• Walter Benjamin : Il kicht nell’epoca della globalizzazione –Testo.

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     L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica

     

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    di Walter Benjamin

     

    Le nostre Arti Belle sono state istituite, e il loro tipo e il loro uso sono stati fissati in un’epoca ben distinta dalla nostra e da uomini il cui potere d’azione sulle cose era insignificante rispetto a quello di cui noi disponiamo. Ma lo stupefacente aumento dei nostri mezzi, la loro duttilità e la loro precisione, le idee e le abitudini che essi introducono garantiscono cambiamenti imminenti e molto profondi nell’antica industria del Bello. In tutte le arti si dà una parte fisica che non può più venir considerata e trattata come un tempo, e che non può più venir sottratta agli interventi della conoscenza e della potenza moderne. Né la materia né lo spazio, né il tempo non sono più, da vent’anni in qua, ciò che erano da sempre. C’è da aspettarsi che novità di una simile portata trasformino tutta la tecnica artistica, e che così agiscano sulla stessa invenzione, fino magari a modificare meravigliosamente la nozione stessa di Arte.

     

    Paul Valéry, Pièces sur l’art, Paris

     

    La conquête de l’ubiquité

     

    AndyWarhol

     

    Premessa.

     

     Quando Marx si accinse all’analisi del modo capitalistico di produzione, questo modo di produzione era ai suoi inizi. Marx orientò le sue ricerche in modo tale che esse vennero ad assumere un valore di prognosi. Egli risalì ai rapporti fondamentali della produzione capitalistica e li espose in modo che da essi risultava che cosa ci si potesse aspettare in futuro dal capitalismo. Risultò che ci si poteva aspettare non soltanto uno sfruttamento progressivamente acuito del proletariato, ma anche, in definitiva, il prodursi di condizioni che avrebbero reso possibile la soppressione del capitalismo stesso.

     

    Il rivolgimento della sovrastruttura, che procede molto più lentamente di quello dell’infrastruttura, ha impiegato più di mezzo secolo per rendere evidente in tutti i campi della cultura il cambiamento delle condizioni di produzione. In quale forma ciò sia avvenuto può essere indicato soltanto oggi. Queste indicazioni devono rispondere ad alcune esigenze di natura prognostica.

     

    Ma a queste esigenze rispondono non tanto determinate tesi sopra l’arte del proletariato dopo la presa del potere, e tanto meno tesi sopra quella della società senza classi, quanto piuttosto tesi sopra le tendenze dello sviluppo dell’arte nelle attuali condizioni di produzione. La dialettica di queste ultime si fa sentire nell’ambito della sovrastruttura non meno che nell’economia. Perciò sarebbe errato sottovalutare il valore di queste tesi per la lotta di classe. Esse eliminano un certo numero di concetti tradizionali – quali i concetti di creatività e di genialità, di valore eterno e di mistero –, concetti la cui applicazione incontrollata (e per il momento difficilmente controllabile) induce a un’elaborazione in senso fascista del materiale concreto. I concetti che in quanto segue vengono introdotti per la prima volta nella teoria dell’arte si distinguono da quelli correnti per il fatto di essere del tutto inutilizzabili ai fini del fascismo. Per converso, essi sono utilizzabili per la formulazione di esigenze rivoluzionarie nella politica culturale.

     

     Marcel_Duchamp

    1.

     

    In linea di principio, l’opera d’arte è sempre stata riproducibile. Una cosa fatta dagli uomini ha sempre potuto essere rifatta da uomini. Simili riproduzioni venivano realizzate dagli allievi per esercitarsi nell’arte, dai maestri per diffondere le opere, infine da terzi semplicemente avidi di guadagni. La riproduzione tecnica dell’opera d’arte è invece qualcosa di nuovo, che si afferma nella storia a intermittenza, a ondate spesso lontane l’una dall’altra, e tuttavia con una crescente intensità. I greci conoscevano soltanto due procedimenti per la riproduzione tecnica delle opere d’arte: la fusione e il conio. Bronzi, terrecotte e monete erano le uniche opere d’arte che essi fossero in grado di produrre in quantità.

     

    Tutte le altre erano uniche e non tecnicamente riproducibili. Con la xilografia diventò per la prima volta tecnicamente riproducibile la grafica; così rimase a lungo, prima che, mediante la stampa, diventasse riproducibile anche la scrittura. Gli enormi mutamenti che la stampa, cioè la riproducibilità tecnica della scrittura, ha suscitato nella letteratura sono noti. Ma essi costituiscono soltanto un caso, benché certo particolarmente imporante, del fenomeno che qui viene considerato sulla scala della storia mondiale. Nel corso del Medioevo, alla xilografia vengono ad aggiungersi l’acquaforte e la punta-secca, come, all’inizio del secolo XIX, la litografia.

