• Camus, gli articoli di Combat: Perché la Spagna

      2 commenti

    ok

    Gli articoli apparsi su Combat dal marzo 1944 al marzo del 1949

     –

    «Giornalismo è diffondere ciò che qualcuno non vuole si sappia; il resto è propaganda. Il suo compito è additare ciò che è nascosto, dare testimonianza e, pertanto, essere molesto.»

    Horacio Verbitsky, da Un mundo sin periodistas

     

    Certamente Albert Camus fu un giornalista molesto. La sua prosa appartiene a ciò che oggi verrebbe chiamato “politicamente scorretto”. Oggi, come allora, sarebbe stato messo al margine della cultura dominante sia dai nuovi Sartre che dai rinati Mauriac.

     

    I suoi articoli apparsi su Combat prima e dopo la liberazione di Parigi, sono la testimonianza della sua assoluta libertà di pensiero. Camus non ebbe mai nessun timore reverenziale. I primi anni di vita avevano generato in lui un’irriverenza verso il potere oggi introvabile nel mondo del giornalismo che sa sempre dove fermarsi alla frontiera del “politicamente corretto” per non urtare gli umori di quella casta, di quella lobby, di quella chiesa.

    Bastano alcuni titoli dei suoi articoli per comprendere da quale fuoco fosse temprato:  A guerra totale resistenza totale, Hanno fucilato francesi per tre ore, La notte della verità, Il tempo del disprezzo.

     

    Dal primo del marzo 1944, scritto in clandestinità, che incitava i francesi alla resistenza, all’ultimo, del marzo del 1949 (che chiedeva di abolire una sentenza che ordinava di giustiziare due fucilieri algerini rei di diserzione per essersi consegnati – nove anni prima, con l’esercito francese allo sbando, insieme all’intero plotone, al nemico) Camus tenne sempre la schiena dritta di fronte al mondo dell’assurdo che gli era ostile.

     

    Fu sempre, fino all’ultimo minuto della sua troppo  breve vita,  un intellettuale contro: prima contro il governo fantoccio di Pétain colluso con il nazifascismo,  e poi contro politici, papi, industriali, e i loro servi della propaganda giornalistica, che volevano restaurare lo stesso identico sistema sociale e lo stesso “sistema filosofico” precedente a quella guerra che aveva causato almeno cento milioni di morti.

     

    Albert Camus non è riuscito a fermare l’ennesima restaurazione di un potere che trae la propria origine dall’annullamento dell’altro da sé visto come facente parte di una natura da sfruttare.

    Ciò nonostante rimane, per tutti coloro che vogliono fare giornalismo, un fuoco acceso su un lontano monte. Un fuoco da raggiungere prima che si spenga. Un fuoco al quale scaldarsi e ravvivare per il prossimo sconosciuto viandante che avrà il coraggio di avventurarsi in quei luoghi frequentati dalla verità.

    Gian Carlo Zanon

    Combat: 25 novembre 1948

     

    Perché la Spagna(1)

     

    Risposta a Gabriel Marcel

     

    Risponderò qui soltanto a due dei passaggi dell’articolo che lei ha dedicato a Lo stato d’assedio, su Les Nouvelles Littérairese (2).

     

    Mentre non voglio rispondere in alcun caso alle critiche che lei o altri avete rivolto alla mia pièce, in quanto opera teatrale in sé. Quando si decide di presentare uno spettacolo o di pubblicare un libro ci si espone inevitabilmente alle critiche e si è disposti ad accettare l’eventuale condanna dei contemporanei. Quale ne sia il giudizio, è comunque meglio tacere.

     

    Lei, tuttavia, ha trasceso i privilegi del critico, meravigliandosi che una pièce sulla tirannide totalitaria sia stata ambientata in Spagna e facendo intendere che l’avrebbe vista meglio rappresentata in un paese dell’Est. E mi costringe a ribattere scrivendo che la scelta sottende una mancanza di coraggio e di onestà. È, vero che lei è abbastanza benevolo da pensare che non sia io il responsabile della scelta (traduciamo:; è il malvagio Barrault, già così nero di delitti (3)).

