• Rashomon: verità e “verità” politica su Gramsci

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    A 75 anni dalla morte ancora tante bugie su Antonio Gramsci. Intervista a Carmine Donzelli

    «C’è chi le spara grosse, chi fa confusione e chi le nasconde. Il dibattito su Gramsci, negli ultimi mesi, è diventato un ginepraio. Così ho deciso di tornare a un mio antico amore. Per fare i conti con me stesso, ma soprattutto con quello che mi sembra un grande equivoco». Carmine Donzelli ripubblica un suo vecchio lavoro gramsciano, con una nuova introduzione che spazza via una consolidata linea interpretativa. E prende di mira una serie di bersagli polemici. Innanzitutto la sinistra politica italiana, ancorata per svariati decenni – da Togliatti a oggi – a una «lettura di comodo» dell’autore dei Quaderni, riadattato ai bisogni del momento, anticipatore del partito nuovo e, più di recente, antesignano della liberaldemocrazia. Poi l’Istituto Gramsci, accusato di essere tuttora l’artefice di una sapiente «strategia dissimulativa». E, ancora, la casa editrice Einaudi, perché «per un incredibile paradosso, la sola edizione delle Lettere oggi disponibile in libreria è assolutamente parziale e incompleta». E tra le lame dell’autore-editore scivola perfino uno studioso appena pubblicato con il marchio Donzelli, Franco Lo Piparo, neovincitore del Viareggio con I due carceri di Gramsci. Un autoricidio? «No, non sono affatto pentito. E sono grato a Franco per le sue geniali intuizioni, ma ci tenevo a dire la mia opinione. Che è completamente diversa dalla sua».

     

    Perché ritiene importante riproporre quel suo lavoro di trent’anni fa?

     

    «Allora lavoravo alla Einaudi, dove ero approdato dopo una tesi di laurea sul pensiero politico di Gramsci. Ebbi anche la fortuna di assistere in presa diretta, nel 1975, all’edizione critica dei Quaderni. Poco più tardi mi fu affidata la cura del Quaderno 13. Noterelle sulla politica del Machiavelli. Oggi lo ripubblico per un motivo essenziale: contribuisce a rompere quel velo di ambiguità che da quasi settant’anni avvolge la lettura di Gramsci».

     

    Qual è il grande equivoco?

     

    «Che i Quaderni siano il fondamento dell’eterodossia comunista italiana. Fu il geniale capolavoro di Togliatti: attribuire a Gramsci l’origine teorica di quella revisione del leninismo che porta il Pci, dopo la Liberazione, alla piena accettazione di un regime democratico-parlamentare».

     

     

     

    E invece?

     

    «Non era vero niente. Il cuore della teoria politica gramsciana – l’analisi del concetto di egemonia – era un cuore leninista. Il quaderno su Machiavelli lo mostra con chiarezza. Ma Togliatti fu abilissimo nell’utilizzare Gramsci come anticipatore della svolta democratica. E questo equivoco, su cui s’è fondata la diversità comunista, perdura fino a oggi».

     

    Dove ne vede tracce?

    «La frontiera più avanzata di questo filone è rappresentata dall’ultimo libro di Giuseppe Vacca, Vita e pensieri di Antonio Gramsci, pubblicato di recente da Einaudi. Non è un caso che Vacca sia il presidente dell’Istituto – ora Fondazione – che ha sempre difeso la tesi continuista tra i due capi-fondatori del comunismo italiano. Una linea basata sulla rimozione dell’aspro conflitto politico che pure li divise. Certo, Togliatti vivo, il dissidio tra i due fu completamente nascosto. Più tardi, lasciato sullo sfondo o liquidato come marginale. E in anni più recenti, non potendolo più negare, l’Istituto se ne è fatto certificatore prudente».

     

    Cosa intende?

     

    «Quella operata da Vacca è una strategia dissimulativa: attenua il valore della polemica tra Gramsci e Togliatti, con un atteggiamento sostanzialmente giustificazionista nei confronti del secondo. E anche sul piano delle fonti, le nuove carte vengono restituite in modo filtrato. Anche nell’ultimo libro, che è una preziosa summa di tutte le acquisizioni, non si trova il documento integrale, ma la lettura che Vacca dà di quella o quell’altra lettera. Un metodo curioso».

     

    Gramsci a Vienna

     

    Lo dice con malizia?