     

    Con la litografia, la tecnica riproduttiva raggiunge un grado sostanzialmente nuovo. Il procedimento, molto più efficace, che rispetto all’incisione del disegno in un blocco di legno o in una lastra di rame e costituito dalla sua trasposizione su una lastra di pietra, diede per la prima volta alla grafica la possibilità non soltanto di introdurre nel mercato i suoi prodotti in grande quantità (come già avveniva prima), ma anche di farlo conferendo ai prodotti configurazioni ogni giorno nuove.

     

    Attraverso la litografia, la grafica si vide in grado di accompagnare in forma illustrativa la dimensione quotidiana. Cominciò a tenere il passo della stampa. Ma fin dall’inizio, pochi decenni dopo l’invenzione della litografia, venne superata dalla fotografia. Con la fotografia, nel processo della riproduzione figurativa, la mano si vide per la prima volta scaricata delle più importanti incombenze artistiche, che ormai venivano ad essere di spettanza dell’occhio che guardava dentro l’obiettivo.

     

    Poiché l’occhio è più rapido ad afferrare che non la mano a disegnare, il processo della riproduzione figurativa venne accelerato al punto da essere in grado di star dietro all’eloquio. L’operatore cinematografico nel suo studio, manovrando la sua manovella, riesce a fissare le immagini alla stessa velocità con cui l’interprete parla.

     

    Se nella litografia era virtualmente contenuto il giornale illustrato, nella fotografia si nascondeva il film sonoro. La riproduzione tecnica del suono venne affrontata alla fine del secolo scorso. Questi sforzi convergenti hanno prefigurato una situazione che Paul Valéry definisce con questa frase: «Come l’acqua, il gas o la corrente elettrica, entrano grazie a uno sforzo quasi nullo, provenendo da lontano, nelle nostre abitazioni per rispondere ai nostri bisogni, così saremo approvvigionati di immagini e di sequenze di suoni, che si manifestano a un piccolo gesto, quasi un segno, e poi subito ci lasciano»[1]. Verso il 1900, la riproduzione tecnica aveva raggiunto un livello, che le permetteva, non soltanto di prendere come oggetto tutto l’insieme delle opere d’arte tramandate e di modificarne profondamente gli effetti, ma anche di conquistarsi un posto autonomo tra i vari procedimenti artistici. Per lo studio di questo livello nulla è più istruttivo del modo in cui le sue due diverse manifestazioni – la riproduzione dell’opera d’arte e l’arte cinematografica – hanno agito sull’arte nella sua forma tradizionale.

     

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    2.

    Anche nel caso di una riproduzione altamente perfezionata, manca un elemento: l’ hic et nuncdell’opera d’arte – la sua esistenza unica è irripetibile nel luogo in cui si trova. Ma proprio su questa esistenza, e in null’altro, si è attuata la storia a cui essa è stata sottoposta nel corso del suo durare. In quest’ambito rientrano sia le modificazioni che essa ha subito nella sua struttura fisica nel corso del tempo, sia i mutevoli rapporti di proprietà in cui può essersi venuta a trovare[2].

     

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    La traccia delle prime può essere reperita soltanto attraverso analisi chimiche o fisiche che non possono venir eseguite sulla riproduzione; quella dei secondi è oggetto di una tradizione la cui ricostruzione deve procedere dalla sede dell’originale.

     

    L’ hic et nunc dell’originale costituisce il concetto della sua autenticità. Analisi di genere chimico della patina di un bronzo possono essere necessarie per la constatazione della sua autenticità; corrispondentemente, la dimostrazione del fatto che un certo codice medievale pro iene da un archivio del secolo  XV può essere necessaria per stabilirne l’autenticità. L’intero ambito dell’autenticità si sottrae alla riproducibilità tecnica – e naturalmente non di quella tecnica soltanto[3].

     

    Ma mentre l’autentico mantiene la sua piena autorità di fronte alla riproduzione manuale, che di regola viene da esso bollata come un falso, ciò non accade nel caso della riproduzione tecnica. Essa può, per esempio mediante la fotografia, rilevare aspetti dell’originale che sono accessibili soltanto all’obiettivo, che è spostabile e in grado di scegliere a piacimento il suo punto di vista, ma non all’occhio umano, oppure, con l’aiuto di certi procedimenti, come l’ingrandimento o la ripresa al rallentatore, può cogliere immagini che si sottraggono interamente all’ottica naturale. È questo il primo punto. Essa può inoltre introdurre la riproduzione dell’originale in situazioni che all’originale stesso non sono accessibili. In particolare, gli permette di andare incontro al fruitore, nella forma della fotografia oppure del disco. La cattedrale abbandona la sua ubicazione per essere accolta nello studio di un amatore d’arte; il coro che è stato eseguito in un auditorio oppure all’aria aperta può venir ascoltato in una camera.

