• L’Antigone révolté: Camus e la “questione algerina”

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    Camus algerien

     di GianCarlo Zanon

    «A lungo termine, tutti i continenti , giallo, nero e bistrò) si rovesceranno sulla vecchia Europa. Sono centinaia e centinaia di milioni. Hanno fame e non temono la morte. Noi non sappiamo né morire né uccidere. Bisognerebbe predicare ma non servirebbe a niente. Allora bisogna aspettare l’anno mille o un miracolo?»

    Albert Camus-René Char,

    Correspondance – 1946-1959 – Gallimard. 2007, p.21

    «Anche se in effetti allora non esisteva una nazionalità algerina, Camus se la attribuiva comunque, perché non faceva distinzione tra arabi nativi e coloni di origine francese». Rubo queste parole che  Emanuele Santi, autore del libro il Portiere e lo straniero, ha enunciato nel suo intervento al Convegno Uno straniero in rivolta; Albert Camus tra impegno storico e interrogazione filosofica, svoltosi il 7 novembre 2013, nella Sala degli Atti parlamentari, per definire una volta per tutte la posizione di Camus nei confronti di quella che chiamerò la “questione algerina”.

    Se non si parte da questo assunto essenziale, vale a dire il sentirsi algerino, e quindi profondamente mediterraneo e “sanguigno”, del premio Nobel per la letteratura, non si potrà mai venire a capo della “questione algerina”. La sua poetica, ovvero la sua visione del mondo e quindi  il suo giudizio socio-politico, ovviamente, non poteva prescindere da questo filtro attraverso il quale egli percepiva la realtà.

    Il pensiero occidentale ha un vizio di fondo: analizza e definisce verbalmente la realtà fisica e, purtroppo, la realtà umana, attraverso rigide categorie concettuali. Tutto ciò che non rientra in quelle categorie di solito o viene rigettato come se non facesse parte dell’organismo filosofico, o, surrettiziamente, viene integrato in un sistema filosofico egemone, alterando i fondamenti di quell’”incomprensibile” pensiero, oppure annullandolo completamente a causa delle idee perturbanti contenute in quel pensiero.

    Per combattere il pensiero di Camus sono state utilizzate tutte le armi non convenzionali possibili: rigetto; alterazione, tentativo di integrazione concettuale nella cultura dominante, annullamento.

    La “questione algerina” vissuta ed espressa da Camus nei suoi scritti e nelle sue dichiarazioni, non poteva essere compresa né dai nativi algerini oppressi e disprezzati da più di cent’anni, né, dai coloni algerini convinti di possedere una superiorità umana ed intellettuale, né tantomeno da chi affogava la propria identità culturale nell’ideologia comunista e nella filosofia nazista heideggeriana: Sartre ed i suoi compagni di merenda.

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    Nessun intellettuale poteva comprendere il pensiero di Camus sulla “questione algerina”, perché nessuno possedeva il suo vissuto. Nato povero tra poveri, non distingueva un povero arabo da un povero francese, non distingueva un ricco arabo da un ricco francese. Per Camus non esisteva la categoria “arabo” e la categoria “francese”, non esisteva un’Algeria araba e un’Algeria francese, per lui esisteva la terra in cui era nato e cresciuto , e questa terra si chiamava Algeria.

    Terra, sangue, muscoli e sudore non appartengono al lessico di chi, gli algerini del FLN, per reagire ad un oppressione disumana, o chi, i colonialisti francesi, per continuare ad opprimere, categorizza la realtà spogliandola dagli affetti. Come potevano comprendere, coloro che in modo delirante percepivano gli arabi più o meno come cose della natura da sfruttare, un Camus che partoriva pensieri “strani” come «Bisogna diffidare di tutti i pensieri che non vengono dalla festa dei muscoli». Che sono ‘sti “pensieri che vengono dai muscoli”? Che c’entra il pensiero con la forza muscolare? Il corpo, con il farsi del pensiero? Il pensiero per il pensiero occidentale  razionale e per la teo-filosofia giudaico-cristiana è altra cosa dal corpo. Pensiero e corpo sono da sempre scissi.

