• Sviluppo economico cieco … che fare? – II

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     di Gian Carlo Zanon

    Questa serie di quattro articoli “Sviluppo economico cieco … che fare?” sono già stati pubblicati su Dazebao New nel 2010. Era l’inizio di una ricerca che in seguito si è rivelata fruttuosa e preveggente…

    Visto la loro attualità abbiamo deciso di ripubblicare gli articoli.

     

    1ª parte clicca QUI

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    2ª parte – Effetti collaterali

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    «Una quantità sempre crescente  di essere umani non è già più necessaria al piccolo numero che, plasmando l’economia, detiene il potere. Una folla di esseri umani si ritrova così, secondo la logica imperante, senza una ragionevole ragione di vita in questo mondo dove sono comunque nati. Per ottenere la facoltà di vivere, per averne i mezzi, dovrebbero poter rispondere ai bisogni delle reti che governano il pianeta, a quella dei mercati. Il fatto è che i mercati non rispondono più alla loro presenza e non hanno bisogno di loro. O di pochissimi e di sempre meno di loro. La loro vita non è più “legittima” ma solo tollerata. Fastidiosa…».

    Viviane Forrester, L’orrore economico, 1997.

    Di solida cultura umanistica, la Viviane Forrester dichiarò di occuparsi di economia perché «eticamente costretta»  dalle catastrofiche mutazioni  introdotti dalla globalizzazione. Con questo lavoro l’autrice francese, lancia una requisitoria contro l’attuale, trionfante organizzazione economica. Il suo libro apre gli occhi su un capitalismo disumanizzante, che condiziona le vite di miliardi di esseri umani rendendoli precari, incerti, angosciati, qualitativamente mediocri. Alla cieca logica utilitaristica degli economisti, la Forrester mostra il desolante asservimento del lavoratore, oppresso dalla disoccupazione e dal timore della stessa, umiliato, sottopagato, disprezzato.

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    Tutto, cultura dominante, religione di stato, politica, economia, è improntato per coprire l’inganno delle “tribù dominanti” le quali,  attraverso bugie patinate amplificate dai media di tutto il mondo, costruiscono ‘cultura’ a secondo del prodotto da vendere; chi non ce la fa, o non si uniforma, a questo status quo, viene espulso come scarto della globalizzazione. L’utilitarismo e non la bellezza, o il tempo libero, o l’arte, o la ricerca di sé, domina la nostra esistenza, facendoci sentire perennemente inadeguati.

    Può sembrare una visione assolutamente pessimistica dello stato delle cose, ma è sufficiente andare ad una riunione tecnica in una qualsiasi azienda per rendersi immediatamente conto che vi è un’assidua indagine per tagliare la quantità del personale acquisendo al suo posto macchine e robot che eliminano le spese per l’intervento umano. Certo si può immediatamente ribattere che è l’unico modo per sviluppare e far crescere l’azienda, si d’accordo … ma … e gli esseri umani?  Che facciamo, li rottamiamo? Come è possibile pensare agli esseri umani unicamente come risorsa per le aziende neanche fossero un ingranaggio che una volta consunto va rottamato? Come possiamo calcolare la crescita di produzione senza tenere conto delle depressioni che falcidiano lo stesso “razionalissimo” mondo capitalistico?  Se il pensiero degli esseri umani si è ridotto a credere unicamente al sistema capitalistico, che ragiona con dati cristallizzati senza tener conto della ricchezza delle differenze umane, allora è un sistema che non funziona , che non potrà mai funzionare… perché non ha finalità umane.

    Tocqueville, nel primo ottocento osservando le condizioni della società americana orientata alla democrazia ugualitaria, vaticinò;

    “una folla innumerevole di uomini simili e uguali, che girano senza posa su se stessi per procurarsi piccoli, volgari piaceri, con cui soddisfare il proprio animo. Ciascuno di loro, tenendosi appartato, è come estraneo al destino degli altri: i suoi figli e i suoi amici più stretti formano per lui tutta la specie umana; quanto al rimanente dei suoi concittadini, è vicino a loro, ma non li vede; li tocca, ma non li sente; vive solo in se stesso e per se stesso, e se ancora gli rimane una famiglia, si può dire almeno che non abbia patria. Al di sopra di costoro s´innalza un potere immenso e tutelare, che s´incarica da solo di assicurare il godimento dei loro beni e di vegliare sulla loro sorte. È assoluto, particolareggiato, regolare, previdente e mite. Assomiglierebbe al potere paterno, se, come questo, avesse per fine di preparare gli uomini all´età virile; ma al contrario, cerca soltanto di fissarli irrevocabilmente nell’infanzia”. (La democrazia in America, 1840, libro II, parte IV, capitolo VI).

     Passano più di cent’anni e Robert Kennedy, il 18 marzo 1968, fa un famoso discorso all’Università del Kansas:

    “Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni.
    Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del prodotto nazionale lordo (PIL). Il PIL comprende anche
    l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.
    Il PIL mette nel conto
    le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.
    Il PIL
    non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti.
    Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi. Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve,
    eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere Americani.”

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    Ci si chiede sgomenti: ma come può essere che pensieri così chiari sul farsi delle società avanzate e sulle false promesse della crescita economica, coperte da parole che sembrano nomi di santi protettori, PIL, Dow-Jones, non abbiano trovato un posto certo nella nostra cultura? Qual è il motivo per cui la nostra cultura è andata esattamente dalla lato opposto dei principi etici che dovrebbero guidare la nostra società civile?