     

    Le circostanze in mezzo alle quali il prodotto della riproduzione tecnica può venirsi a trovare possono lasciare intatta la consistenza intrinseca dell’opera d’arte – ma in ogni modo determinano la svalutazione del suo  hic et nunc.

     

    Benché ciò non valga soltanto per l’opera d’arte, ma anche, e allo stesso titolo, ad esempio, per un paesaggio che in un film si dispiega di fronte allo spettatore, questo processo investe, dell’oggetto artistico, un ganglio che in nessun oggetto naturale è così vulnerabile. Cioè: la sua autenticità. L’autenticità di una cosa è la quintessenza di tutto ciò che, fin dall’origine di essa, può venir tramandato, dalla sua durata materiale alla sua virtù di testimonianza storica. Poiché quest’ultima è fondata sulla prima, nella riproduzione, in cui la prima è sottratta all’uomo, vacilla anche la seconda, la virtù di testimonianza della cosa. Certo, soltanto questa; ma ciò che così prende a vacillare è precisamente l’autorità della cosa[4].

     

    Ciò che vien meno è insomma quanto può essere riassunto con la nozione di «aura»; e si può dire: ciò che vien meno nell’epoca della riproducibilità tecnica è l’«aura» dell’opera d’arte. Il processo è sintomatico; il suo significato rimanda al di là dell’ambito artistico. La tecnica della riproduzione, cosí si potrebbe formulare la cosa, sottrae il riprodotto all’ambito della tradizione.

     

    Moltiplicando la riproduzione, essa pone al posto di un evento unico una serie quantitativa di eventi. E permettendo alla riproduzione di venire incontro a colui che ne fruisce nella sua particolare situazione, attualizza il riprodotto. Entrambi i processi portano a un violento rivolgimento che investe ciò che viene tramandato – a un rivolgimento della tradizione, che è l’altra faccia della crisi attuale e dell’attuale rinnovamento dell’umanità. Essi sono strettamente legati ai movimenti di massa dei nostri giorni. Il loro agente piú potente è il cinema. Il suo significato sociale, anche nella sua forma piú positiva, e anzi proprio in essa, non è pensabile senza quella distruttiva, catartica: la liquidazione del valore tradizionale dell’eredità culturale. Questo fenomeno è particolarmente vistoso nei grandi film storici.

     

    Esso vi conquista sempre nuove posizioni, e quando, nel 1927, Abel Gance esclama entusiasticamente: «Shakespeare, Rembrandt, Beethoven faranno dei film… Tutte le leggende, tutte le mitologie e tutti i miti, tutti i fondatori di religioni, anzi tutte le religioni… aspettano la loro risurrezione nel film, e gli eroi si accalcano alle porte»[5], senza rendersene conto, invita a una liquidazione generale.

     

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    3.

    Nel giro di lunghi periodi storici, insieme coi modi complessivi di esistenza delle collettività umane, si modificano anche i modi e i generi della loro percezione sensoriale. Il modo secondo cui si organizza la percezione sensoriale umana – il medium in cui essa ha luogo –, non è condizionato soltanto in senso naturale, ma anche storico. L’epoca delle invasioni barbariche, durante la quale sorge l’industria artistica tardo-romana e la Genesi di Vienna[6], possedeva non soltanto un’arte diversa da quella antica, ma anche un’altra percezione. Gli studiosi della scuola viennese, Riegl e Wickhoff, opponendosi al peso della tradizione classica che gravava sopra quell’arte, sono stati i primi ad avere l’idea di trarre da essa conclusioni a proposito della percezione nell’epoca in cui essa veniva riconosciuta.

    Per quanto notevoli fossero i loro risultati, essi avevano un limite nel fatto che questi studiosi si accontentavano di rilevare il contrassegno formale proprio della percezione nell’epoca tardo-romana. Essi non hanno mai tentato – e forse non potevano sperare di riuscirvi – di mostrare i rivolgimenti sociali che in questi cambiamenti della percezione trovavano un’espressione. Per quanto riguarda il presente, le condizioni per una corrispondente comprensione sono piú favorevoli. E se le modificazioni nel medium della percezione di cui noi siamo contemporanei possono venir intese come una decadenza dell’«aura», sarà anche possibile indicarne i presupposti sociali.

