• Sam Shepard – Motel Chronicles – “Iside e Osiride”

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    Pubblichiamo due poesie e un breve racconto di Sam Shepard raccolti nel volume Motel Chronicles

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    Qui una breve biografia dell’autore.

     

    Seattle, Wa. – 1 novembre ‘81

    m  Quando incontrai la controfigura della Star

    mentre si aprivano le porte dell’ascensore

    e io uscivo

    mentre lei entrava

    alle 4 del mattino

    e vidi che era radicalmente fatta

    le chiesi di cosa

    e lei disse di sei valium e Vino Bianco

    perché era il nostro ultimo giorno di riprese

    così aveva pensato di festeggiare

    scopandosi qualcuno della troupe

    e procurando di stravolgersi

    dato che questa era la sua città natale

    e lei sarebbe rimasta proprio qui

    mentre noi ce ne saremmo andati

    e la disperazione di non essere che una controfigura locale

    che veniva lasciata indietro

    in una città da cui moriva dalla voglia d’esser fuori

    adesso le pesava addosso

    con tutta la sua forza

    e questo all’improvviso mi fece vergognare ancora e

    totalmente

    di essere l’attore di un film

    e suscitare illusioni tanto stupide

    così la portai nella mia stanza

    senza progetti sul suo corpo

    neanche uno

    e lei rimase delusa fino alla disperazione

    cercò di buttarsi dalla mia finestra

    le dissi senti non ne vale la pena

    è solo uno stupido film

    lei disse stupido sì, ma mai come la vita.

     

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    Los Angeles Ca. 27 luglio ‘81

    la gente qui

    è diventata        

    la gente

    che fa finta di essere

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    treno

     

    San Francisco, Ca. – 24 settembre ‘80

     

    Sul treno che amo tanto. Il treno che hanno battezzato e ribattezzato: prima rispetto al territorio che attraversava, poi,  qualche tempo dopo, per assecondare un corporativo senso anonimato. Il treno resta lo stesso. E gli stessi i sentimenti che si risvegliano in me sul treno. La stessa meraviglia. Lo stesso desiderio struggente per la terra fuori dal finestrino. Vivrei su un treno se me ne regalassero uno.

     

    Su questo stesso treno sono seduto nel vagone ristorante. E mi guardo in giro. Fingendo di leggere il menu. Un ragazzina bionda alla Tuesday Weld, quindicenne, forse, coi piedi nudi sta leggendo un grosso libro verde cincischiando un’insalata. Continua a guardare dritto verso di me per poi tornare al libro. Io non riesco a staccare gli occhi dai suoi piedi. Sono i suoi piedi più che i suoi capelli che mi ricordano Tuesday Weld. Sono i suoi piedi che mi riportano a una delle prime interviste alla TV in cui Tuesday Weld si presentò a piedi nudi e gonna lunga e l’intervistatore (mi pare che fosse David Susskind) non fece altro che buttarla giù perché si era presentata a piedi nudi al suo programma, cosa che,  le disse, era un forte indizio della sua immaturità nevrotica e del suo bisogno di attenzione. Mi innamorai di Tuesday Weld durante quel programma. Pensai che era il Marion Brando delle femmine.

     

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    Tuesday Weld

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    Questa ragazza continua a guardarmi al di sopra del suo librone verde e io comincio a sentirmi stringere la gola. Ha indosso uno di quei top elasticizzati senza spalline che basta tirali giù che tutto diventa disponibile all’istante.

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    Sembra che ci stia mettendo un sacco di tempo a finire la sua insalata.

     

    Mi sposto al suo tavolo e le chiedo cosa sta leggendo’

    “La Storia del Suicidio Americano,” risponde.

    “Sei una studiosa di Suicidio?” le chiedo io.

    “No,” risponde lei.

    “Oh,” faccio io.

     

    Una cosa tira l’altra e finiamo nel suo scompartimento.

     

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    Ha solo quindici anni, penso. Io ne ho solo diciannove. Quindici e diciannove. Questo significa che quando io avevo quattro anni, lei non era ancora da nessuna parte. Dice che è una mormone. Dice  che suo papà la verrà a prendere a Salt Lake.

     

    (Io mi immagino il suo papà con un cappello nero a larga tesa, abito nero, un mulo nero e una frusta in mano, che aspetta alla stazione. E i gabbiani girano lentamente in tondo sopra la sua testa.)

     

    Lei abbassa il letto dalla parete. pensa che sia uno scherzo. Il letto cade al suo posto e non c’è più spazio per stare in piedi. Il treno sobbalza. Il suo top si abbassa ancor più facilmente di quel che avevo immaginato. Mi dice che non può “fare” e io che non ho mai sentito questa espressione le chiedo, “fare cosa?

     

    “Facciamo” per tutto il tragitto da Winnemucca al Grande Deserto del Salt Lake. È come attraversare l’oceano di notte. Un treno di mare. Il sole luccica bianco attraverso il finestrino. Lei dice che non avrà più il coraggio di guardare in faccia il suo ragazzo.

