dal discorso elettorale.
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Agli occhi di alcuni queste prospettive sono utopiche, ma per tutti coloro che rifiutano di accettare l’eventualità di una guerra si tratta di un complesso di prìncipi che è opportuno affrontare e difendere senza alcuna riserva. Quanto a conoscere le strade che possono avvicinarci ad una simile visione delle cose, esse sono inimmaginabili senza l’unità tra i vecchi socialisti e gli uomini che oggi, percorrono in solitudine le strade del mondo.
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In ogni caso, è possibile rispondere ancora, e per l’ultima volta, all’accusa di utopia. Per noi, infatti, il fatto è semplice: o sarà l’utopia o sarà la guerra, una guerra preparata secondo i modi di pensare vetusti. Il mondo attuale deve scegliere fra il pensiero politico anacronistico e il pensiero utopico. Il pensiero anacronistico rischia di portarci alla rovina. E, considerata la nostra (e la mia), diffidenza, il senso di realtà ci obbliga quindi ad acconsentire all’utopia relativa. Quando essa sarà integrata nella storia, al pari di molte altre utopie dello stesso genere, non si potrà immaginare altra realtà possibile. Tant’è che la storia non è altro che lo sforzo disperato degli uomini per dare corpo ai più luminosi dei loro sogni.
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Albert Camus
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(1) Il 29 luglio del 1946 alle ore 16,30, si inaugura a Parigi, nel Palazzo del Lussemburgo, nelle sale dell’ex Senato Francese, la Conferenza dei 21, con un discorso inaugurale del Presidente del Consiglio francese, George Bidault, iniziato con un saluto a nome del popolo francese e del governo ai delegati delle Nazioni Unite ed amiche, convenuti a Parigi per la prima grande conferenza che deve discutere la sistemazione del mondo dopo la guerra.
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(2) Ad esempio il movimento culturale négritude sviluppatosi nella prima metà del XX secolo nelle colonie francofone. Fra i precursori del concetto di negritudine si cita in genere René Maran, autore di Batouala. Il termine négritude fu usato per la prima volta da Aimé Césaire nel 1935, nel terzo numero della rivista L’Etudiant Noir. Césaire rivendicava l’identità e la cultura nera contro quella francese, percepita come strumento di oppressione da parte dell’amministrazione coloniale. Il concetto fu poi ripreso da molti altri autori. Fra questi spicca Léopold Sédar Senghor, che in Canti d’ombra (Chants d’ombre, 1945) arricchì l’idea di negritudine opponendo la “ragione ellenica” all’”emozione nera”.
all'”emozione nera”.
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