     

    «No. Ma il risultato rischia di risultare opaco Intendiamoci, se mi presento in archivio escludo che mi impediscano di vedere le carte. Ma certo la Fondazione non si preoccupa di ricostruirle in un contesto chiaro. Insomma, a 75 anni dalla morte di Gramsci, dobbiamo fare una fatica bestiale per mettere le cose in fila».

     

    Torniamo a quello che lei definisce «l’equivoco dell’eterodossia». Gramsci era sicuramente un comunista tosto, ma assai critico verso l’Urss. Nelle ultime conversazioni con Sraffa demolì l’impianto dei processi staliniani.

     

    «Ma non è in discussione questo. Il punto è che Gramsci non si percepiva come eterodosso. Lui anzi credeva di essere un interprete rigoroso del comunismo, più di quanto lo fosse Togliatti, contro il quale ingaggiò una vera battaglia politica».

     

     

     

    Lei propone una lettura totalmente nuova del quaderno su Machiavelli: non appunti teorici, ma una partita aperta contro Togliatti.

     

    «Sì. La ricopiatura degli appunti nel quaderno coincide con i mesi cruciali del conflitto, tra il marzo del 1932 e la fine del 1933. E le riflessioni sui concetti di egemonia o di crisi organica non sono disquisizioni astratte, ma argomenti di lotta concreta. È anche Togliatti l’antagonista di queste pagine».

     

    Quindi Gramsci non s’arrende.

     

    «Tutt’altro. Egli realizza che il Migliore non ha alcun interesse a farlo tornare in libertà. E reagisce non da perdente, ma da leader: vuole riprendere il suo posto nelle file di combattimento. E con il tramite di Piero Sraffa e Tatiana Schucht cerca di trovare una sponda a Mosca, all’insaputa di Togliatti. Una sfida destinata al fallimento».

     

    In questa sua rilettura, campeggiano due straordinarie figure dostoevskiane, Piero Sraffa e la cognata Tatiana Schucht, che lei indica come «i carcerieri» di Gramsci. Per Sraffa ricorre all’espressione di «agente coperto» del comunismo internazionale. È dimostrato?

     

    «Siamo agli inizi di una verità da accertare. L’immagine del pacifico professore che passeggia con Wittgenstein a Cambridge è solo una parte. Sraffa è provvisto di un passaporto clandestino, continui sono i suoi spostamenti attraverso la frontiera. Anche il modo sistematico con cui trasmette a Togliatti – allora organico a Mosca – le informative di Tania è abbastanza rivelatore. Da qualche parte deve pur esserci, ben nascosto, il carteggio tra i due». Un carceriere di specie particolare. A lui Gramsci deve il suo nutrimento intellettuale, ossia la lettura di quei libri che poi gli servono per comporre anche il quaderno di lotta politica che – nella sua ricostruzione – è indirizzato contro Togliatti.

    «Questo è l’aspetto che più mi affascina. È un gioco alla Rashomon. Ciascuno di questi personaggi ha quattro o cinque parti in commedia. Sraffa è un controllore che esercita una sorveglianza politica, ma anche forme di affetto e di partecipazione emotiva. È una coincidenza significativa che Gramsci, una volta persa la sfida lanciata a Sraffa, pian piano smetta di scrivere i Quaderni. È la stagione della resa, su cui sappiamo poco. Quasi niente».

     

    La sua ricostruzione, pur affascinante, si fonda però su un metodo indiziario. Lo stesso a cui ricorre Lo Piparo, raggiungendo risultati opposti. Lei fa morire Gramsci da leninista. Lo Piparo, al contrario, ne fa un comunista pentito.

     

    «Lo Piparo ha avuto un’intuizione fondamentale: è stato il primo a capire che il nome di Iulka, in alcune importanti lettere scritte da Gramsci nel 1932, ha un valore metaforico. Non si limita cioè a indicare moglie Giulia Schucht, ma si riferisce ai compagni italiani e sovietici, a un contesto molto più ampio».

     

    Tanto ampio che ne suggerite due interpretazioni differenti. Ma la diversità di approdo non è il segno del limite del metodo congetturale? Si formulano opinioni, non si fa storia.

     

    «Ma nessuno di noi due pretende di avere la verità assoluta. Entrambi però contribuiamo a sollevare una discussione feconda. E mi auguro possa aprire una nuova stagione di studi su un personaggio cruciale del Novecento»

     

    Simonetta Fiori

     

    Il Venerdì di Repubblica, 28/09/2012, pag. 118

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