• Blue Jasmine di Woody Allen, ovvero “Un tram che si chiama psicosi”

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    di Lorenzo Sartori

    Mi hanno detto di vederlo, questo nuovo film, Blue Jasmine, mi hanno detto che era da vedere. Avevo visto To Rome With Love – una schifezza, una Roma plastificata, da cartolina, in una storia insignificante. Ho pensato: sarà una delle solite commediole alla Allen, e ci sono andato tranquillo pensando che avrei passato due ore tra tiepide risate.

    Non avevo letto recensioni, niente sulla trama, non sapevo neppure che Cate Blanchett per l’interpretazione di questo film si fosse aggiudicata il Premio Oscar come miglior attrice protagonista. E così senza saperlo mi ritrovo davanti ad una storia che sembra il remake di Un tram chiamato desiderio.

    C’è Ginger, (Sally hawkins) la sorella povera che cerca sempre uomini al ribasso; c’è lei, Jeannette/Jasmine. uscita da un matrimonio e da una vita apparentemente perfetti che però rivelano un fallimento esistenziale totale. Hal, l’ex marito, che per anni l’ha mantenuta in una specie di paradiso artificiale, in realtà era uno sporco giocatore in borsa, che la tradiva spudoratamente e ripetutamente.
    Denunciato da Jasmine, Hal è stato arrestato dall’FBI e si è suicidato in carcere. Dopo l’arresto lei si ritrova economicamente al tappeto.

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    Aggiornato il “tram” all’oggi, la protagonista si mette a lavorare come segretaria per un dentista che ad un certo punto tenta un approccio … diciamo poco signorile.

    Poco dopo, ad un party, incontra Dwight, un uomo ricco da poco tempo vedovo, che si “innamora” di lei, presentandola ai genitori e chiedendola in sposa. Si incontrano, entrambi vedovi ed entrambi, apparentemente, di un certo livello sociale. Lei, inventandosi una vita che non le appartiene, gli racconta di essere un’arredatrice vedova di un chirurgo; lui, ambasciatore e aspirante deputato, in realtà la vuole solo perché è presentabile in società, e immagina già la sua carriera politica con a fianco una donna di classe e l’adozione di un paio di figli.

    Jasmine è chiaramente malata: nelle situazioni più difficili si stacca dal mondo e dal rapporto con la realtà e parla con il marito Hal che non può essere presente dato che è morto impiccandosi nella sua cella. Il rapporto con la sorella, con il futuro sposo, con il nuovo lavoro, che sembra realizzarla, non bastano a farla stare bene.
    Quando lo spasimante viene sapere che Jasmine non appartiene alla sua classe sociale e che gli ha nascosto il suo burrascoso passato, senza pensarci due volte, e senza mettersi in rapporto con la realtà umana della fidanzata, la scarica in modo gelido, anaffettivo.

     

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    Ed è questa mancanza di umanità il punto dolente, il problema del film e di Woody Allen che, reduce da decenni di psicoanalisi, che per sua stessa ammissione gli è risultata infruttuosa, fallimentare, non dà alla protagonista alcuna speranza di cura.

    Il regista racconta, forse senza rendersene conto, che la malattia mentale non può essere curata solo dai rapporti interumani, ma ha bisogno di un rapporto particolare con un’identità diversa, quella dello “psicoterapeuta”.
    Ma nel suo dello psicoterapeuta che propone una nuova identità di cura, non c’è traccia. E questo dopo aver scritto e diretto tanti film in cui ridicolizzava gli psicanalisti di scuola freudiana.

    Il regista chiude il film con le immagini di Jasmine, ormai distrutta nel fisico e nella mente, che parla con suo marito, ma in realtà a se stessa dei suoi problemi. Allen lascia negli occhi degli spettatori Jasmine seduta su una panchina del parco a parlare da sola, come una matta.

    Perché, purtroppo, Jasmine è malata, e per lui, Allen, dalla malattia mentale non si scappa.

    Falso, stronzo oppure semplicemente malato?

     

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