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    Come potevano capire Camus i partigiani del Fronte Nazionale di Liberazione che, accecati dalla rabbia per aver vissuto cent’anni dominati da un popolo oppressore che negava loro diritti e realtà umana,  vedevano i colonialisti non come esseri umani ma solo come bersagli inanimati da colpire e distruggere. Come potevano capire quando lui sicuro della sua naturale umanità, legittimata dalle leggi del sangue, a cui non poteva e non voleva rinunciare, disse a Stoccolma  «Ho sempre condannato il terrore. Devo così condannare un terrorismo che viene esercitato in maniera cieca nelle strade di Algeri e che un giorno potrebbe uccidere mia madre e la mia famiglia. Io credo nella giustizia ma difenderei mia madre prima della giustizia.»

    In quegli anni la sinistra francese, ovvero il Pcf, guidata da Sartre non ci prova nemmeno a capirlo. Per i più benevoli, egli è un inguaribile ottimista senza alcun rapporto con la realtà, in quanto non riesce a capire che i francesi d’Algeria sono al 99% «ferocemente attaccati ai loro privilegi» di “uomini bianchi”; per i più malevoli Camus è uno «schifoso fascista» neocolonialista.

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    Albert Camus, dal canto suo, essendo sia un indigeno algerino nato povero, sia un “francese” per cultura, vede la “questione algerina” con i propri occhi che non hanno filtri ideologici.

    È un errore pensare che l’umano presente negli algerini delle due “etnie”, sia forte abbastanza per fermare l’odio generato in prima istanza dall’oppressione colonialista  che ha annichilito l’identità umana di un intero popolo? Per Camus non è un errore. Contrariamente  a chi ancora lo definisce un homme déchiré, un uomo lacerato dai dubbi, dubbi non ne ha. Come Antigone non ha mai un’esitazione, egli segue la legge del sangue e le leggi «non scritte e incrollabili degli  dei» perché sa che esistono  «non soltanto da oggi né da ieri ma da sempre esse vivono, da sempre: nessuno sa da quando». Non sa da dove viene la “legge del sangue”. Non lo sa, ma sa che è esistente nell’uomo. Se lui la sente come un imperio che nasce dalle viscere, sa che anche gli altri uomini la devono avvertire. Si tratta solo di darle un volto. Cercare di dare un volto al sentire umano e all’assurdo che nega questo sentire. Ci proverà , claudicante con  la filosofia, egregiamente con la sua arte letteraria, con i romanzi , con le opere teatrali.

    Egli può seguire il suo sentire senza paura di sbagliare perché non ha nessun senso di colpa verso gli algerini che ha sempre difeso,  fin da quando, nel ’37,  per difenderli si fece espellere dal Pcf, quando questi, sotto pressione staliniana, aveva eliminato i nativi dal partito.

    Resistenti del FNL torturati dai soldati francesi

    Prigionieri Fnl Torturati dai francesi

    Per Camus parole come “Realpolitik” e concetti come “ragion di stato” sono bestemmie urlate in faccia all’individualità umana a cui lui non si sente superiore, né divide in razze e forse, pur sapendo che esistono, neppure in classi sociali. Lui non ha mai sfruttato nessuno, è legato al luogo in cui è nato e dove ha trascorso miseramente i primi vent’anni della sua vita. È legato alle sue abitudini, ha sempre vissuto in armonia con i vicini arabi poveri quanto lui. Camus è convinto che la “questione algerina” esista per l’ingiustizia sociale che investe non solo gli arabi, ma anche i pieds-noirs il cui livello di vita è molto al di sotto di quello della madre patria.

    Egli sa che la difesa del FLN da parte dell’Unione Sovietica non è dovuto a cause nobili ma è solo una pedina da giocare nel gioco della guerra fredda.