     

    Sfortuna vuole che la pièce sia ambientata in Spagna perché ho deciso io, e solo io, dopo lunga riflessione, di ambientarla lì. Devo dunque sobbarcarmi io le sue accuse di opportunismo e disonestà.

     

    Non si stupirà quindi che, in tali condizioni, mi senta obbligato a risponderle.

     

    Del resto, probabilmente, non avrei nemmeno sentito il bisogno di difendermi dalle sue accuse (davanti a chi ci si deve giustificare, oggi?) se lei non avesse toccato un tasto tanto grave come quello della Spagna. Perché devo proprio dire che non ho preteso di lusingare nessuno scrivendo Lo stato d’assedio. Ho solo voluto attaccate frontalmente un tipo di società politica che si è organizzato o si organizza, a destra e a sinistra, in base al modello totalitario. Nessuno spettatore in buonafede può dubitare che la pièce si schieri dalla parte dell’individuo, della materia – in tutto ciò che ha di nobile – e infine dell’amore terreno, contro i terrori e le astrazioni dello Stato totalitario(4), sia esso russo, tedesco o spagnolo. Dotti professori riflettono ogni giorno sulla decadenza della nosra sociètà, ricercandone le ragioni più profonde.

     

    Senza dubbio queste ragioni esistono. Ma per i più semplici tra noi il male del nostro tempo s’individua attraverso i suoi effetti, non attraverso le sue cause. E si chiama Stato, poliziesco o burocratico. La sua proliferazione in ogni paese, sotto i pretesti ideologici più diversi, l’insultante sicurezza che gli danno i mezzi meccanici e psicologici della repressione, ne fanno un pericolo mortale per quanto c’è di buono in ciascuno di noi.

     

    Da questo punto di vista la società politica contemporanea, quale che ne sia il contenuto, è deprecabile. Non ho inteso dire altro che questo, ed è, per questo che Lo stato d’assedio è un atto di rottura, che non vuole risparmiare nulla.

     

    1.nazionalisti

     

    Ciò detto – e con la massima chiarezza -, perché la Spagna? Glielo confesso, provo un po’ di vergogna a pormi la domanda al posto suo. Perché Guernica (5), Gabriel Marcel? Perché quell’appuntamento in cui, per la prima volta, in faccia a un mondo ancora sprofondato nei propri comodi e nella propria morale miserabile, Hitler, Mussolini e Franco hanno dimostrato a una folla di bambini che cos’era la tecnica totalitaria? Sì, perché quell’appuntamento, che ci riguarda così da vicino? Perché per la prima volta gli uomini della mia generazione hanno preso coscienza dell’ingiustizia trionfante nel corso della Storia (6).

     

    Il sangue innocente è colato, allora, in mezzo a un gran chiacchiericcio ipocrita che, per l’appunto, dura ancora. Perché la Spagna? Ma perché noi siamo tra quelli che non si laveranno mai le mani da quel sangue. Quali che siano le ragioni dell’anticomunismo – e ne conosco di buone – non ne accetteremo mai la sostanza se esso si compiace di sé al punto da dimenticare quell’ingiustizia, la quale si perpetua con la complicità dei nostri governi. Ho detto con la voce più alta possibile quel che pensavo dei campi di concentramento russi (7).

     

    Ma la cosa non mi farà dimenticare Dachau, Buchenwald e l’agonia senza nome di milioni di uomini, né l’atroce repressione che ha decimato la Repubblica spagnola. Sì, malgrado la commiserazione dei nostri grandi politici, i misfatti vanno denunciati tutti insieme. E non scuserò quella peste odiosa che alligna nell’Ovest dell’Europa perché esercita i suoi effetti devastanti anche all’Est.

     

    Savoia-Marchetti_SM.81

     

    Lei scrive che per coloro che sono bene informati le notizie più adatte a gettare nella disperazione chi ha a cuore la dignità umana non provengono oggi dalla Spagna. Lei è male informato, Gabriel Marcel. Ancora ieri, laggiù, cinque oppositori politici sono stati condannati a morte. In realtà, è lei che ha fatto di tutto per essere male informato, coltivando l’oblio.

