• Sam Shepard – Motel Chronicles – L. A., Ca. – 13 ottobre ‘80 – Fredericksburg, Texas – 9 dicembre ‘80

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    Pubblichiamo un racconto e una poesia si Sam Shepard raccolti nel volume Motel Chronicles

    Qui una breve biografia dell’autore.

     

     

    L. A., Ca. – 13 ottobre ‘80

    Evidentemente cammino nel sonno. Mi trovano in piedi alla fine del corridoio, che borbotto tra me, davanti alla carta da parati con i fiori di ibisco. Dicono che le parole sono incomprensibili e che quando mi scuotono la smetto.

    Tenendomi per la spalla mi riportano a letto e io mi addormento e non cammino più per il resto della notte. Quando il mattino dopo mi dicono di avermi trovato così mi sento invadere da una specie di caldo bagliore. Mi formicola la spina dorsale. Sorrido in modo incontrollabile e mio Papà dice: “Non è divertente”. Ma anche lui ha un sorriso sulle labbra mentre lo dice e questo mi fa sorridere in maniera ancora più incontrollabile.

     

     

    Una notte camminai nel sonno fin dentro alla stanza da bagno e mi arrampicai dentro alla vasca vuota. Mi trovarono lì addormentato su un fianco. La loro reazione in questo caso fu più severa di quando mi avevano trovato alla fine del corridoio. Nelle loro voci si insinuò una punta di preoccupazione. Per qualche ragione pensavano che arrampicarsi dentro alla vasca da bagno fosse toppo bizzarro.

     

    Forse un po’ folle. E questo nonostante mia madre (quando ero molto più piccolo) mi avesse spesso messo a dormire nelle vasche da bagno di mezzo Idaho mentre mio Papà era lontano, nell’Aeronautica a sganciar bombe sull’Italia e nei motel c’era solo un lettino singolo.

     

     

    Non so perché le mie fantasie su questi viaggi notturni fossero per me così irresistibili ma incominciai ad aspettare con ansia le spiegazioni mattutine dei miei genitori su dove mi avevano trovato la notte prima. Dove mi aveva portato il mio viaggio? Chissà se mi avrebbero trovato sul soffitto questa volta? Accoccolato dentro il caminetto? Non riuscivo a sopportare il fatto di essere disperso durante questi incontri inconsci, così inventai un piano audace: avrei fatto il sonnambulo per finta. Avrei tenuto gli occhi ben chiusi e avrei percorso incespicando il corridoio, sbattendo contro le pareti, respirando profondamente e forse avrei fatto qualche rumore soffocato per essere sicuro che loro mi sentissero.

    Mi ci vollero delle ore per trovare il fegato necessario a mettere in atto questo piano perché sapevo che se avessi fallito probabilmente avrebbero  pensato che anche tutte le altre vòlte erano state una finta e non era facile capire quale sarebbe stata la loro reazione.

     

     

    Rimasi sveglio finché non fui sicuro che erano entrambi a letto. Li sentii ridacchiare il che significava che si sarebbero presto  lanciati nei preliminari. Mi buttai giù dal letto a occhi chiusi e mi guidai verso il corridoio – oltre la tigre ringhiosa dipinta su seta, portata dal mio papà dalle Filippine; oltre il ritratto di un capotreno dipinto da mio Nonno; oltre i fiori rosa d’Ibisco che brillavano nella luce proveniente dal bagno. A metà strada giù per il corridoio sentii che smettevano di ridere. Mi si spezzò il cuore.

    Sentivo l’odore della carta da parati. Li sentivo bisbigliare ci siamo! Doveva essere andata così anche tutte le altre notti, ma questa volta c’ero anch’io a godermela. La situazione sembrava intensamente pericolosa. La mia recita esigeva convinzione. Non c’era ritorno. Incespicai diligentemente fino alla fine del corridoio. strizzai gli occhi ancor più forte. Ciondolai pesantemente le braccia. Potevo sentire che mi osservavano attraverso la fessura della porta della loro camera. Per ora la stavano bevendo. Stavo strappando l’illusione! Poi, all’improvviso mi resi conto che la fine del corridoio mi stava piombando addosso. La porta della loro camera! Una volta raggiunta la fine del corridoio non ci sarebbe stato nessun posto dove andare. Dovevo semplicemente fermarmi lì a-russare? O colpire il muro, fare dietro front e puntare verso la mia camera da letto come una specie di macchinina dell’autoscontro? Cosa dovevo fare: sdraiarmi per terra e borbottare? Continuare a camminare sul posto col naso incollato alla carta da parati? In un lampo di ispirazione mi ricordai del telefono. Il grosso telefono nero alla fine del corridoio appoggiato su un tavolino rotondo. Annaspai in cerca della cornetta e la sollevai, portandomela all’orecchio di proposito dalla parte sbagliata. Cominciai a farfugliare qualcosa a un essere immaginario all’altro capo del filo. Non occorse altro. Il gioco era in pieno svolgimento. Uscirono a bomba dalla camera da letto, mi afferrarono fermamente per le spalle e mi scossero. Io spalancai gli occhi con un’ampia simulazione di trauma e stordimento ma non funzionò.

     

    Mi spazzarono giù per il corridoio e mi schiaffarono a letto. “È adesso resta a letto!” ecco cosa dissero. “Non provare a scendere un’altra volta a scendere dal letto, Non è divertente neanche un po’” L’idea dell’umorismo  non mi era neanche passata per la testa. Non era per farli ridere. Era solo per il brivido di avere con loro un rapporto fuori dell’ordinario. Una specie diversa di incontro.

    E adesso era finita. Adesso era solo un silenzio umiliante sdraiato al buio.

     

     

    Chiusero la porta della loro camera e non riuscii neanche a sentirli. La mia sorellina si rivoltò nel lettino a castello sopra il mio. Borbottò qualcosa nel sonno.  Aveva appena imparato a parlare. Le dissi qualcosa di rimando ma lei non rispose. Quello della porta accanto azionò il suo innaffiatoio elettrico. Lo sentii cantare alle sue rose.

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    9 dicembre ‘80 – Fredericksburg, Texas

     

    3.30 a.m.

     

    è un gallo

    o una donna che strilla in lontananza


    è cielo nero

    o sul punto di farsi blu cupo

     –

    è una stanza di motel

    o la casa di qualcuno

     –

    è il corpo di me vivo

    o morto


    è il Texas

    o Berlino Ovest

    che ore sono comunque

     –

    quali pensieri

    posso chiamare alleati


    imploro una tregua

    da tutti i pensieri


    una pausa pulita

    in spazio bianco


    lasciatemi battere la strada

    a testa vuota

     –

    almeno una volta


    non sto elemosinando

    non mi butterò in ginocchio


    non sono in condizioni di combattere

     .

     Qui gli altri racconti di Motel Chronicles

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