    Per Camus l’unica soluzione giusta alla “questione algerina”, è una coesistenza pacificata, nel rispetto di entrambe le comunità. Una folle utopia? Forse sì, lo dirà la storia. Mandela riuscì a chiudere con l’apparteid e a far convivere chi aveva oppresso e chi era stato oppresso.

    Camus dal ’44 al ‘49 su Combat scrive una serie di articoli in difesa del popolo algerino che rimarcano il suo interesse umano per il popolo a cui sentiva di appartenere. Già nel 1939 con i suoi primi articoli sulla miseria di Cabilia, elogia la grandezza delle popolazioni indigene. Il 13 maggio del 1945, dopo un soggiorno di tre settimane in Algeria in cui era venuto a conoscenza delle repressioni  susseguitesi a Setif, Guelma e in gran parte della regione di Constantinois, in un articolo su Combat intitolato Crisi in Algeria, egli scriveva : « … non ho altra ambizione se non quella di contribuire a ridurre anche di poco l’incredibile ignoranza della Francia in tema di Africa del Nord. (…)  Sul piano politico, vorrei ricordare che esiste anche il popolo arabo. Voglio dire con ciò che esso non è quella folla anonima e miserabile in cui l’Occidente non vede nulla da rispettare o da difendere. Si tratta, al contrario, di un popolo di grandi tradizioni e di grandi virtù, solo che lo si voglia avvicinare senza pregiudizi. Non si tratta di un popolo inferiore, se non per le condizioni in cui si trova a vivere, anzi, potremmo imparare molto da lui, così come lui potrebbe imparare molto da noi.»

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    «La protesta di Camus però resta un fatto completamente isolato – è scritto dai curatori in una nota al suo articolo del 23 maggio 1945 Sarà la giustizia a salvare l’Algeria dall’odio» (trovato nelle Corrispondenze per Combat1944-1947, tradotte e pubblicate da Bompiani).

    E prosegue  – in un reportage su Le Figarosotto il titolo Ce que j’ai vu et appris en Algérie, pubblicato tra il 7 e il 13 luglio 1945– «Pierre Dumbard, dopo aver osservato che “la repressione è terminata”, riferisce le parole del prefetto di Constantinois, che “ribolle d’indignazione contro la barbarie degli indigeni».

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    Camus è anche un attento investigatore della storia, e cerca di svelarne i moventi, che le imprimono movimenti tragici, con una infinita serie di perché gridati nel deserto. In una nota su L’homme révolté  equipara il massacro sistematico e totale della città di Lidice, da parte dei nazisti, ai massacri delle città algerine da parte dei francesi: «È sorprendente notare – scrive nella nota Camus – come atrocità che possono ricordare questi eccessi siano state commesse nelle colonie (India 1857; Algeria 1945 ecc.) da nazioni europee che obbedivano in realtà allo stesso pregiudizio irrazionale di superiorità razziale.»

    Camus non conoscendo la pulsione di annullamento, scoperta negli anni sessanta dallo psichiatra Massimo Fagioli, non poteva sapere da dove avesse origine quel mostro assurdo che lui chiamava «pregiudizio irrazionale di superiorità razziale» che diveniva palese non solo nei fenomeni drammatici che vedevano i nazisti protagonisti, ma anche nei massacri contro il popolo algerino da parte dei francesi. Ma questo suo cercare le ragioni dell’assurdo merita di essere indagato e sviluppato in un altro lavoro a cui mi sto dedicando.

