• Albert Camus – Gli articoli di Combat: “Né vittime né canefici – Il secolo della paura”

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    Nel 1946 la collaborazione di Camus a Combat è rappresentata solo da questi otto articoli della serie Né vittime né carnefici

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    Questi articoli vennero scritti dallo scrittore francese per rispondere a due problemi che lo premevano. La prima risposta, di ordine pratico, fu quella di dare una mano al giornale Combat che stava rischiando la chiusura; la seconda, nobile, fu per lanciare un grido di allarme e di protesta contro il dominio del terrore che si stava instaurando nel mondo e contro la legittimazione dell’omicidio che lo sottendeva. Né vittime né carnefici disegna le urgenze etiche di Albert Camus in quel periodo storico in cui le speranze di pace e di un rinnovamento radicale della società dell’immediato dopoguerra si andavano via via appannando.

    Gli articoli, oltre ad essere assolutamente attuali, rivelano la fonte della crisi sistemica che stiamo vivendo.

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    Il secolo della paura


    19 novembre 1946

     

    Il XVII secolo è stato il secolo delle matematiche; il XVIII quello delle scienze fisiche; e il XIX quello della biologia. Il nostro secolo è il secolo della paura.

    Mi si dirà che la paura non è una scienza. Ma, innanzitutto la scienza c’entra pur qualcosa, poiché i suoi ultimi progressi teorici l’hanno portata a negare se stessa (Parla delle bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki N.d.R.)e poiché i suoi perfezionamenti pratici minacciano di distruggere il modo intero. Inoltre, se la paura in se stessa non può essere considerata una scienza, non v’è alcun dubbio sul fatto che sia comunque una tecnica.

    Ciò che colpisce maggiormente, in effetti, nel mondo in cui viviamo, è innanzitutto, e in generale, il fatto che la stragrande degli uomini (salvo i credenti di tutte le specie) sono privati del proprio futuro. Non c’è vita degna di questo nome senza una proiezione nel futuro, senza una prospettiva di evoluzione e di progresso. Vivere contro un muro, è la vita dei cani. Ebbene, gli uomini della mia generazione e di quella che entra oggi nelle fabbriche e nelle università,  hanno vissuto e vivono sempre più come cani.

    Naturalmente, non è la prima volta che gli uomini si trovano davanti un avvenire materialmente murato. Di solito, però, ne sono usciti vittoriosi grazie alla parola e al grido. Fanno appello ad altri valori, in grado di procurare loro una speranza. Oggi, nessuno parla più (salvo chi si ripete). Il mondo, infatti, ci sembra guidato da forze cieche e sorde che non sono disposte ad ascoltare le grida di avvertimento, né i consigli, né le suppliche. In noi qualcosa è stato distrutto dallo spettacolo degli anni che abbiamo appena trascorso. E questo qualcosa è quell’eterna fiducia nell’essere umano, che ci ha sempre fatto credere di poter ricevere dall’altro da sé stimoli umani semplicemente parlandogli il linguaggio dell’umanità. Abbiamo visto mentire, avvilire, uccidere, deportare, torturare, e ogni volta è stato impossibile persuadere chi lo faceva a non farlo, perché era sicuro di sé e perché non si convince un’astrazione, ovvero il rappresentante di un’ideologia.

    Il lungo dialogo tra uomini è bloccato. E, beninteso, un uomo che non si può convincere è un uomo che mette paura. Il che fa sì che accanto a persone che non parlano perché lo giudicano inutile si è estesa e si estende un’immensa congiura del silenzio, accettata da chi trema di paura e trova delle buone ragioni per nascondere a se stesso il  tremore, e provocata da chi ha interesse a farlo.

    “Non dovete parlare dell’epurazione degli artisti in Russia, perché farebbe gioco alla reazione.” “Dovete tacere sul sostegno a Franco da parte degli Anglosassoni, perché questo favorirebbe il comunismo.”  Dicevo, per l’appunto, che la paura è una tecnica.

    Tra la paura molto generica di una guerra che il mondo intero va preparando e la paura tutta particolare delle ideologie omicide, è pertanto verissimo che viviamo nel terrore. Viviamo nel terrore perché la persuasione non è più possibile, perché l’uomo è stato interamente consegnato alla storia e non può più volgersi verso quella parte di sé, non meno vera della parte consegnata alla storia, che ritrova al cospetto della bellezza del mondo e dei volti; perché viviamo nel mondo dell’astrazione, quello dei carnefici e delle macchine, delle idee assolute e del messianismo privo di sfumature.

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    Ci sentiamo soffocare in mezzo alla gente che crede di avere assolutamente ragione, sia che si tratti delle sue macchine o delle sue idee. E per chi non può vivere che nel dialogo e nell’amicizia degli esseri umani, questo silenzio è la fine del mondo.

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    Per uscire dalla condizione di terrore, occorrerebbe poter riflettere e agire seguendo il proprio ragionamento. Il clima di  terrore non è certo il più favorevole al ragionamento. Sono del parere, comunque, che si debba biasimare la paura, considerarla  uno degli elementi della situazione e cercare di rimediarvi. Non esiste nulla di più importante. La cosa, infatti, riguarda il destino di un gran numero di Europei i quali, sazi di violenze e di menzogne, delusi nelle loro più grandi speranze, provano ripugnanza all’idea di uccidere i propri simili, fosse anche per convincerli, così come provano pari ripugnanza all’idea di venire convinti nella medesima maniera. È tuttavia questa l’alternativa di fronte alla quale si viene a trovare una grande massa di esseri umani in Europa, che non appartengono a nessun partito, o che si sentono a disagio in quello che si sono scelti, che dubitano che in Russia si sia realizzato il socialismo, e in America il liberalismo, che assicurano sì ai russi e agli americani il diritto di affermare le loro rispettive verità, ma rifiutano loro il diritto di imporle con l’omicidio, individuale o collettivo. Tra i potenti di oggi ci sono individui senza regno. I quali non potranno far riconoscere (non dico far trionfare, solo far riconoscere) il proprio punto di vista, e potranno ritrovare la loro patria solo quando avranno preso coscienza di ciò che vogliono e lo dichiareranno con semplicità e forze sufficienti perché le loro parole possano sprigionare un fascio di energie. E se il clima di paura non li farà ragionare nel modo giusto, allora dovremmo, per prima cosa, mettersi in regola con la paura.

    Per mettersi in regola con la paura, occorre vedere cosa essa significa, e che cosa rifugge. Essa significa e rifugge la stessa realtà di fatto: un mondo in cui si legittima l’omicidio e dove si considera futile la vita umana. Ecco il principale problema politico di oggi.

     E, prima di proseguire con il resto, è necessario prendere posizione in rapporto a tale problema. Prima di avviare qualsiasi costruzione ideale, oggi vanno poste due domande: “Sì o no? Volete voi, direttamente o indirettamente, essere uccisi o violentati?” “Sì o no, volete voi, direttamente o indirettamente, ammazzare e  violentare?” Tutti coloro che risponderanno no alle due domande si troveranno automaticamente coinvolti in una serie di conseguenze che devono modificare il loro modo di porre il problema. Il mio programma è individuare soltanto due o tre di tali conseguenze. Nell’attesa, il lettore di buona volontà può incominciare ad interrogarsi e a rispondere.

     

    Albert Camus

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