     

    Lei ha dimenticato che le prime armi della guerra totalitaria sono state temprate nel sangue spagnolo. Lei ha dimenticato che nel 1936 un generale ribelle (Francisco Franco N.d.R.) ha sollevato, nel nome di Cristo, un esercito di mauritani per scagliarlo contro il governo legale della Repubblica spagnola, e ha portato al trionfo, dopo massacri inespiabili, una causa ingiusta, dopodiché ha dato inizio a una repressione atroce che è durata dieci anni e non si è ancora conclusa. Sì, davvero, perché la Spagna? Perché, insieme a molti altri, lei ha perduto la memoria.

     

    E anche perché mi succede di nuovo, insieme a pochi altri francesi, di non essere affatto fiero del mio paese. Che io sappia, la Francia non ha mai consegnato oppositori sovietici al governo russo. Succederà senz’altro. Le nostre classi dirigenti sono pronte a tutto.

     

    Nei confronti della Spagna, in ogni caso, abbiamo già provveduto in tal senso. In ossequio alla clausola più infamante dell’armistizio abbiamo consegnato a Franco, su ordine di Hitler, alcuni repubblicani spagnoli, tra i quali il grande Luis Companys (8). E Companys è stato fucilato, vittima di quell’ignobile commercio. Era Vichy, certo, non eravamo noi. Noi, nel ‘38, abbiamo soltanto messo il poeta Antonio Machado (9) in un campo di concentramento dal quale è uscito solo per morire.

     

    Ma quel giorno, nel quale lo Stato francese si è fatto reclutatore di boia totalitari, chi ha fatto sentire la propria voce? Nessuno. E non c’è dubbio, Gabriel Marcel, che chi avrebbe potuto protestare riteneva, come lei, trattarsi di poca cosa rispetto a quanto lo indignava nel sistema russo. Insomma, un fucilato in più o in meno! Ma un volto di uomo fucilato è una sporca piaga, che finisce per incancrenirsi. Ebbene. Ha vinto la cancrena.

     

    tumblr_m8gh6fmHck1rukukjo1_1280

    Dove sono dunque gli assassini di Companys? A Mosca o nel nostro paese? È doveroso rispondere: nel nostro paese. È doveroso dire dire abbiamo fucilato noi Companys, che siamo noi i responsabili di quel che ne è seguito. È doveroso dichiarare che ci sentiamo umiliati e che il nostro solo modo di riparare sarà conservare il ricordo di una Spagna che è stata libera e che abbiamo tradito, secondo le nostre possibilità – invero esigue -, a nostra discrezione e a nostro piacimento. Ed è vero che non esiste potenza che non l’abbia tradita, salvo la Germania e l’Italia, le quali, almeno, fucilavano gli spagnoli faccia a faccia. Ma è anche vero che non è una consolazione e che la spagna libera, con il suo silenzio, continua a chiederci riparazione. Io ho fatto ciò che ho potuto, compatibilmente con il mio modesto ruolo, ed è questo che la scandalizza.

     

    Se avessi avuto più talento, la riparazione sarebbe stata maggiore: ecco tutto quello che posso dire. La viltà e la dissimulazione avrebbero consigliato, qui, di venire a patti. Ma su questo punto non andrò oltre e farò tacere i miei sentimenti, per riguardo a lei. Tutt’al più potrei ancora dirle che nessun uomo sensibile si sarebbe dovuto meravigliare di fronte alla necessità di scegliere come interpretare un popolo di carne viva e di grande fierezza per opporle alla vergogna e alle ombre della dittatura, che io abbia scelto il popolo spagnolo. Non  potevo comunque scegliere il pubblico internazionale del Reader’s Digest o i lettori di Samedi-Soir e France-Dimanche.

     

    CURAS1 

    Ma lei certo non vede l’ora che io dia una spiegazione, per concludere, sul ruolo che ho riservato alla chiesa. Sul che sarò breve.