    Anche il suo ultimo intervento su Combat – una lettera intitolata Solo i sodati semplici tradiscono  scritta due mani con il poeta René Char – è dedicato alla difesa di nativi algerini. « Leggiamo su Combat che due fucilieri algerini sono sati condannati a morte dal tribunale militare di Algeri per diserzione di fronte al nemico. (…) Vi chiediamo di voler confrontare una tale implacabile sentenza con quella, molto meno severa, che è stata ammessa nei confronti di vari generali accusati di aver offerto i propri servigi al nemico, in quanto prigionieri dell’esercito tedesco. Vi chiediamo inoltre di voler portare a conoscenza dell’opinione pubblica che è estremamente raro che un suddito algerino goda dei diritti di un cittadino francese, sebbene sia tenuto a svolgere, come avete appena visto, i medesimi doveri (…).»

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    Questa sua lettera del 14 marzo 1949 e il contenuto dell’articolo citato del 13 maggio 1945, basterebbero a convincere tutti gli uomini dotati di un buon grado di onestà intellettuale, dell’investimento affettivo di Camus verso la parte più debole della società, in questo caso il popolo algerino, che nella lettera definisce “i sudditi” per evidenziare lo scarto di discrimine esistente tra loro e “i cittadini” francesi. Anche questa sua ribellione contro un sistema  politico e sociale che crea una apartheid,  delineata dalla parole “suddito” – “cittadino” poste in opposizione tra loro, si evince il pensiero dello scrittore algerino sulla “questione algerina”.

    Quando nel 1954 divampa la guerra d’Algeria, Camus sa bene quale ingranaggio di violenza si è messo in moto. La FLN, (Fronte di Liberazione Nazionale Algerino) per imporre le sue richieste, sceglie immediatamente la via del terrorismo. Egli lo condanna come ha sempre condannato ogni tipo di violenza dell’uomo sull’uomo.

     Lo scrittore,  contrariamente alla leggenda, che lo dipinge come un intellettuale  esistenzialista dilaniato dal conflitto tra ragion di stato e affetti, non ha nessun dubbio … sceglie sempre istintivamente gli affetti.

    Ancor oggi in Algeria, rimproverano a Camus di non aver abbracciato la causa dell’indipendenza. La stessa cosa fa  ancora una certa cultura di sinistra che, diciamocelo francamente, non ha mai digerito l’individualismo mediterraneo di Albert Camus. La sua opinione sulla questione algerina non poteva che essere opposta a quella dei salotti della Parigi sartriana, dove la maschera dell’intellettuale engagé serviva a coprire una realtà umana devastata e devastante.  Egli, per le categorie filosofiche e per i sistemi culturali egemoni è un assurdo incatalogabile e in quanto tale incomprensibile.  È questo il motivo per cui Camus viene bandito dagli intellettuali del clan Sartre e dalla cultura d’oltralpe che solo ora, a cinquant’anni dalla morte inizia, pur continuando a non capirlo, timidamente ad accoglierlo.

    Ma negli anni dell’esistenzialismo heideggeriano, Camus viene attaccato proprio perché, essendo un povero pied noirs, appartiene ad un’altra “razza”. Come si è permesso di entrare ed uscire dal gotha culturale parigino rimanendo “incontaminato”? Egli è un “presuntuoso” che parla di etica, di verità e di giustizia ai maître à penser della rive gauche  i quali conoscono solo regole del gioco intercambiabili al momento opportuno e a secondo del tavolo su cui si gioca.

    Camus Algeri

    Camus, nato povero, è incapace di tradire i poveri: «Nella questione algerina – scrive il rumeno  Virgil Tanase nella sua splendida biografia, “Albert Camus – Una vita per la verità” è dalla parte di coloro che soffrono e rifiuta di distinguere, tra loro, indigeni e europei.»

    Camus, che non si considerava francese ma algerino e mediterraneo, non poteva accettare né una posizione politica che voleva conservare uno status quo, e quindi l’oppressione degli indigeni, né quello del FLN per il quale la fine del colonialismo doveva finire in un bagno di sangue francese.

