• Ritessere la storia con i fili della passione

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    Racconto d’estate italiana

    l’ultimo romanzo della scrittrice svizzera

    Susanne Portmann

    Susanne Portmann

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    di Gian Carlo Zanon

    Anche quest’anno la data della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo è stata in parte, in piccola parte, raggelata da uno becero revisionismo storico che ha utilizzato una foto in cui si ritraggono i giovani inquadrati nelle squadre SS italiane e la frase di un cantautore famoso: «Gli eroi son tutti giovani e belli». Tutto questo in un goffo tentativo di identificare i partigiani con i nazifascisti.

    In realtà le cose non sono andate così: i partigiani non hanno guidato le truppe tedesche e partecipato al massacro di donne e bambini a Marzabotto e a Sant’Anna di Stazzema. I giovani ribelli inquadrati nelle varie brigate partigiane non hanno torturato, stuprato, impiccato e fucilato più di centomila tra uomini e donne. E soprattutto, nelle squadre della morte nazifasciste non vi erano donne, mentre tra i partigiani ve n’erano moltissime e rappresentavano l’immagine interna dei ribelli che si erano dati alla macchia seguendo solo la fragile linea del loro no interno.

    Lidia Menapace, staffetta partigiana, giornalista fondatrice del Manifesto, ricorda in Storie della Resistenza, ricorda che i fascisti cantavano la canzone “più triste e sconsolata che io conosca”; «Le donne non ci vogliono più bene/ perché portiamo la camicia nera (…)»

    I giovani partigiani non hanno neppure nascosto nell’Armadio della vergogna la verità su quegli eccidi fino al 1994. E quindi si deve far attenzione ad usare la parola eroe quando questo “eroe” è un delatore, uno stupratore, un torturatore, un feroce assassino o un complice politico.

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    Purtroppo la storia ha un défaillance: è scritta dagli storici che non hanno bevuto alla fontana della passione. La storia è ancora histoire bataille, cioè un susseguirsi di date di battaglie, di nomi di generali che le hanno comandate, e di mere cronache dei fatti accaduti filtrati dallo sguardo dello storico sul cui capo pende la spada di Damocle della ragion di stato o di qualche tortuosa motivazione politica contingente. Per questo si parla ormai della Resistenza i modo rituale.

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    Per uscire da queste gabbie storiche che impediscono di entrare nella pasta della storia, per poi uscirne più sapienti, l’unico modo è restaurare il rapporto tra passione e narrazione, unico cataplasma in grado di guarire gli occhi malati incapaci di “vedere/immaginare” quanto è accaduto, cinquanta, cento, mille e diecimila anni prima della nostra nascita.

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    La prima griglia interpretativa da gettare sul passato è quella della sapienza sulla realtà umana. Realtà umana che non è mutata nel corso degli ultimi cento secoli, perché nasciamo come diecimila anni fa e come diecimila anni fa conserviamo quella nascita/realtà umana o la perdiamo. Come diecimila anni fa alcuni individui pensano ad una naturale uguaglianza tra esseri umani e altri credono a razze elette da qualche divinità e a superuomini che possono e devono dominare chi superuomo non è. Come diecimila anni fa esiste l’odio, l’invidia, la bramosia. Come diecimila anni fa esiste il desiderio e l’investimento sessuale verso l’altro da sé.

    Ci sono poi gli artisti, poeti, aedi, narratori cinematografici che donandoci la loro visione passionale e poetica della storia arricchiscono ulteriormente la nostra conoscenza della realtà storica. Se De Sica non avesse firmato La ciociara, forse noi sapremmo del dramma degli stupri di massa delle donne ciociare da parte dei Goumiers, ma certamente non sapremmo nulla di ciò che accade internamente ad una ragazza che subisce un vile oltraggio alla propria identità umana. Proprio in questi giorni Paola Traverso e Massimo D’orzi, con il film/intervista Ribelli! , dove vengono filmati i visi parlanti di quindici partigiani che narrano la loro storia, hanno dato anche loro un’altra prova di come con la passione si può scrivere una storia più umanamente vera.

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    Questo sguardo ricco di sapienza sulla realtà umana è presente nell’ultimo romanzo di Susanne Portmann. Racconto d’estate italiana: è piena estate quando Paola giunge in Ciociaria, in un piccolo paese a ridosso dell’antica abbazia di Montecassino. In quei luoghi tragici nel ’44, durante quella che fu chiamata “la battaglia di  di Montecassino”, da gennaio a maggio persero la vita 50.000 uomini di varie nazionalità.

    I motivi della sua apparizione nel paese ciociaro arroventato dal sole agostano sono apparentemente banali: deve fare l’inventario in una biblioteca privata e, data la sua conoscenza della lingua russa, cercare di scoprire il motivo per cui in quei polverosi scaffali vi sono molti libri in quella lingua.

    Partendo da quel mistero, Paola, senza volerlo, lentamente scivola in un mondo irrazionale dove la storia raccontata da figli e nipoti di coloro che erano presenti durante quell’inferno,  la musica, i sogni, gli affetti tellurici, il mai sopito desiderio per l’altro da sé, divengono l’impasto storico dal quale può emergere la verità.

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    Ma prima che tutto questo accada c’è l’incontro tra Paola e un uomo, non vi diremo chi: «Lei infine si girò a guardarlo: “Tu scopi sempre così?” “No non sempre” le disse dopo un po’, passandole le dita sulle labbra. Stettero a guardarsi. “Ora mi sveglio” gli disse allora Paola. “Prima di andare alla rimessa, mi sono addormentata di sopra, e ora mi sveglierò ancora e tutto questo sarà stato un sogno”» No, non è un sogno. Dopo quell’“estate italiana” la realtà interna degli esseri umani che Paola ha incontrato in quel breve periodo non sarà più quella di prima, e i fili spezzati del ricordo si riannoderanno ad uno ad uno creando una nuova immagine che darà senso alla Storia e alle tante storie che narrano di vite che si sono interrotte, molti anni prima, in tragici luoghi come le pendici di questo monte o in un gulag sovietico.

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    E solo le lacrime di una donna possono lenire le ferite mortali di uomini e donne che hanno dovuto subire la storia scritta da coloro che hanno causato cinquanta milioni di vittime civili. La protagonista di questo romanzo è un seme vitale, gettato nella campagna ciociara un giorno d’agosto, che ridà vitalità a una terra resa sterile dal troppo sangue versato e alla storia degli esseri umani.

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    Susanne Portman ancora una volta è riuscita a creare un romanzo di genere … del suo genere, che, avendo all’interno una infinita molteplicità espressiva, sfugge ad ogni classificazione tradizionale.

    D’altronde, essendo svizzera e quindi extracomunitaria, possiede agenti culturali e linguistici positivi che possono rivitalizzare il nostro linguaggio che negli ultimi anni si è appannato e sporcato di politicismi di bassa lega.

     

    Scheda

    Titolo: Racconto d’estate italiana

    Autrice: Susanne Portmann

    Pubblicato dall’autrice presso http://ilmiolibro.kataweb.it/

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