     

    Lei trova che il ruolo sia odioso, mentre non lo era nel mio romanzo. Ma nel mio romanzo dovevo rendere giustizia agli amici cristiani che ho incontrato sotto l’Occupazione nel corso di una lotta sacrosanta. Nella pièce, invece, era mio dovere dire qual è stato il ruolo della chiesa di spagna. E se l’ho fatto risultare odioso è perché, davanti al mondo intero, il ruolo della chiesa di Spagna è stato odioso. Per quanto dura suoni tale verità per lei, si consolerà pensando che la scena che la disturba non dura che un minuto, mentre quella che offende ancora la coscienza europea dura da dieci anni. E l’intera chiesa si sarebbe trovata mescolata all’incredibile scandalo dei vescovi spagnoli che benedicevano i fucili delle esecuzioni se fin dai primi giorni due grandi cristiani – uno dei quali, Bernanos (10), è oggi scomparso, e l’altro, José Bergamín (11), vive in esilio – non avessero fatto sentire la propria Voce. Bernanos non avrebbe scritto quanto ha scritto lei sull’argomento. Lui avrebbe capito che la frase che conclude la mia scena «cristiani di Spagna, siete abbandonati», non insulta la vostra fede. Avrebbe capito che, se avessi scritto- qualcos’altro o avessi scelto il silenzio, a quel punto avrei insultato la verità.

     

    Se dovessi rifare Lo stato d’assedio lo ambienterei ancora in Spagna, ecco la mia conclusione. E tramite la Spagna, domani come oggi, sarebbe chiaro a tutti che la condanna che vi è contenuta prende di mira tutte le società totalitarie. E non avrebbe potuto essere altrimenti, se non a prezzo di una complicità ignobile. Soltanto così e non in altro modo, mai in altro modo, potremo preservare il diritto di protestare contro il terrore. Ecco perché non posso essere del suo vviso quando dice che, a proposito dell’ordine politico, il nostro accordo è assoluto. Perché lei accetta di tacere su un terrore per meglio combatterne un altro, mentre io sono di quelli che non intendono tacere su nulla. È la nostra intera società politica a farci rivoltare. E non ci sarà salvezza fino a quando tutti coloro che valgono ancora qualcosa non l’avranno ripudiata nella sua interezza, per cercare, fuori da ogni contraddizione senza  speranza, la strada del rinnovamento.

     

    franco_saludando_489x

     

    Da qui, la necessità della lotta. Sapendo però che la tirannide totalitaria non si edifica sulle virtù dei totalitari, bensì sugli errori dei liberali. Il motto di Talleyrand è inaccettabile: un errore non è peggiore di un delitto. Sennonché l’errore finisce per giustificare il delitto e offrirgli un alibi. Getta le vittime nella disperazione: ecco perché è colpevole. È proprio questo che non posso perdonare alla società politica contemporanea: che sia diventata una macchina per gettare l’umanità nella disperazione.

     

    Lei sicuramente troverà che un piccolo pretesto non può fornire l’occasione per una spinta passionale così intensa. Allora mi lasci parlare, per una volta, a titolo personale. Il mondo in cui vivo mi ripugna, ma mi sento solidale con le persone che, in esso, provano sofferenza. Ci sono ambizioni che non sono le mie e noi sarei tranquillo con me stesso se dovessi percorrere la mia strada facendo leva sui miseri privilegi riservati a chi, nel mondo, cerca di arrangiarsi. Mi sembra, se mai, che esista un’ambizione diversa, che dovrebbe essere comune a tutti gli scrittori: quella di testimoniare e gridare, ogni volta possibile, nella misura del nostro talento, a favore di chi è asservito come noi.

     

    È un’ambizione del genere che lei ha messo in discussione nel suo articolo, e io non le concederò il diritto di farlo finché l’omicidio di un uomo le parrà indegno solo perché quell’uomo condivide le sue idee.

     

    Albert Camus

    Note all’articolo

    (1) Testo ripreso in Actuelles, isolato, con la data sbagliata “dicembre 1948”.

