di Gian Carlo Zanon
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È un Dióniso sorridente quello che appare sulla scena, nelle Baccanti. Le donne del suo seguito non mostrano fenomeni di alterazione psichica, ma al contrario esprimono felicità e calma interiore(come ben ci racconta il pastore che le ha spiate sui monti). La parola che esprimeva questa realtà interna è eudaimonia, che letteralmente sta per buon-daimon, di solito banalmente tradotta con felicità , ma che in realtà ha connotati semantici molto più ampi. (il sostantivo daimon in Euripide deve essere tradotto come “divinità tellurica” contrariamente a theos che è la “divinità del meraviglioso”.
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La differenza arcaica tra le due parole 〈δαίμων-dáimōn – θεός-theós〉 che sinificano entrambe divinità, sta fondamentalmente nel fatto che mentre il theós è un epifenomeno meraviglioso, il dáimōn corrisponde a immagini/idee e concetti come ‘realtà interna’, ‘moto irrazionale’, ‘immagine interna’.
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Basterebbe ascoltare attentamente il suono delle due parole per comprendere che:
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A) il fonema theós è ciò che appartenendo alla categoria del Unheimliche (perturbante, ciò che non è familiare) desta meraviglia, stupore. L’esperienza del theós appartiene alla natura delle cose visibili ed ha una rappresentazione antropomorfa e quindi “pacificata” da icone;
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B) ciò che si intende per dáimōn invece non è rappresentabile perché ctonio/interno alla natura delle cose, e in quanto tale poco rassicurante, per la mentalità greca. Dióniso incarna queste caratteristiche e, per questo suo essere tellurico, sotterraneo, non può che perturbare e squilibrare un modo di pensare razionale che reprime i moti interni della psiche, rappresentato nell’opera di Euripide da Penteo.
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Contrariamente a ciò che si è sempre voluto pensare le baccanti, quelle vere, non si lasciano andare a sfrenatezze sessuali, al desiderio che non sa di sé, senza identità umana, ma hanno, come scrive Jean-Pierre Vernant, una «santa beatitudine, l’eudaimonia che il dio dell’ebbrezza conferisce ai suoi fedeli». Noi al posto di ‘santa’ preferiamo l’aggettivo ‘mite’.
Invece, dice lo storico delle religioni francese «Agave è cieca al dio che la possiede e che la fa agire, passiva tra le sue mani, è estranea alla sua epifania, non è più se stessa non appartiene a Dioniso. Le sue visioni non hanno nulla a che fare con l’altra vista».
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Vernant parla di quella vista/visione attraverso la quale si può accedere a ciò che è invisibile: l’inconscio. Non per aver accettato il culto di Dióniso, ma per averlo negato, per la madre di Penteo è impossibile accedere all’invisibile. In questo modo: «Agave si trova relegata in un universo di delirio».
Il delirio di Agave ricorda lo stato di confusione mentale del ‘68 e in particolare il suo acutizzarsi con il fenomeno del terrorismo. In una intervista l’ex terrorista delle Brigate Rosse Adriana Faranda raccontò di aver visto, durante un sopralluogo, dei poliziotti mangiare un panino in un bar. La terrorista in quel momento si rese conto che davanti a lei c’erano non dei bersagli inanimati da abbattere ma degli esseri umani; la percezione di un gesto di estrema normalità e il relativo rappresentarsi quel gesto affettivamente, le servì per aprire gli occhi sulla realtà umana di quei ragazzi in divisa, realtà che prima di allora aveva coperto con il delirio.
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Nella tragedia euripidea, l’altro personaggio che nega l’essenza divina di Dióniso è Penteo: Rappresentante del potere temporale, egli obbedisce alla legge scritta positivistica ed onora solamente gli dei olimpici, in quanto validi e rassicuranti collaboratori nel mantenimento dell’ordine sociale, e nega lo sconosciuto perturbante rappresentato dal barbaro straniero e dal suo seguito.
Penteo è sconvolto dal deragliamento delle donne della polis, che vengono meno al loro ruolo di mogli-madri, ma non riesce a ‘vedere’ che la pazzia in cui sono cadute le menadi tebane è causata proprio dalla negazione inconscia della propria realtà interna.
Nonostante che il divino figlio di Zeus e Semele cerchi di fargli intuire/vedere l’invisibile, il giovane re non vede perché psichicamente cieco . Nonostante che Dióniso gli suggerisca «il daimon é qui vicino a me e mi protegge” Penteo non ha i mezzi per intuire la vicinanza della divinità.
Vittima della propria cecità, Penteo, che appariva come un re ragionevole e puritano, si trasformerà nella squallida maschera di voiyeur e la sua pruriginosa curiosità lo porterà alla morte. Con la sua ‘normalità’, con la maschera super-egoica, nascondeva la malattia psichica: con il perbenismo astratto egli credeva di poter domare la sua mostruosità, dott. Jekill e mister Hide.
