• Yoani Sánchez da Cuba: la violenza invisibile sulle donne

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     Yoani Sánchez, la famosa blogger cubana narra con il suo stile graffiante la violenza invisibile sulle donne, quella che anche noi vediamo ogni giorno, quella violenza che da millenni costringe le donne a dissimulare la propria  realtà umana per non divenire vittima di mariti, compagni, colleghi, manager, che non sono altro schizoidi borderline.

     

    I tre femminicidi accaduti in Italia in questi ultimi giorni non sono altro che il finale tragico di una violenza che durava da anni. Una delle vittime aveva denunciato più volte quello che sarebbe diventato il proprio assassino. Yoani Sánchez narra tutto questo per rendere palese anche ciò che i maschi della specie umana continuano a nascondere: la loro rabbia per el canto de libertad de tantas féminas”.

     Gian Carlo Zanon

    Violenza contro la donna

     

    La voce di Julieta Venegas rimbomba nell’ampia sala del Teatro Nazionale. Scala le vette, si sommerge nell’anima. Io sto seduta su una poltrona, nella penombra, quando risuonano i primi accordi. Ho lo sguardo fisso al palcoscenico. Ho attraversato il quartiere La Timba, da casa mia per giungere qui, con cani che abbiano agli angoli delle strade e donne con vestiti logori che si affacciano alle finestre. Sono arrivata in questo luogo con i miei dubbi, il mio progesterone, le mie unghie così corte da sembrare le mani di un adolescente, la mia mancanza di femminilità nel vestire, i miei capelli resistenti al pettine, la mia maternità, la mia fierezza. Sono proprio io, con queste ovaie che marcano l’orologio della mia fecondità e un figlio che uno di questi giorni mi farà nonna… meglio prepararsi alla velocità della vita.

    Per questo motivo cerco di rubare il ritmo delle canzoni di Venegas, e ripeto un ritornello e tamburellando con le dita per scandire il tempo. La lotta contro la violenza domestica che lei conduce mi tocca da vicino anche se non ho mai vissuto nella mia carne alcun sopruso familiare o matrimoniale.

    Conosco bene questi visi taciturni, illividiti, che guardano in basso, li vedo ad ogni passo. Nell’ascensore, in coda per l’autobus, in questa città in cui nonostante la sua grandezza uno si incontra una e più volte con la stessa persona. Vedo occhi che già non guardano più negli occhi per la vergogna e per il timore che l’aguzzino scopra la loro chiamata di aiuto … però ogni centimetro della loro pelle, ogni pezzo dei loro vestiti dice “salvami, toglimi da questa situazione”.

    Vedo la ragazzina che indossa un vestito attillato con il magnaccia che non la perde di vista un istante.

    Vedo la donnona dal seno cresciuto per le molte gravidanze, quella con il marito che è solito sbattere il piatto sul tavolo gridando “è tutto ciò che c’è da mangiare?”

    Vedo la segretaria che si trucca davanti allo specchio pensando che se compiacerà il capo a fine mese avrà una borsa con un chilo di pollo e qualche saponetta. Vedo la ballerina che converte la smorfia di schifo in un gesto di piacere dopo il bacio del decrepito gerarca che le promette una vita migliore.

    E vedo, torno a vedere, tra una canzone di Julieta Venegas e l’altra, il presidente della Federazione Studentesca Universitaria della Facoltà di Economia. Lo stesso che sabato scorso nell’anfiteatro Manuel Sanguily dell’Università dell’Avana dava il benvenuto ai possibili nuovi alunni. Per convincerli a iscriversi a quella facoltà, questo giovanotto ha detto: “Facciamo molte attività, i giochi sportivi del Caribe, le feste nello stabilimento balneare della FEU, inoltre partecipiamo a tutte le azioni contro le Damas de Blanco*.