    Dalle prime prese di posizione di Camus sulla “questione algerina” a oggi sono passati oltre sessant’anni. Ora sappiamo che le sue visioni sul futuro del Nord Africa, incomprese e derise, si sono invece rilevate esatte. L’occidente onnipotente ha aspettato « l’anno mille e un miracolo» che non si è verificato. Il mediterraneo che secondo Camus doveva unire è diventato invece una frontiera che ogni giorno si macchia di sangue umano mentre, come da lui “vaticinato”, centinaia di milioni di individui alla ricerca di un’identità, che è stata loro rubata dal vecchio colonialismo e dal neo-colonialismo del land grabbing, si rovesciano sulla vecchia Europa , e «hanno fame e non temono la morte.»

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    Se il sogno di Albert Camus che immaginava, e voleva, le terre nordafricane abitate da uguali si fosse avverato, nessuno ora sfiderebbe la morte per sfuggire alla povertà causata da chi, allora come ora, ha perduto la “povertà fastosa del mare” descritta poeticamente nel suo saggio L’Été: «Sono cresciuto sul mare e la povertà mi è stata fastosa, poi ho perduto il mare, tutti i lussi mi sono sembrati grigi, la miseria intollerabile. Da allora aspetto. Aspetto le navi del ritorno, la casa delle acque, il giorno limpido».

    P.S Anche se, in apertura di articolo, spinto dalla passione, ho scritto “una volta per tutte”, questo articolo non ha la presunzione di chiudere per sempre la “questione algerina” di Albert Camus. Serve semmai a riaprire una dialettica sui fatti di Algeria e sullo scrittore algerino che ha amato perdutamente la sua terra e gli algerini. Algerini che ha difeso con le sue armi migliori, le parole.

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    • Sempre interessanti i tuoi articoli specialmente su A. Camus autore che ho amato sin dall’infanzia 16 anni, senza sapere perchè.

    • ” ma esiste un’altra razza di uomini che ci aiuta ha respirare,che ha sempre posto la propria esistenza e libertà solo nella libertà e nella felicità di tutti,e che trova fin nelle sconfitte le ragioni per vivere e per amare,questi anche se vinti non saranno mai soli.”a. camus

      tra ragion di stato e libertà camus scelse sempre la libertà.in uno dei tantissimi incontri con gli anarchici spagnoli ,negli anni della brutale repressione franchista,,camus dichiarò che la spagna era la sua vera patria ,forse pensando………………………..alla brevissima estate dell’anarchia in catalogna,

      oggi troverebbe una francia dominata come il resto d’europa ,da un feroce e barbaro tecno capitalismo interno, indaffarata a fianco degli americani ad esportare democrazia a suon di bombe.con la complicità di sauditi ed israeliani.
      dall’altra parte del mediterraneo,troverebbe l’algeria povera e pazza ,come si suol dire,molto peggio di come l’aveva lasciata, disseminata da centinaia di migliaia di cadaveri,in maggioranza di donne e di bambini,in una guerra civile troppo in fretta dimenticata,appena ieri,metà degli anni 90. e terrorizzata da un inumano oscurantismo religioso.
      un abbraccio antonio

      • Grazie Antonio per la bellissima citazione, (che senza alcun dubbio prima o poi riutilizzerò) e per la tua visione sull’Occidente e sull’Algeria che non lascia scampo a chi vuole NON VEDERE.

        in “Camus che avrebbe cent’anni” , un articolo che sto preparando e che uscirà prima della fine di quest’anno, cercherò di dire le stesse cose che hai detto tu. Camus aveva una visione del mondo che andava ben oltre i dati della realtà che si dipanavano davanti ai suoi occhi fisici. Con il semplice uso della deduzione e conoscendo l’umano e il disumano, sapeva trarre da quei dati e dalla propria sensibilità artistica una netta visione del futuro. E’ stato il caso dell’Algeria ma anche del divenire del potere economico che abolendo la solidarietà tra gli esseri umani, e la loro unicità identitaria, vale a dire i due pilastri su cui si fonda la realtà umana, ha eliminato quasi totalmente, quasi, la possibilità di un futuro vivibile … ma è una lunga storia che cercherò di raccontare …

