• Partito democratico: ‘uno, nessuno, centomila’ … e l’amico ritrovato …

      10 commenti

    g&n al Let

     

    Riproponiamo questo articolo del febbraio 2012 che ci vide veggenti sull’impossibilità del Pd di poter continuare a navigare con questa ciurma etrogenea. Pensiamo che il vizio di fondo stia proprio nella fondazione del Pd da parte di Veltroni e molti altri compagni di merenda ex democristiani provenienti dalla Margherita. Oggi assistiamo al matrimonio incestuoso tra Enrico Letta e  Alfano. (entrambi militavano tra i giovani della Dc)

    Alfano è “l’amico ritrovato”  di Letta ed entrambi ora guidano una nave senza bandiera nelle cui stive alberga la peggior ciurmaglia politica italiana.

    Inoltre confrontando il vecchio articolo con l’attualità ci possiamo rendere conto di quante parole al vento venivano e vengono dette continuamente dai politici italiani.

    E. B.

     

    15 febbraio 2012

    di Gian Carlo Zanon

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    Domenica Eugenio Scalfari, alla fine della sua solita noiosissima esternazione festiva, chiedeva, in un ‘post sciptum’, a Bersani la sua opinione su quello, per lui, strano movimento di alcuni deputati della segreteria del Partito democratico, i quali, sempre secondo lui, vorrebbero trasformare il Pd in un partito socialdemocratico: «sullo schema del partito socialista europeo».

    Il nostro ‘grande giornalista’ de La Repubblica così sentenzia: «… il senso di questa proposta mi sfugge (…) Sono tra gli elettori del Pd ed ho partecipato alle primarie fin dai tempi dell’Ulivo di Prodi e poi del Pd come certificano le liste stilate nei gazebo dove il voto delle primarie veniva raccolto insieme ai dati anagrafici dei votanti. Credo sia il solo partito italiano che adotta le primarie e me ne rallegro, ma non credo che avrei votato per un partito socialdemocratico che oggi a me sembra del tutto anomalo nel panorama italiano . – Poi conclude – Sarei molto lieto di conoscere in proposito l’opinione del segretario del Pd, Pierluigi Bersani. Tanto per sapere, come elettore del partito da lui guidato».

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    Martedì Bersani, sempre su La Repubblica, risponde che di queste proposte non sa nulla : «Con tutta franchezza (e non facendo certo difetto ai democratici la pluralità di opinioni!) non conosco né documenti né intenzioni di dirigenti di Partito che pongano quel problema». Poi, preso da furor identitario sottolinea con forza l’identità monolitica del partito: «Dopo quattro anni siamo usciti dal problema identitario. (ergo per quattro anni c’era un problema identitario N.d.R.) Non abbiamo certo finito il nostro lavoro di costruzione né abbiamo corretto tutti i nostri difetti, ma non siamo più una ipotesi o un esperimento o un partito in cerca di Dna. (…) Ormai esistiamo. Non possiamo più permetterci sedute psicanalitiche».

    Lasciando perdere le sottigliezze retoriche ‘bersaniane’ tra cercare, spostandosi a sinistra, come vorrebbe una fronda del partito, di divenire un partito socialdemocratico o trovare una sistemazione nel gruppo dei Socialisti Europei che si sta formando, si potrebbe invece esaminare più attentamente il discorso che Bersani fa sull’identità data da un «Dna» talmente strutturato che non ha bisogno di «sedute psicanalitiche». Sicuramente di ‘sedute psicanalitiche’, in senso stretto, il Pd, non ne ha certamente bisogno – i pochi psicanalisti freudiani rimasti. per loro stessa dichiarazione, non curano – ma di un buon psicoterapeuta, visto la schizofrenia strutturale del Partito democratico, certamente sì.

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    Prova ne sono le tante anime lontane tra loro che spezzettano, paralizzandolo, il partito di Bersani nel quale, come in un calderone stregonesco,  galleggiano allegramente cattocomunisti, cattoliberisti, ex comunisti trinariciuti, cattolici che vanno a prendere ogni mattina le veline dai vescovi in Vaticano, personaggi squallidi che pur avendo avuto per trent’anni la tessera del partito dichiarano di non essere stati mai comunisti, ecc. Per non parlare poi del comportamento dissociato che il Pd sta tenendo con questo governo di ultraliberisti, che fino all’altro ieri lavoravano per le banche, che si esprime più o meno così: «Non siamo d’accordo con quanto sta facendo il governo però lo sosteniamo lo stesso votando qualsiasi cosa ci metta sotto il naso». E tutto questo significa avere un’identità? Non sembrerebbe.

    E qui ci si dovrebbe intendere sulla pluralità interna al Partito democratico: se per pluralità si intende movimenti come quello che stanno facendo i tre quarantenni della segreteria, Fassina, Orfini e Andrea Orlando, i quali pensano di lavorare per dare una vera identità culturale di sinistra al Pd, identità perduta nei deliri americanisti di Veltroni, allora d’accordo.  – Ve lo ricordate il «Yes We Can» di Obama tradotto in un maccheronico dall’inventore del Partito democratico che faceva lo specchio scimmiottando il presidente degli Usa? Che immagine agghiacciante!  –

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    Se, come ha detto Orfini, si tratta di «dimenticare ciò che è stato il Lingotto» di Veltroni, e se si parla di un’identità di sinistra che si basa sull’eguaglianza sociale, come ha dichiarato sempre Orfini sulle pagine di left,  allora essere “uno, nessuno, centomila” significa costruire un partito in continuo divenire. Significa rinascere ogni giorno in un modo diverso perché la realtà sociale muta ad ogni piè sospinto e, se si vuole essere politici sempre presenti e vedenti e udenti che reagiscono rispondendo ai bisogni e alle esigenze dei cittadini, questa realtà sociale la si deve ridisegnare ogni maledetto giorno che verrà.