     

    Quando il reno si ferma a Salt Lake la guardo saltar giù dal predellino di metallo della carrozza dritta dentro a una nuvola di vapore. Sento i suoi piedi nudi sulla ghiaia ma lei non c’è più. C’è un forte odore d’acciaio nell’aria. Luci dalla piattaforma della stazione. Berretti Rossi spingono carrelli di bagagli. Il vapore si dirada e appare una strada in lontananza. Ho una voglia matta di seguire la strada. Di abbandonare la nave e seguirla, ma lei non a visibile da nessuna parte. “Tuesday,” gridai nella notte di Salt Lake City, “Tuesday, non lasciarmi!”

     

    Torno al mio posto e il treno marcia. All’improvviso comincio ad avere il vivo presentimento che la ragazza vuoterà il sacco con suo Papà. Mi aspetto la rappresaglia a ogni fermata. Le porte si spalancano.

     

    (Suo papà adesso ha messo su un’aria alla Sterling Hayden e porta un fucile calibro dodici. Sono terrorizzato all’idea che il treno si fermerà in una stazione remota e il conducente mi consegnerà al padre vendicativo. Sarò condotto nel deserto e decapitato. Verrò mutilato come Osiride e questa piccola Iside bionda verrà a cercare i miei pezzi. Verrà a rimettermi insieme. Le ci vorranno anni per trovare tutte le mie membra. E ancora le saranno sfuggite le mie parti più intime che galleggiando sulle acque del Colorado arriveranno fin nel cuore del Messico. Lei seguirà il fiume piangendo il mio cadavere dilaniato. Alzerà la mia testa mozzata verso luna gemendo mentre fluttua sulla corrente. I suoi lamenti riempiranno il Gran Canyon.)

     

    All’1.30 del mattino scendo a Missouri. Dovrei essere a Chicago in mattinata ma non ce la faccio a viaggiate tutta la notte. Se non altro a piedi avrò qualche possibilità. Trovo una telefonica vicino a un campo di mais e chiamo l’Illinois a spese del ricevente. Risponde mia nonna. Non è contenta di sentirmi. Non è contenta di pagare per la mia chiamata. Non riesce a capire dove sono e perché chiamo.

     

    “Sono in una cabina telefonica vicino a un campo di mais nel Missouri. Vicino al Mississippi.” Non capisce lo stesso. Non la vedo da da sette anni e non gli ho mai scritto una lettera. “Vengo a trovarvi. Come sta il Nonno?” Mi chiede se mi rendo conto di che ore sono. “Sì, Nonna’ Mi dispiace ma ho dovuto scendere dal treno. Temevo- per la mia vita”

     

    Prendo un autobus della Grayhound fino a Chicago poi facci l’autostop fino  in campagna. La fattoria sembra abbandonata. Un piccolo covone di mais essiccato è come in agguato vicino alla casa con dei corvi morti uccisi da mio Nonno appesi per il collo, legati con nastro adesivo rosso cosicché sobbalzano lievemente quando il vento li sfiora. La teoria di mio nonno è che funzionano da spaventapasseri per gli altri corvi.

     

    Mio Nonno è seduto esattamente alla maniera di sempre – in un affossamento del divano avvolto in una coperta fatta all’uncinetto, di fronte alla TV. Ormai sembra uno scheletro. Gli piacciono gli spot pubblicitari della Birra Hamm. “La terra dalle acque azzurro cielo.” I cartoni animati con l’Orsacchiotto che ballonzola in cima alla cascata e canta una filastrocca. Pensa che Truman sia stato il nostro Presidente migliore e scrive delle tirate politiche ai giornali di Chicago, firmandosi “Coltivatore di Pura Polvere”

     

    Predice “un Negro alla Casa Bianca” entro il 1970. È un tifoso arrabbiato dei Chicago Cubs. Mi dice che non avrei mai dovuto abbandonare il baseball. “Avresti potuto far carriera nei Maiors,” dice. “Non è mica una brutta vita. Esser pagati per giocare a palla.” Fuma e beve in continuazione e sputa sangue dentro a un portacenere a stelo di ottone come quelli che si vedono nella hall dei vecchi alberghi. A volte tossisce con tanta violenza che il corpo gli si piega in due e non riesce a riprendere fiato per un bel po’. Il suo mondo è circoscritto intorno al divano. Tutto ciò di cui ha bisogno è nel raggio di mezzo metro. La TV rimane accesa solo per il baseball. Quando finisce la partita, mia nonna entra a spegnere l’apparecchio. Lo fa con estrema precisione. Riesce a sentire quando finisce la partita da qualsiasi stanza della casa. Ha un orecchio eccellente.

     

    Mentre tutti dormono, gironzolo nella stanza al piano di sopra e guardo tutte le fotografie dei miei Zii. lo zio morto in una stanza di motel la notte del suo matrimonio. La moglie che morì con lui. Lo zio che perse una gamba all’età di dieci anni. Lo zio che sposandosi si imparentò con la Mafia di Chicago. Lo zio che faceva il taglialegna nei Grandi Boschi del Nord. Lo zio che guidava per i Bekin. Lo zio che allevava Springer Spaniel. Tutti gli zii che hanno la stessa ossatura della faccia di mio Nonno.

     

    Mi butto bocconi sul letto. “Quindici e diciannove anni,” penso. “Quindici e diciannove.” Un treno sibila in lontananza. Le cicale friniscono. Sento ancora i suoi piedi sul ghiaietto.

     

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