     

    Cade qui opportuno illustrare il concetto, sopra proposto, di aura a proposito degli oggetti storici mediante quello applicabile agli oggetti naturali. Noi definiamo questi ultimi apparizioni uniche di una lontananza, per quanto questa possa essere vicina. Seguire, in un pomeriggio d’estate, una catena di monti all’orizzonte oppure un ramo che getta la sua ombra sopra colui che si riposa – ciò significa respirare l’aura di quelle montagne, di quel ramo.

    Sulla base di questa descrizione è facile comprendere il condizionamento sociale dell’attuale decadenza dell’aura. Essa si fonda su due circostanze, entrambe connesse con la sempre maggiore importanza delle masse nella vita attuale. E cioè: rendere le cose, spazialmente e umanamente,  piú vicine è per le masse attuali un’esigenza vivissima[7], quanto la tendenza al superamento dell’unicità di qualunque dato mediante la ricezione della sua riproduzione. Ogni giorno si fa valere in modo sempre piú incontestabile l’esigenza a impossessarsi dell’oggetto da una distanza il piú possibile ravvicinata nell’immagine, o meglio nell’effigie, nella riproduzione. E inequivocabilmente la riproduzione, quale viene proposta dai giornali illustrati o dai settimanali, si differenzia dall’immagine diretta, dal quadro. L’unicità e la durata s’intrecciano strettissimamente in quest’ultimo, quanto la labilità e la ripetibilità nella prima.

     

    La liberazione dell’oggetto dalla sua guaina, la distruzione dell’aura sono il contrassegno di una percezione la cui sensibilità per ciò che nel mondo è dello stesso genere è cresciuta a un punto tale che essa, mediante la riproduzione, attinge l’uguaglianza di genere anche in ciò che è unico. Così, nell’ambito dell’intuizione si annuncia ciò che nell’ambito della teoria si manifesta come un incremento dell’importanza della statistica. L’adeguazione della realtà alle masse e delle masse alla realtà è un processo di portata illimitata sia per il pensiero sia per l’intuizione.

     

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    NOTE

    [1] Paul Valéry, Pièces sur l’art [Scritti sull’arte], Paris 1934, p. 105(La conquète de l’ubiquité [La conquista dell’ubiquità]).

    [2] Naturalmente la storia dell’opera d’arte abbraccia anche altre cose; la storia della Gioconda, per esempio, il genere e il numero delle copieche ne sono state fatte nel secolo XVII, nel XVIII, e nel XIXsecolo.

    [3] Proprio perché l’autenticità non è riproducibile, l’intensa diffusione di certi procedimenti riproduttivi – tecnici – ha offerto strumenti per una differenziazione e una graduazione dell’autenticità. Una delle funzioni piú importanti del mercato artistico era quella di elaborare queste distinzioni. Con l’invenzione della silografia, si può dire che la qualità costituita dalla autenticità veniva colpita alle radici, prima ancora di conoscere la sua tarda fioritura. Un’effigie medievale della Madonna, al momento in cui veniva dipinta, non era ancora autentica;diventa autentica nel corso dei secoli successivi e nel modo piú pieno,forse, nel secolo scorso.

    [4] Anche la piú scadente rappresentazione del Faust in una città di provincia presuppone, rispetto a un film tratto dal Faust, il fatto di essere in un rapporto di ideale concorrenza con la prima di Weimar. E tutto ciò che ci si può ricordare, quanto a contenuti tradizionali, di fronte al palcoscenico, diventa inutilizzabile di fronte allo schermo cinematografico – per esempio, che nel personaggio di Mefistofele si nasconde un amico di gioventú di Goethe, Johann Heinrich Merck, e simili.

    [5] Abel Gance, Le temps de l’image est venu [Il tempo dell’immagineè giunto] (L’art cinématographique [L’arte cinematografica], II, Paris 1927, pp. 94 sgg.).

    [6] La Wiener Genesis è un famoso codice viennese del libro biblico della Genesi, probabilmente del secolo VI, particolarmente rinomato per le sue miniature, su cui cfr. F. Wieckhoff, Die Wiener Genesis, Wien 1895 [N. d. T.].

    [7] Avvicinarsi umanamente alle masse può voler dire: eliminare dal campo visuale la funzione sociale. Nulla garantisce che un ritrattista attuale che dipinga un chirurgo famoso nell’atto di fare colazione in mezzo ai suoi congiunti, ne colga la funzione sociale in modo piú preciso di un pittore del secolo XVI che dipingeva i suoi medici nelle loro mansioni, come per esempio Rembrandt nell’Anatomia.

    • <Seguire, in un pomeriggio d’estate, una catena di monti all’orizzonte oppure un ramo che getta la sua ombra sopra colui che si riposa – ciò significa respirare l’aura di quelle montagne, di quel ramo.< L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica – Walter Benjamin

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