    Se invece essere “uno, nessuno, centomila” significa essere un’accozzaglia di persone incollate alla poltrona, così diverse nel pensiero, nel modo di percepire la realtà, nella struttura umana e soprattutto con fini e desiderata completamente diversi, allora il Pd deve fare i conti con un’assenza di pensiero e di idee politiche che dura almeno dalla caduta del muro di Berlino.

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    Ma, forse, questa assenza di pensiero e di idee, dura da sessanta anni: da quando uomini di valore come il socialista Riccardo Lombardi e molti altri, che venivano dalla resistenza, vennero messi a tacere in un angolo da coloro che facevano di certezze dogmatiche la loro pseudo identità: comunisti staliniani e credenti cattolici.

     

    g&n Abbazia

    E l’articolo (COPIATO ?) di Furio Colombo del 24 -2 – 2012

    il Fatto 24.2.12
    Uno, nessuno, centomila Pd
    di Furio Colombo

    Il cronista del giornale Il Tempo domanda cautamente al responsabile Lavoro del Pd Fassina: “Si può dire che la sua linea sia la linea del Pd?”. Risponde con orgoglio Fassina: “Le posizioni sul lavoro sono larghissimamente, anche se non unanimemente condivise all’interno del partito. L’autorevolezza di personalità che la pensano diversamente (nel Pd, ndr) non deve dare l’idea di un Pd lacerato”. (23 febbraio). Fassina lavora da solo alla compattezza del partito, mentre intorno a lui, esplodono, come bombe a grappolo, dissonanze fragorose. Sentite Giovanna Melandri (stesso giorno, La Stampa): “Non andrò alla manifestazione Fiom del 9 marzo, perché Il sindacato deve fare il sindacato e le forze politiche devono fare le forze politiche”. È talmente vero che i candidati del Partito repubblicano americano stanno impegnando somme immense per screditare i sindacati e spingere il lavoro fuori dal dibattito politico. E Obama viene insultato con la parola “socialista” perché ha osato inserire l’aumento dei salari e la garanzia delle cure mediche gratuite nel programma elettorale della sua rielezione. Naturalmente Melandri non è la sola voce “diversa” del partito. Orfini, per esempio, sta da un’altra parte e dice: “Penso che sia giusto portare solidarietà a un sindacato che considera vergognoso Marchionne. Dovrebbero andarci tutti”. Se considerate l’importanza della questione, vi rendete conto che avete ascoltato la voce di due partiti. Anzi tre. Infatti, lo stesso Orfini, nella dichiarazione citata, si ferma e si corregge: “Tutti no, Bersani no. Sarebbe eccessivo”. Non contando il segretario Pd di Imola che non vuole comizi assieme a Fassina, perché Fassina va con gli intoccabili della Fiom.

    Ma se ascoltate Angeletti (Uil), che si sta certamente domandando dove portare il suo sindacato in tempo di elezioni, vi accorgete che è contro il governo (e dunque il ministro Fornero e la deputata Melandri) nella difesa del lavoro, a favore di Marchionne, sulla questione “democrazia in fabbrica” e, assieme agli altri due sindacati, isolato dalla politica che non vuole mischiarsi con gli operai. Ma nei canyon del Pd volano bassi i pipistrelli detti “tabù”. Volano in un senso (non è tabù abolire l’articolo 18) e nell’altro (non è un tabù tenere testa al governo se il governo va con pacata eleganza verso destra). Ma ecco come risponde alla situazione paradossale l’ex ministro Gentiloni, leader fisso in un piccolo gruppo di leader fissi in viaggio dal passato al futuro senza soste riflessive sul complicato presente: “La decisione del ministro Fornero di andare avanti anche senza il consenso dei partiti sulla riforma del mercato del lavoro sarà un banco di prova della tenuta del Pd”. Come dire: il banco di prova di un vero partito orgoglioso di sé è accettare di non esistere. Però Gentiloni nutre una grande speranza: “Le scelte parlamentari del Pd saranno il vero congresso del partito. Io non ho dubbi. Io voterò sì”. Sì al partito che non conta? Il fenomeno è nuovo. Nessuno se ne va. Dove? Le “intenzioni di voto” continuano a scendere. Manca qualcuno che sappia dire: ecco, questo è il Pd. E vi diciamo chi siamo, che cosa vogliamo e dove cerchiamo di andare.

     

    • In alto a destra del sito sotto ‘RASSEGNA STAMPA” vi sono dei link dove è possibile attingere notizie originali e preziose per qualsiasi ricerca. Si raccomandano soprattutto left e Segnalazioni. Vi ringraziamo per l’attenzione. La redazione

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      Thank you very much

    • Ci dispiace che trovi difficoltà con i nostri articoli. Vorremmo accontentarla ma ci è impossibile perché i nostri giornalisti e redattori non vogliono abbassare il livello culturale dei loro articoli. Anzi dubito che ne sarebbero capaci.
      Cordiali saluti A.Meis … un redattore

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