• La malattia invisibile -Trattamento sanitario obbligatorio? sul settimanale left risponde Massimo Fagioli

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    Il Tso non è violenza

    Dopo il caso di Mastrogiovanni, gli psichiatri replicano alle accuse: «Il fine è la cura, contenere un malato serve per evitare che faccia male a sé e agli altri»

     

    Francesco Mastrogiovanni è morto dopo 82 ore passate legato a letto. Ha avuto un infarto, ma nessuno se ne è accorto. Questo ha acceso la macchina mediatica che ha denunciato le violenze. E sotto accusa rischia di finire anche il Tso, il Trattamento sanitario obbligatorio. Pratica che, al di là del caso specifico giustamente al vaglio della magistratura, è nata come uno strumento che rientra in una prassi di cura della malattia mentale. I media rischiano di minacciare la credibilità, già minata, della psichiatria (intesa come terapia della malattia mentale). Ma gli psichiatri non ci stanno, si ribellano.

     

    «Il fine del Tso è la cura. Il contenimento di un malato di mente può sembrare violenza ma non lo è. Perché lo psichiatra ne impedisce la distruzione. è un po’ quello che fa il chirurgo: procura una lesione per curare una malattia», afferma lo psichiatra Massimo Fagioli, che già nel ’62 viveva tra i pazienti nell’ospedale di Padova per continuare nella comunità di Kreuzlingen in Svizzera e che nei suoi libri ha indagato l’origine e la cura delle patologie psichiche.

     

    «La prima cosa da mettere in chiaro è il discorso sulla violenza», continua Fagioli. «C’è la violenza nelle istituzioni, nelle carceri, nelle case di cura private, nei ricoveri per anziani, un tempo c’era negli ospedali psichiatrici. Questa va condannata sempre e se ne deve occupare la magistratura. Poi c’è quella che sembra violenza ed è del poliziotto che ferma un criminale che sta ammazzando qualcuno o che mette una bomba. O quella dell’équipe medico-psichiatrica del 118 che ferma il malato di mente. Questa non è violenza, è un contenimento, un fermare la violenza altrui, impedire che faccia male agli altri o a se stesso. Questo deve essere chiaro. Certo, poi gli operatori devono saperlo fare questo contenimento. Non si può tenere una persona senza mangiare per 48 ore. Qui non è in causa il Tso, ma dei criminali che lasciano una persona incustodita in quelle condizioni per due giorni». 

     

    Sulla stessa lunghezza d’onda è Bruno Orsini, psichiatra, che nel 1978 fu relatore della legge 180 (che ancora oggi erroneamente si attribuisce a Basaglia): «Penso che questi comportamenti accaduti a Vallo della Lucania siano indifendibili. Ma questo non significa che se in una sala operatoria si commette un errore vadano chiuse tutte le sale operatorie d’Italia. I Tso sono indispensabili». Con la legge 180 la psichiatria entrava nel Sistema sanitario nazionale, «perché i malati psichici fossero uguali a tutti gli altri malati e non discriminati come accadeva prima». Fino ad allora i  manicomi erano affidati alle Province, il malato di mente veniva definito pericoloso socialmente e ricoverato d’obbligo con un atto del magistrato, il personale aveva un trattamento diverso rispetto agli altri settori della Sanità. Proprio il Tso, racconta il medico ligure, «rappresentava il crinale tra quelli che pensavano la psichiatria come cosa “altra” rispetto alla medicina  e quelli come me, che pur rifiutando la medicalizzazione pura e semplice della sofferenza psichica, non rinunciavano all’idea della dimensione sanitaria della psicopatologia».

     

    Il fronte antipsichiatrico negava la psichiatria come atto medico ma «delirio, allucinazioni, psicosi, non sono legati alla sanitarizzazione dei disturbi, sono una realtà», conclude Orsini. Il concetto di malattia mentale è il punto chiave. «Il caso particolare del Tso, è chiaro, richiede tutto un discorso teorico, culturale e storico sulla malattia mentale che dura da cent’anni se non da diecimila, sin dai tempi della pazzia di Aiace», sottolinea Fagioli che continua: «Il malato di mente agisce senza un motivo, lo abbiamo visto a Brindisi, la bomba contro le ragazze. Lì c’è la fatuità, la stolidità, la perdita del rapporto con la realtà, con se stesso e gli altri. E allora in questi casi come si fa a seguire quella corrente, alla Foucault o alla Heidegger, che dice che la malattia mentale non esiste?». E ancora cita lo psicanalista Stefano Carta, apparso il 29 settembre su l’Unità: «Come si fa ad accettare che la malattia è un’invenzione? Se è un’invenzione si vede che non c’è, e invece non è vero che non c’è». La conseguenza è logica: «Se non c’è la definizione della malattia, la cura non ci può essere. Prendersi cura, assistere, togliere un po’ di sofferenza, non è cura. Non mira alla guarigione perché non ha il concetto e la diagnosi di malattia», afferma Fagioli.

     

    «Bisogna evitare toni da crociata ideologica», afferma Mariopaolo Dario dirigente psichiatra del Dsm Asl Roma D a proposito dell’allarme attorno al Tso. «Ci sono tutte le garanzie formali e giuridiche perché sia applicato bene, con un medico che lo richiede, un altro del servizio pubblico che lo convalida, l’ordinanza del sindaco e il controllo del giudice tutelare. Il Tso è un atto medico che va fatto quando la persona sta male, non ha coscienza di malattia e può incorrere proprio per questo in atti auto o eterolesivi». I problemi a Roma se mai riguardano la disponibilità di posti negli unici luoghi deputati ad accogliere i malati in Tso, gli Spdc.

     

    «Il caso di Mastrogiovanni è un atto di malasanità, per non dire criminale», aggiunge Andrea Filippi, dirigente medico psichiatra della Asl di Terni che precisa il significato di contenzione. Che non riguarda solo i pazienti psichiatrici, ma tutti coloro alterati sotto l’effetto di droghe, alcool o per patologie organiche come encelefalite o intossicazioni epatiche. «La contenzione in casi specifici è l’atto medico di impedire al paziente in uno stato mentale alterato di farsi del male o di fare del male. Lo psichiatra, ma direi qualsiasi medico, in questi casi deve intervenire ricorrendo allo stato di necessità, regolamentato dall’art. 54 del Codice penale, non farlo si prefigura come negligenza, art. 42 C.p.», conclude lo psichiatra.

     

    Alla base di tutto, è necessario che lo psichiatra sappia fare la diagnosi, spiega Fagioli: «Bisogna distinguere quella che è arrabbiatura per cui uno sfascia un po’ di vetri o di piatti da quello che è malattia mentale per cui uno uccide il bambino e non sa perché». E aggiunge: «Gli psichiatri devono essere bravi, specialmente adesso che viene fuori quest’altra tragedia dall’America: dove per vendere i farmaci hanno inventato che anche un’arrabbiatura, un colpo di sole d’estate, una scottatura che porta un po’ di tristezza è la strada per la malattia mentale. Questa è criminalità». Il riferimento è al Dsm V, il “manuale” delle patologie in uscita nel 2013. «Occorre la formazione dello psichiatra, che deve distinguere se nell’adolescente c’è una perturbazione normalissima per quell’età oppure se ci sono segni precoci di malattia mentale. Occorre affrontare la fatuità della malattia mentale nascosta in tanti normali.  La psichiatria ci deve stare. Se poi è una somara che non ha mai fatto niente, bisogna correggere la somaraggine», chiosa sicuro Fagioli.

    Postato il 16 ottobre 2012

     Donatella Coccoli

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