    Io ero proprio lì, nell’auditorio, provavo una tristezza incredibile per quel giovane che giudicava una forma di svago andare a insultare donne, impedendo loro di uscire dalle case gridando ogni tipo di insulto. Due giorni dopo sto su questa poltrona sfondata del Teatro Nazionale rendendomi conto come un discorso ufficiale possa stimolare e condannare la barbarie, invitare un’artista di talento per denunciare la violenza domestica e – al tempo stesso – spegnere il canto di libertà di tante donne.

     

    *Las Damas de Blanco sono donne che manifestano pacificamente per chiedere la liberazione dal carcere di figli, mariti e fratelli incarcerati per motivi politici.

     

    damas de blanco y la chusmaDamas de Blanco insultate da gruppi di fedeli al regime organizzati

     

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    dal blog Generación Y

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    Violencia contra la mujer

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    yoani  –

    Yoani Sánchez

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    La voz de Julieta Venegas retumba en la amplia sala del Teatro Nacional. Escala las cumbres, se sumerge en el alma. Yo estoy en una butaca, en la penumbra, cuando suenan los primeros acordes. Con la vista fija en el escenario. He atravesado el barrio de La Timba desde mi casa para llegar allí, con perros que me ladran en las esquinas y mujeres de ropa deshecha que se asoman a las ventanas. He llegado al lugar con mis dudas, mi progesterona, mis uñas tan cortadas que podrían ser las manos de un adolescente, mi falta de femineidad para vestirme, mi pelo que se resiste al peine, mi maternidad, mi fiereza. Soy yo, con estos ovarios que marcan el reloj de mi fecundidad y un hijo que cualquier día de estos me hará abuela… mejor prepararse para la velocidad de la vida.

     

    Así que trato de cogerle el ritmo a las canciones de Venegas, repetir un estribillo y chasquear algún que otro dedo para marcar el compás. La lucha contra la violencia doméstica que ella enarbola me toca de cerca aunque nunca haya vivido el atropello familiar ni matrimonial en carne propia. Conozco bien esos rostros taciturnos, amoratados, cabizbajos, que veo a cada paso. En el ascensor, en la cola del ómnibus, en esta urbe en la que a pesar de su tamaño uno se vuelve a topar una y otra vez con las mismas personas. Veo esos ojos que ya no miran de frente por vergüenza y por temor a que el abusador descubra su llamado de auxilio, pero cada centímetro de su piel, cada trozo de sus ropas dice: “¡sálvenme! ¡sáquenme de esta situación!”. Veo a la jovencita de vestido apretado cuyo proxeneta no le pierde ni pie ni pisada; a la mujerona de senos crecidos por los múltiples partos a la que el marido le lanza el plato sobre la mesa mientras le grita “¿Y esto es todo lo que hay para comer?”; a la secretaria que se maquilla frente al espejo pensando que si complace a su jefe al final de mes tendrá una bolsa con un kilogramo de pollo y algunos jabones. A la bailarina que convierte la mueca de asco en gesto de goce después del beso del decrépito jerarca que le promete una vida mejor.

     

    Y veo, vuelvo a ver entre una canción de Julieta Venegas y otra, al presidente de la Federación Estudiantil Universitaria de la Facultad de Economía. El mismo que el sábado pasado en el anfiteatro Manuel Sanguily de la Universidad de La Habana daba la bienvenida a los posibles nuevos alumnos. Para convencerlos de inscribirse en esa especialidad, este muchacho ha dicho: “hacemos muchas actividades, los juegos deportivos Caribe, las fiestas en el Balneario de la FEU y claro está… las actividades contra las Damas de Blanco”. Y yo he estado allí en aquel auditorio, sintiendo una tristeza increíble por aquel joven al que le parecía casi un divertimento ir a insultar mujeres, impedirles salir de sus casas, gritarles cualquier tipo de improperios. Dos días después,  me encontraba en la mullida butaca del Teatro Nacional comprobando como el propio discurso oficial puede incitar y condenar a la barbarie, invitar a una artista talentosa para que denuncie la violencia doméstica y –al mismo tiempo- apagar el canto de libertad de tantas féminas.

     

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