     

    (2) L’insieme della recensione è molto severo. Il 4 novembre Les Nouvelles Littéraires pubblica una caricatura firmata da Ben e l’11 novembre l’articolo diGabriel Marcel: “Teatro: Lo stato d’assedio di Albert Camus”. Il filosofo dell’esistenzialismocristiano, drammaturgo a tempo perso, stronca la pièce e il suoautore parlando di «un autentico accademismo della follia» affermando che tutto «è interamente falso, interamente cerebrale» e concludendo: «Non potrò piùcredere che si tratti di un autore drammatico.»  Il passaggio che provoca larisposta di Camus merita di essere citato: «Non trovo coraggioso e nemmenoonesto avere ambientato l’azione in Spagna, a Cadice, invece che in qualunqueporto dalmata o albanese, ad esempio, o in una qualche altra città subcarpatica:e non posso impedirmi di pensare che il fatto non debba essere imputato aCamus in persona, la cui bravura è evidente. Ogni spettatore imparziale e bene informato ne converrà: da qualche tempo le notizie più adatte a gettare nelladisperazione chi ha a cuore la dignità e la libertà umana non provengono assolutamentedalla penisola iberica; sembra si sia cercato un surrogato destinato acalmare l’irritazione di coloro contri i quali, nel 1948, l’opera, lo si voglia o no,è principalmente diretta.»

     

    (3) Probabile allusione al Barrault protagonista dell’episodio Le Boulevard du Crime in Les enfants du paradís (Marcel Carné, 1943-1945)  – N.d.T – .

     

    (4) Ritroviamo qui uno dei temi di Né vittime né carnefici, e una prefigurazione dei capitoli di L’uomo in rivolta su Il terrorismo di Stato.

     

    (5)Città della Spagna del Nord bombardata il 27 aprile 1937 dall’aviazione tedesca, che fece circa duemila vittime. Il massacro – in un giorno di mercato – prefigura i bombardamenti della seconda guerra mondiale e ispirerà, com’è noto, un celebre quadro di Picasso.

     

    (6)Non c’è bisogno di ricordare una volta di più quel che rappresenta la Spagna per Camus. Lo scrittore ha detto più volte che la Guerra di Spagna non è stato che l’inizio della Seconda guerra mondiale.

     

    (7 ) Camus aveva scritto più volte su Combat riguardo i campi di concentramento russi

     

    (8)La nota è soppressa in Actuelles. Camus pubblica parecchi articoli su La Gauche, organo del RDR. Qui allude a quello intitolato Nous ne serons jantais pour le socialisme des camps de concentration (“Noi non saremo mai per il socialismo dei campi di concentramento”), ripreso in Actuelles con il titolo Seconda risposta, capitolo Due risposte a Emmanuel d’Astier de la Vigerie.

     

    (9)Su Companys, scrisse un editoriale comparso su Combat il 7-8 gennaio 1945.

     

    (10)Machado, Antonio (1875-1939). Poeta spagnolo schierato a fianco della Spagna repubblicana. Nel 1939 esce dal campo di rifugiati di Argelès solo per morire a Collioure.

     

    (11) È nota l’ammirazione di Camus per Bernanos.

     

    (12)Bergamín José (1895-1983). Scrittore e critico spagnolo, cattolico, sostenitore della Repubblica spagnola. Costretto ad andare in esilio prima in Messico e poi in Sudamerica. Tenterà di rientrare a Madrid nel 1958, ma dovrà scegliere di nuovo l’esilio e morirà in Francia.

    • Non dimentichiamo che Camus a un certo punto ruppe col partito comunista, la sua e’ la difesa dell’uomo non di una ideologia!

      • Si esatto “La sua storia é la storia di una lotta continua; la sua biografia è costellata da continue ribellioni, partendo da quando lascia il partito comunista al quale aveva aderito solo tre anni prima “con molte riserve e poca fede”. Nel 1937 il Partito Comunista Francese, i cui ideali avrebbero dovuto essere quelli dell’uguaglianza proclamata durante la Rivoluzione francese, espulsero, quelli che, secondo loro, non erano uguali. I comunisti francesi delle colonie, sobillati da Stalin, si erano trasformati in colonialisti, e quindi in razzisti, ed avevano cacciato gli Arabi iscritti al partito. Certamente a Camus, sin dalle elementari, nelle scuole dei colonialisti francesi, gli avranno insegnato che gli Arabi non erano esattamente esseri umani come loro.” da questo articolo http://www.igiornielenotti.it/?p=222

        Giulia De Baudi

    Scrivi un commento