        Grazie
        un abbraccio

        GianCarlo

    • Intenso e bello l’articolo . Costringe a leggerlo di più , a un rapporto più pieno.
      grazie , francesco

    • Bellissimo articolo, poetico e profondo.
      Solo una notazione: si cita lo psichiatra Massimo Fagioli che avrebbe “scoperto” la pulsione di annullamento. A parte ogni altra considerazione sulla rilevanza scientifica della cosa quando uno studioso della psiche identifica un concetto, un’idea su cosa possa esserci o muovere le forze psicologiche ed emotive fa un tentativo puramente speculativo, non “scopre”. Si scopre ciò che può essere obiettivamente misurato, visto, quantificato, validato. Il resto è opinione, tentativo di trovare delle categorie concettuali di una qualche utilità.

      • ma come sono cent’anni che si dice che Freud ha scoperto l’inconscio e tutti lo ripetono come tanti pappagalli e noi non possiamo scrivere che Massimo Fagioli ha scoperto la “pulsione di annullamento”? Ma la di là della polemica M.F. non ha scoperto un concetto, ha scoperto che l’essere umano è in grado di agire quella che lui ormai 50anni fa ha definitò “pulsione di annullamento”. Ovvero ha scoperto una dinamica patologica inconscia in grado di anullare nella mente di chi la agisce l’esistenza di una realtà: quello non è un essere umano come me perché non corrisponde al modello di essere umano che ho nella mente. Prima della scoperta si pensava che il razzismo fosse solo un mero fatto culturale ora si sa che è la pulsione di annullamento che fa di ciò che è ciò che non è che sta alla base della negazione. Sul mio saggio Alienazione religiosa – i buchi neri dell’Essere e il vortice del Nulla ho spiegato che l’alienazione religiosa è la «fonte pulsionale della creazione degli dei» ovvero è un “volere che sia” psichico, un abito mentale non cosciente, a causa del quale gli esseri umani, annullando i dati dell’esperienza empirica e sentimentale, alienano i propri affetti, le proprie istanze, la propria volontà e i propri sentimenti in una inesistenza religiosa oppure in una ideologia astratta.
        Per uscire da questa trappola mentale inconscia è necessario scoprirla, darle un nome e un senso; per interpretare la realtà è necessario cioè un nuovo metodo di pensiero: è per questo motivo che ho scritto questo vadermecum sul significato dell’alienazione religiosa e su i suoi effetti collaterali. L’ho fatto percorrendo la storia delle religioni, e mostrando le implicazioni psicologiche, antropologiche, politiche e sociali dell’alienazione religiosa, ovvero di quella pulsione inconscia che annulla il pensiero critico.
        Gian Carlo Zanon

      • difficile risponderle brevemente… Sul mio saggio Alienazione religiosa – i buchi neri dell’Essere e il vortice del Nulla ho spiegato che l’alienazione religiosa è la «fonte pulsionale della creazione degli dei» ovvero è un “volere che sia” psichico, un abito mentale non cosciente, a causa del quale gli esseri umani, annullando i dati dell’esperienza empirica e sentimentale, alienano i propri affetti, le proprie istanze, la propria volontà e i propri sentimenti in una inesistenza religiosa oppure in una ideologia astratta.
        Per uscire da questa trappola mentale inconscia è necessario scoprirla, darle un nome e un senso; per interpretare la realtà è necessario cioè un nuovo metodo di pensiero: è per questo motivo che ho scritto questo vadermecum sul significato dell’alienazione religiosa e su i suoi effetti collaterali. L’ho fatto percorrendo la storia delle religioni, e mostrando le implicazioni psicologiche, antropologiche, politiche e sociali dell’alienazione religiosa, ovvero di quella pulsione inconscia che annulla il pensiero critico.
        Gian Carlo Zanopn

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