    Nel libro Confessioni di un sicario dell’economia di John Perkins, (vedi QUI un video di Report) porta alla luce i metodi criminali utilizzati dai governi governati dalle “tribù dominanti”, alias le famiglie che detengono il monopolio della corporations americane e non.

    Anch’egli in passato fu un ‘sicario dell’economia’, quindi conosce molto bene il problema; nel suo libro si narrano le vicende della corporatocrazia americana, la quale distrugge, per i propri scopi, prettamente economici, tutti i paesi in via di sviluppo, – Nel 2010 non era ancora chiaro che anche l’Italia aveva già subito la stessa sorte che si sarebbe palesata un anno dopo – corrompendo, depredando, se è il caso, uccidendo individui politici che si oppongono, vedi l’assassinio del Presidente cileno Allende, ma anche intere popolazioni come il caso di Timor Est dove nel 1975 i militari di Suharto massacrarono 200.000 persone, un terzo della popolazione del paese. Scrive Perkins: «Documenti provenienti dal National Security Archive dimostrano che il governo statunitense non solo fornì le armi usate per la carneficina, ma approvò esplicitamente l’invasione».

    In tutto questo la Banca mondiale, il Fondo monetario Internazionale, le banche cosiddette pubbliche, come la Banca d’Italia, furono e sono complici e mandanti e continueranno ad esserlo finché i malati di mente che fanno parte della Cupola riusciranno a legittimare e a rendere congrui i loro misfatti in nome dello sviluppo economico del Sud del mondo. Il nesso fra misfatto economico e malattia mentale, che certifica l’intuizione del 2010, è esplicito nel documentario Inside job di Charles Ferguson. (in vendita in tutte le librerie Feltrinelli)

    inside-job-wallpaper

    Il capitalismo è sempre più una divinità feroce; come il dio Baal dei Cartaginesi, fagocita nella sua bocca fiammeggiante gli anelli deboli della catena produttiva o coloro, che non si vogliono adeguare al “sistema” plasmato sulla malattia mentale di chi lo domina, riuscendo a far credere, ai dominati, che la società che essi, i dominatori, hanno in mente, è la migliore possibile. Assumere in modo dogmatico il paradigma capitalistico che da la ‘libertà’ di depredare, sfruttare, assassinare altri esseri umani con l’unico scopo di fare business, significa uscire dallo stato di umanità. Significa aver perso il rapporto profondo con la realtà umana ed essere di fatto degli asociali molto più pericolosi di un serial killer psicotico.

    È chiaro che venire a conoscenza di fatti e misfatti della Banca mondiale e delle corporations  statunitensi non basta per sovvertire lo status quo delle società capitalistiche. Forse venirne a conoscenza aiuta ad aprire gli occhi su questi ‘esseri umani’ bramosi che distruggono materialmente intere società del Sud del mondo e svuotano di umano e di vitalità le opulente società occidentali accecate dal consumismo. Certo per comprendere meglio si deve necessariamente andare ad indagare le radici del disumano. Si deve conoscere profondamente e ‘vedere’ la pulsione di annullamento verso l’altro da sé, che è di fatto il vero agente invisibile dello sfruttamento parassitario dell’uomo sull’uomo.

    Si potrebbe partire, ad esempio, dalla visione chiara del ”problema economico” che è consustanziale alla cultura dominante nutrita dall’alienazione al capitale, e da ciò che, nato per esserne il farmaco, si è dimostrato il suo più potente avversario: la ragione che ha generato il mostro chiamato utilitarismo.

    «Questa lotta vi riguarda» direbbe Camus … e allora si deve pensare, scrivere, dire e ridire, parlare, ribadire, di questo assurdo status quo della società capitalistica che impera ormai in tutto il globo terracqueo.

    Gli individui più deboli che vengono rottamati da questa tipo di società sono gli “effetti collaterali” dello sviluppo economico tout court. Questa espressione, “effetti collaterali”, è un’invenzione americana per definire i civili che venivano massacrati dalle “bombe intelligenti” durante la cosiddetta ”esportazione della democrazia” in Iraq. “Effetti collaterali” sono anche i due milioni e mezzo di americani in carcere negli States, e i lavoratori di Italiani della Fiat, e gli altri che verranno sempre di più ad ingrossare le fila dei senza diritti civili ed umani, sacrificati anch’essi a quella istanza, a quella entità invisibile, e quindi astratta, che viene chiamata con vari nomi, Sviluppo Industriale, Sviluppo economico, Globalizzazione, Capitalismo, Economia di Mercato ma anche e soprattutto con un nome che racchiude un’immagine paralizzante: mano invisibile che regolerebbe l’economia

    E forse la via, per iniziare ad individuare le cause di tutto ciò, è la ricerca del perché una grande maggioranza di esseri umani ha alienato la propria essenza umana in qualcosa d’astratto ed invisibile che invade come il Nulla de La storia infinita, la nostra “civiltà”; l’homo oeconomicus ora ha una nuova divinità nella quale potersi perdere per non affrontare rapporti umani più profondi con l’altro, l’uguale a sé. Uguale a sé perché siamo nati, tutti, da ventre di donna.

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