• Realtà parallele o molteplicità dello sguardo? – 14° – Oro e polvere

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    Alex Schwazer ex testimonial di Dolce e Gabbana     

     

    di Salvo Carfì

    “tutto ei provò: la gloria /maggior dopo il periglio, /la fuga e la vittoria, /la reggia e il tristo esilio; /due volte nella polvere, /due volte sull’altar.”

     

    A. Manzoni: Cinque maggio

     

     

    Buongiorno cari lettori, oggi … non è sabato, non sono più in vacanza, la mia amata Trinatria è fisicamente lontana e io torno a scrivere i miei articoli su questa realtà sociale sempre più molteplice … e sempre più scossa da fatti in cui si può intravedere una profonda scissione dell’essere.

    I miei articoli non saranno più legati alla giornata di sabato ma sorgeranno spontanei , come i funghi, seguendo i miei umori e le mie reazioni agli accadimenti.

     

    Saro più presente-sarò meno presente? Non lo so, vedremo.

     

    Oggi ad esempio mi è venuto alla mente quell’episodio accaduto nel contesto delle Olimpiadi che si sono svolte ad agosto in Inghilterra. Parlo dell’eliminazione dalla squadra olimpionica di Alex Schwazer trovato positivo all’Epo. Era il sei agosto quando il Coni confermò  la notizia dell’eliminazione dell’atleta campione olimpionico dei 50 km di marcia a Pechino:  Schwazer aveva fallito un controllo antidoping della Wada, l’Agenzia mondiale antidoping effettuato il 30 luglio a Oberstdorf, in Germania.

     

    Non mi va di analizzare psicologicamente il ragazzo. Ci vorrebbe un gran psichiatra per capire alcune sue frasi come “Carolina (Kostner N.d.R.) ama quello che fa, io no”, che sottolineano come a volte (spessissimo) le dinamiche relazionali con l’altro da sé possano divenire distruttive.

     

    Passati i primi contraccolpi emozionali e dopo che Schwazer durante una famosa conferenza stampa, tra lacrime e pianti confessò il suo delitto, per il quale è stato anche espulso dal Corpo dei carabinieri, i media che inizialmente lo avevano crocifisso cercarono in tutti modi cucirgli addosso la figura del “buon ladrone” che sbagliò, si pentì, venne compreso da Gesù  e perdonato. Il tutto in perfetta coesione con la nostra cultura cattolica in cui basta pentirsi davanti al dio monoteista o ai suoi santi per vedersi riaprire le porte del paradiso … «Oggi sarai con me nel paradiso» (Luca 23,43). E vai! Tutto perdonato anche il crimine del prete pedofilo che non ha distrutto per sempre la psiche di una ragazzino ma ha peccato contro dio e fatto piangere Gesù bambino. Che bello!

     

    Ma neanche ‘sta parte lacrimosa mi interessa. Mi viene la nausea ogni qualvolta persone, più o meno informate sui fatti, cercano di spostare le colpe di chi ha commesso un delitto su qualcun altro. Mi irrita perché in questo modo, cioè il non voler cercare la cause psicologiche che portano gli atleti ad assumere droghe per aumentare le loro prestazioni agonistiche, si continuerà a leggere ogni giorno di episodi simili. Episodi che, come nel caso di Pantani, possono poi portare anche alla morte. Idealizzare questo uomini malati che furbescamente assumono droghe per fregare i loro antagonisti è eticamente deleterio. Eppure si fa: “la colpa è di chi gli ha dato la droga”; “la colpa è di chi non ha saputo capire il suo malessere”; “la colpa è del sistema che li obbliga a fare queste scelte”; “penalizzano lui e non i calciatori miliardari che coinvolti nelle scommesse clandestine vengono prontamente perdonati” e così via. Ebbene pensare, e soprattutto scrivere queste cose, assumendosi il ruolo del buon padre che giustifica il figliol prodigo, è socialmente devastante.

     

    Sono d’accordo sulla critica al giornalismo/avvoltoio che si nutre della morte identitaria di giovani e meno giovani dello sport. Un giornalismo innervato nel sistema che è ben contento di distruggere ciò che crea. Come un cane alla catena che si nutre del proprio vomito, questi individui hanno sempre pronta una maglietta da supereroe da mettere al primo malcapitato che riesce dopo anni di sacrificio a realizzare se stesso in uno sport, per poi togliergliela lasciandolo nudo nella sua realtà umana che troppo spesso non ha nulla che vedere con quell’immagine mediatica.

    La realtà è che in questa nostra società c’è una gran moltitudine di individui che aliena su questi ragazzi quel poco di speranza che gli è rimasta  e, con la complicità dei media, ne fa degli dei, degli esseri ultraterreni che tutto possono. Quando i loro eroi cadono nella polvere, dopo qualche attimo di delusione, solo qualche attimo, si riprendono la propria immagine che avevano proiettato sui questi ragazzi, ben felici di vedere il loro fallimento sovrapporsi al proprio… “mal comune mezzo gaudio”.

    Ma questa non è la verità sulla realtà umana: per usare un esempio estremo, non tutti vanno allo stadio  e poi se la loro squadra perde tornano a casa e picchiano la moglie. Non tutti chiedono ad un essere umano, sul quale come dicevo si è alienato la propria immagine, di usare ogni mezzo anche delittuoso pur di vincere.

    Io ad esempio non ho mai voluto che un qualsiasi atleta facesse qualcosa di scorretto pur di vincere. Mi sono indignato quando hanno dato quel titolo a Maradona al posto di Pelé per il semplice motivo che, io, guardo per prima cosa il lato umano e poi quello sportivo. Questo perché penso fermamente che un atleta per essere grande non deve mai, e dico mai, perdere di vista la propria realizzazione umana. Io non penso che a Maradona abbia fatto bene fare quel gol con la mano … tant’è vero che anch’egli, dopo aver gettato la propria immagine nel fango, è caduto nella droga. E chi lentamente si suicida drogandosi  qualche problema psichiatrico ce l’ha, eccome.

    Inoltre penso che se proprio dobbiamo alienare la nostra immagine interna su qualcuno, dobbiamo pensare a chi lotta tutta la vita per l’umanità e dà la propria vita perché qualcuno, di cui non conoscerà mai il volto, abbia un’esistenza più degna.

    Molti leggono il Corriere dello Sport anziché un buon libro, ma non tutti; molti, ma non tutti, vanno alla stadio o passano ore e ore davanti alla televisione a gettare le loro speranze e il loro fallimenti umani addosso a dei ragazzi che troppo spesso non hanno una realtà umana capace di rifiutare l’inumano che c’è nello sport agonistico, come c’è nell’agonismo finanziario, come c’è nella corsa alla carriera politica, universitaria ecc. ecc. .

     

    E troppo spesso vediamo questi ragazzi che molti, ma non tutti, considerano semidei, cadere nella polvere stringendo tra le dita contratte dall’assenza di identità umana una medaglia d’oro vigliaccamente rubata all’avversario.

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