Ma nella tragedia Euripidea nessuno, tranne Tiresia e Cadmo crede nel dionisiaco. Euripide si mette i panni di Tiresia che dice: «Non si può vivere di solo pane» . Egli si è accorto delle passate negazioni, e ci avverte che l’uomo non può vivere di sola ragione, vede ora che c’è una parte dell’esistenza umana in cui il raziocinio deve cedere il passo all’irrazionale, alle sensazioni e alle intuizioni.
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Con le Baccanti Euripide rappresenta la sua, purtroppo tarda, adesione al dionisismo nel senso di accettazione dell’irrazionale.
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Due parole sul mito di Dióniso non più inteso come tarda divinità che sale per ultima nel pantheon olimpico, come pensava Nietzche, ma restituita alle sue origini antichissime.
Ne La sapienza greca Giorgio Colli scrive: «A Creta su tavolette in lineare B del XV- XIII secolo a C. si sono trovati il nome di Dióniso e della “signora del labirinto”». Dióniso è una divinità ctonia antichissima conosciuta già in epoca palaziale minoica ed è conosciuto con il nome di Zagreus, divinità cretese, capro selvatico dalle lunghe corna, animale divino, la sua immagine viene associata a quelli di Demetra – Ghmeter – la madre terra.
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Secondo il mito Demetra e Dióniso diedero la stazione eretta agli uomini: Demetra con i cereali ed egli con il vino bevuto nella dovuta misura. Sempre con Demetra e Core egli presiede i misteri eleusini, ed è il dio dalle innumerevoli nascite, questa caratteristica lo accomuna alle divinità della semina e del raccolto, della sparizione e dell’apparizione, egli quindi è la divinità del nascere, morire, rinascere «Vieni a Primavera, o Dioniso …».
Colli afferma: « Dióniso è appunto il dio che sta alle spalle di Eleusi, e che ad Eleusi viene celebrato, che ad Eleusi egli manifesta la sua potenza – e ancora: nei misteri eleusini – Mnemosine ci insegna che l’origine di tutti i ricordi là dove il tempo non è ancora cominciato; è quello appunto che si deve recuperare». Frase sibillina; «ove il tempo non è ancora iniziato» assomiglia al concetto di inconscio mare calmo/memoria fantasia dello psichiatra Massimo Fagioli.
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«Il posseduto da Dioniso “vede” quello che i non iniziati non vedono» Sempre Colli. Gli autori che si sono occupati dei misteri di Eleusi sono giunti più o meno alle stesse conclusioni: attraverso le rappresentazioni dei miti di Dióniso – Ade e di Demetra-Persefone gli iniziati giungevano ad uno stato di incoscienza che si contrapponeva alla coscienza normale quotidiana, razionale.
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Dióniso per la sua mutevolezza di forme é una divinità con innumerevoli rappresentazioni,: egli é serpente, toro, leone e ciò sottolinea il suo aspetto di animale-divino, é rappresentato come un giovane efebo dai tratti femminei o come un vecchio saggio nei simposi.
Colli sottolinea la natura sapienziale di Dionisio «pur restando vita fremente» egli vive senza prima né dopo, con pienezza sconvolgente in ogni estremo.
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«L’odio di Era per Dioniso e per la sua coppa di vino, così come l’ostilità di Penteo nelle Baccanti di Euripide, rispecchia l’opinione dei conservatori che si opposero al culto del dio che andava diffondendosi nelle polis greche.» scriveva Robert von Ranke Graves nel suo I miti greci.
Per lungo tempo Dióniso venne percepito come un animale selvatico-dio ed escluso come un barbaro dalle città. Soltanto nel VI secolo a. C. Periandro tiranno di Corinto e Pisistrato tiranno di Atene decisero di approvare tale culto e di istituire feste ufficiali in onore di Dióniso.
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L’istituzione non può fare a meno di ritualizzare e normalizzare le emergenze liberatrici del dionisiaco. Il dionisiaco per essere tale deve mantenere le proprie caratteristiche originali, quelle di un ospite singolare, inatteso, indefinibile. Così, dopo solo pochi decenni, ciò che rimane del dio-animale non è altro che un simulacro che appare forzatamente in pochi periodi dell’anno, nelle ‘feste comandate’ le dionisie. Dioniso , come nelle Baccanti di Euripide, ride beffardamente del tentativo di imprigionarlo ed esplode all’interno degli esseri umani che gli si oppongono testardamente, provocando fenomeni di alterazione psichica.
becoming an electrician
12 Aprile 2013 @ 17:09
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